IL BIVIO DAVANTI A RENZI: “SE ENRICO NON CAMBIA PASSO TOCCA A TEâ€
L’IPOTESI RENZI A PALAZZO CHIGI NON DISPIACEREBBE NEANCHE AI DALEMIANI CHE COSI’ SI RIPRENDEREBBERO IL PARTITO
Prenderà una forma visibile a tutti tra una decina di giorni. Subito dopo che la Camera avrà approvato la legge elettorale.
Una biforcazione che segnerà il destino di questa legislatura. E che determinerà una vera e propria svolta. Per il governo e per il Pd.
Si capirà se Enrico Letta potrà andare avanti o meno. Soprattutto si saprà se l’alternativa all’attuale presidente del consiglio saranno le elezioni anticipate o la formazione di un nuovo esecutivo. Guidato da Matteo Renzi.
«Non esiste, deve andare avanti Enrico», si schermisce il sindaco di Firenze.
Eppure nella maggioranza e tra i leader della futura coalizione di centrosinistra il tam tam è già partito.
Negli incontri riservati un po’ tutti danno per scontata l’opzione del leader democratico.
Anche se tutti sanno che l’operazione è contaminata da un livello di rischio molto alto. Il precedente del 1998, quello di Massimo D’Alema aleggia come un fantasma. Ne sono consapevoli Renzi e tutti gli interlocutori che negli ultimi giorni gli hanno ripetutamente chiesto di fare un passo avanti.
Il loro ragionamento è questo: se Letta non fosse in grado di compiere l’auspicato cambio di passo, sarebbe indispensabile correre ai ripari.
Il rischio è che la legislatura vada avanti senza un vero segno di cambiamento. E che si arrivi al 2015 con un centrosinistra consumato e con una leadership logorata. Sia dentro il Partito Democratico sia tra gli alleati, si mettono in evidenza i richiami dell’Unione europea ad accelerare sulle riforme, a porre l’attenzione sul riassetto della Pubblica amministrazione e sulla riduzione dei tempi della giustizia.
Questioni che marcherebbero un’inversione di tendenza.
Anche a Palazzo Chigi, poi, sono rimasti colpiti dagli attacchi sistematici mossi dalla Confindustria. L’associazione di Viale dell’Astronomia ormai quasi quotidianamente spara bordate contro il governo.
Un clima che agita i sonni del presidente del consiglio. Senza contare che il prossimo 18 febbraio si terrà pure la manifestazione nazionale di ReteItalia (l’organizzazione che riunisce tutte le associazioni di imprenditori dalla Confindustria alla Confcommercio).
L’allarme, però, coinvolge tutte le forze che sostengono l’esecutivo. «Dovete anche capire — sono ad esempio le parole del leader Ncd, Angelino Alfano, ai suoi alleati — che voi così mi rispingete tra le braccia del Cavaliere ».
Il vicepresidente del consiglio chiede ancora tempo.
L’idea di varare la legge elettorale e poi sostanzialmente andare alle urne non lo convince. Quindi — è la sua valutazione — per dare sostegno alla legislatura «serve un impegno del segretario del Pd».
Eccola dunque la “staffetta”. I “montiani” di Scelta civica sono da tempo convinti che sia quella la carta da giocare. E nonostante le scaramucce di questi giorni anche il capo di Sel, Nichi Vendola, ha ammesso che «questa può essere una possibilità ». Persino il “nemico” del Sindaco e capo della minoranza pd, Gianni Cuperlo, è ormai orientato in questa direzione.
Per un motivo molto semplice: gli ex dalemiani pensano di riprendersi così il partito.
La road map immaginata in queste ore è quindi questa: verificare domani nella riunione della direzione democratica se il premier è in grado di organizzare un «rilancio».
Aspettare il voto sulla riforma elettorale e subito dopo stabilire, davanti al bivio, quale strada imboccare. È chiaro che tutti considerano fondamentale il via libera all’Italicum.
Qualsiasi mossa ha infatti un solo paracadute: la possibilità di tornare in ogni momento al voto con la riforma già varata. Anzi, proprio l’Italicum sarebbe la giustificazione per un nuovo governo che si configurerebbe come “costituente”: uno strumento per accompagnare le riforme.
Certo, tra due settimane mancherebbe ancora il sì del Senato alla legge elettorale ma a quel punto nessuno — nemmeno Silvio Berlusconi — sarebbe interessato a far saltare un sistema che garantisce il bipolarismo e quindi la centralità di Forza Italia.
Non solo. A breve proprio il segretario pd dovrebbe schierarsi a favore di una modifica alla riforma che introduca, insieme alla norma “salva-Lega” anche una “salva-Sel”, che prevede il recupero del “miglior perdente” all’interno di una coalizione, ossia il primo partito che non supera lo sbarramento al 4,5% (e che probabilmente verrà abbassato al 4).
Questo emendamento sarebbe una sorta di wild card a disposizione di Vendola per ricomporre il dissidio con i democratici e, nel caso, per rientrare nella maggioranza appoggiando un eventuale gabinetto Renzi.
Si tratterebbe di una decina di voti in più al Senato in grado di irrobustire la maggioranza. Una pattuglia che per molti potrebbe ulteriormente infoltirsi con l’approdo di quei grillini dissidenti pronti a manifestarsi in occasione del voto sulla riforma elettorale.
Eppure, in tutti i colloqui si valutano anche i tanti ”contro” che sconsigliano la “staffetta”. In primo luogo è proprio Renzi a non volerne sapere. «Per me non esiste. Deve andare avanti Letta — ripete ad ogni piè sospinto — Deve essere lui a cambiare passo. Io resisto. E rimango dove sto».
Il secondo ostacolo riguarda il Quirinale. Un nuovo governo deve superare il check in del Colle. E fino ad ora Napolitano non ha mai nascosto la sua preferenza a favore della continuità lettiana.
Le controindicazioni, però, non sono solo queste. L’”effetto-D’Alema” potrebbe avvolgere l’intero disegno. Arrivare a Palazzo Chigi dalla porta di servizio e dopo aver fatto traslocare un esponente del proprio partito, può trasformarsi in un colpo letale.
Bruciando l’ennesima leadership del centrosinistra. Senza contare che nessuno è in grado di prevedere la reazione di Silvio Berlusconi. «È chiaro — ragionava proprio nel week end il Cavaliere — che se nasce il governo Renzi, noi chiederemo di entrare».
Un’ipotesi che fa letteralmente inorridire il sindaco. Il capo di Forza Italia però se fosse respinto, avrebbe le mani libere per far saltare il patto per abolire il Senato e rivedere il Titolo V della costituzione.
In quel caso lo show down non farebbe altro che portare al voto anticipato. Un azzardo se non si modifica il ruolo del Senato. Anche con l’Italicum, infatti, restano altissime le probabilità di dover fare i conti con aula di Palazzo Madama di nuovo ingestibile ed esposta alla rinascita delle larghe intese.
Sta di fatto che il bivio resta. Domani il premier proverà a sfidare Renzi chiedendo in direzione subito l’impegno a formare un nuovo governo.
Se Letta non convince il suo partito, dinanzi a Largo del Nazareno e a Piazza del Quirinale si ripresenterà la medesima biforcazione: voto o incarico a Renzi.
E come dice il prodiano Sandro Gozi, ex funzionario della Commissione europea, «nulla impedisce di aprire le urne durante il semestre di presidenza dell’Ue.
Da quando c’è il presidente permanente del Consiglio europeo, quello di turno è una sorta di assistente. E comunque è accaduto anche nel 1996».
Quando nella corsa a Palazzo Chigi vinse Romano Prodi.
Claudio Tito
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply