I TRUCCHI DI SALVINI OBBLIGANO DRAGHI A RALLENTARE
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Insomma, alla fine il cdm si farà (domani) per discutere dell’estensione del Green Pass, ma sarà, rispetto alle aspettative, un’estensione piccola piccola: per le mense scolastiche, per quelle universitarie, ma non ancora per il pubblico impiego né tanto meno per i lavoratori privati.
Ci si arriverà, all’estensione alla Pa, magari la prossima settimana ma, appunto, non subito.
E c’è da crederci quando fonti vicine al dossier spiegano che è un rompicapo giuridico definire il “dipendente pubblico”, e che c’è “un lavoro tecnico enorme da fare”, ma il punto è politico.
La frenata, rispetto all’ultima conferenza del premier (ricordate? Quella dell’estensione del Green Pass senza se e senza e senza ma e dell’invocazione dell’obbligo vaccinale) è oggettiva.
E ha a che fare certo con la complessità del provvedimento, ma anche con la complessità o meglio, perdonate la naïveté, col casino che ha combinato Salvini.
In altri tempi, quando la grammatica politica era un’altra, a proposito di un partito di maggioranza che vota gli emendamenti di una forza di opposizione dopo aver votato il provvedimento in cdm si sarebbe parlato, se non di crisi, quanto della necessità di un chiarimento.
In questa situazione, che di ordinario ha davvero poco, meglio non appiccarsi alla logica d’antan e limitarsi a descrivere lo stato dell’arte.
Il punto è che Mario Draghi non ha cambiato idea rispetto all’obiettivo da perseguire, né si è affievolita la determinazione, ma, ancora una volta, è stato costretto al realismo, proprio dopo lo spettacolo del voto alla Camera.
È chiaro cioè che una forzatura avrebbe rischiato di far sfuggire la situazione di mano. E ha concesso tempo a Salvini, con l’obiettivo di portarlo gradualmente al risultato concedendo una faticosa metabolizzazione del provvedimento.
È, semplicemente, la più classica delle trattative politiche: il governo non mette la fiducia, come chiesto da Salvini, e il leader leghista ritira i suoi emendamenti, limitandosi, diciamo così, a dare un segnale al suo mondo votando gli emendamenti altrui, e consentendo comunque l’approvazione del provvedimento.
E adesso, che si discute di allargamento, i prossimi giorni serviranno a definire, voce per voce, il “quando” e il “dove”: se tutti i dipendenti del pubblico, se i dirigenti o quelli che lavorano allo sportello, il tema dei tamponi sul privato dove spinge Confindustria, la durata del tampone (24 o 72 ore) eccetera eccetera. Poi l’approvazione.
Una mediazione, appunto. Che comunque non è banale come rospo che il leader della Lega è costretto ad ingoiare o sta già ingoiando, perché alla fine, sia pur gradualmente, sia pur faticosamente si sta allargando il Green Pass, misura bollata come liberticida da Salvini che sul tema soffre, e non poco, gli ululati della Meloni, le contraddizioni di un partito bifronte, pragmatico coi governatori, ideologico nelle piazze no vax. Però non è irrilevante neanche il potere di interdizione che lo stesso Salvini può rivendicare.
È un copione che si ripete: le intenzioni del premier, con la propensione a un sano decisionismo in base a ciò che è giusto e ciò che serve; poi il bagno di realtà, in base a ciò che è possibile.
La fase del “c’è Draghi che decide e ci sono i partiti che, mettono qualche bandierina ma non possono che accettare”, si è chiusa proprio col semestre bianco.
Adesso c’è Draghi, il cui governo non è in discussione per le stesse ragioni – autorevolezza, credibilità, stato di eccezione – ma è costretto alla trattativa permanente. È accaduto sul primo Green Pass quando, dopo una drammatizzazione in conferenza stampa (“un appello a non vaccinarsi è un appello a morire”) seguì un faticoso negoziato proprio con la Lega, dopo un altrettanto faticoso negoziato con la giustizia con i Cinque stelle.
È ri-accaduto dopo una nuova drammatizzazione sull’obbligo vaccinale, con la trattativa di questi giorni. È chiaro: Draghi in conferenza stampa è Draghi, l’autentico, con le sue convinzioni tranchant, incarnazione della missione che deve portare a termine e dei suoi principi assoluti. Poi ci sono il Parlamento, i partiti, le amministrative: il gioco che ha risvegliato l’elemento di prevalenza politica del governo che i partiti li ha coinvolti sin dalla sua formazione. E dunque la valutazione realistica dei rapporti di forza che fa planare l’indole sul principio di realtà.
Realismo significa anche consapevolezza che, con Salvini, Draghi non può rompere per tutta una serie di motivi, che vanno dalla tenuta complessiva dell’equilibrio politico all’eventualità della prospettiva quirinalizia perché, su entrambi i piani, non è immaginabile una rottura a destra che consegni palazzo Chigi agli umori dei Cinque stelle.
E realismo significa che, tutto sommato, per quanto in modo scomposto e rumoroso, Salvini sta tenendo, anche sul dossier più fuori controllo di tutti, l’immigrazione. Radicalizzare con un alleato in difficoltà, che sta scontando su questa difficoltà un’emorragia elettorale, significa mettere a rischio un equilibrio delicato. E quindi si procede step by step, con i tempi della politica, nell’auspicio che i tempi non tornerà a scandirli la pandemia.
(da Huffingtonpost)
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