IL COLTELLO, I SACCHI, I SOLDI: FILIPPO TURETTA E LA PREMEDITAZIONE NEL’OMICIDIO DI GIULIA CECCHETIN
L’ATTIVITA’ PREPARATORIA, IL NASTRO ADESIVO SUL LAGO DI BARCIS
Ci sono i sacchi che ha usato per nascondere il cadavere. E poi il coltello con cui l’ha colpita più volte. Ma anche i pezzi di nastro adesivo trovati a Fossò. E le ricerche su internet per la sopravvivenza in alta quota. L’indagine della procura di Venezia chiarirà se Filippo Turetta ha premeditato l’omicidio di Giulia Cecchettin. L’arresto in Germania dopo il passaggio in Austria mette un punto alla storia. Così come il ritrovamento del corpo della ragazza in un canalone vicino al lago di Barcis ha chiuso ogni speranza di una fine lieta della vicenda. Ora Turetta deve fronteggiare l’accusa di omicidio volontario. L’unica aggravante finora contestata è quella dell’omicidio di una persona con cui aveva una relazione sentimentale.
L’attività preparatoria
Ma nel decreto di perquisizione con il quale i carabinieri avevano acquisito materiale a casa della famiglia Turetta spiegava di dover «comprendere se l’azione delittuosa è stata preceduta da un’attività preparatoria». La premeditazione come aggravante si desume di solito dall’elemento cronologico, ovvero una persistenza del tempo di attività preparatorie al delitto. E da quello ideologico, che si mostra nel perdurare del disegno criminoso nella persona indiziata. La premeditazione è condizionata quando è legata a un evento futuro. Come la laurea di Cecchettin. Per ora i militari del generale Nicola Conforti hanno verificato che Turetta aveva ricercato su Google i kit di sopravvivenza in alta quota. Aveva anche cercato dettagli sui passaggi verso l’Austria. Ma era un appassionato di trekking e per questo potrebbero significare poco.
Il coltello, i sacchi, lo scotch
C’è poi il coltello. Filippo ha colpito Giulia probabilmente già nella prima aggressione, quella immortalata dalle telecamere della zona industriale di Fossò. Lì è stato trovato un coltello spezzato ma senza macchie di sangue. Si ragiona sulla possibilità che sia l’arma del delitto e che sia stato pulito. L’elemento dell’arma è importante perché se si dimostrasse che lui l’ha portata con sé per la prima volta nell’occasione dell’omicidio questo darebbe un elemento per contestare la premeditazione. Anche la presenza di un secondo coltello potrebbe dare la prova. Il ritrovamento del cadavere di Giulia sotto il piano della strada, infilato sotto un grande masso in una sorta di grotta proprio per nasconderlo a chi passava per caso è un altro elemento importante.
I soldi
Perché sul corpo non c’erano particolari ferite da trascinamento. Probabilmente l’assassino l’ha portata in spalla e poi è risalito. Per questo potrebbe anche arrivare la contestazione di occultamento o soppressione di cadavere. Ma i sacchi neri con cui ha coperto il corpo da dove vengono? Erano già in auto, sono stati trovati lungo il cammino oppure sono stati portati appositamente? Lo scotch ritrovato sulla scena dell’aggressione a Fossò potrebbero costituire un altro elemento per la premeditazione. Così come i soldi che Turetta aveva in tasca e che gli hanno consentito la fuga: aveva fatto provvista prima di andare all’appuntamento con l’ex fidanzata?
«Giulia era l’ossessione di Filippo»
Intanto gli amici di Turetta a Torreglia parlano del ragazzo. C’è chi lo definisce «serio, non rideva tanto» e chi ricorda che durante la pandemia «studiava o stava su Internet. Oppure usciva in macchina per andare dalla ragazza. Poi lei lo ha lasciato, lui si è “introverso” ma era già serio di suo. Dopo il trauma si è chiuso ancora di più», ricordano gli amici. Aveva giocato a pallavolo nel Libertas Volley, prima divisione. Le ragazze del paese, racconta Repubblica, dicono che Filippo «faceva gli appostamenti, la seguiva. Era uno stalker, lo ha raccontato Elena la sorella. Voleva controllarle il telefono, era un matto. Anzi no, non definiamolo matto sennò poi se la cava con la perizia psichiatrica». Una di queste lo conosceva dalle scuole medie: «Era un musone già di suo, ma non ha mai dato un problema».
«Un ragazzo normale»
Nell’intervista che rilascia oggi a la Repubblica invece il padre Nicola Turetta definisce Filippo «un ragazzo normale, praticamente perfetto. Uno sempre bravo a scuola, che non ha mai avuto un problema con i professori o con i compagni. E mai una volta che abbia litigato con qualcuno. Era un buono, un ragazzo molto tranquillo. Andava d’accordo anche con il fratello più piccolo, che ora viene massacrato sui social. Tanti gli stanno scrivendo che è “il fratello del mostro”». Dopo l’addio di Giulia Filippo «diceva “adesso mi ammazzo, io non posso stare senza di lei”. E io gli ho sempre detto: “No, ne troverai altre”. Io sono sicuro che Giulia sapesse che lui non le avrebbe mai torto un capello». Perché «continuavano a uscire insieme, si vedevano sovente. Anche a fine agosto sono andati a un concerto a Vienna, c’erano altri amici. Lei si fidava, evidentemente».
«Spero di vederlo»
Per Nicola «non ci sono state avvisaglie, mi creda, io non le ho viste. A parte il fatto che Filippo era sempre triste, profondamente triste. E allora mia moglie gli aveva dato un suggerimento: “Perché non vai da uno psicologo? Fai due chiacchiere, gli spieghi come stai…”. All’università c’è uno psicologo a disposizione degli studenti, e sappiamo che aveva preso anche l’appuntamento. Ma non so se ci sia poi andato». Adesso, dice Nicola, spera di vederlo: «È pur sempre mio figlio. Non lo giustifico in niente, per quello che ha fatto. E per questo deve essere giudicato, dovrà assumersi la responsabilità. E penso al papà di Giulia, al quale ci sentiamo vicini. Anche noi siamo pieni di dolore».
«Non provo odio»
Invece Gino Cecchettin dice di non provare odio: «Ma spero che campi duecento anni, se si renderà conto di quello che ha fatto proverà dolore». Per la notizia dell’arresto il padre di Giulia ha provato «indifferenza. Io non posso escludere che la amasse, ma lo faceva nel modo sbagliato. Se si renderà conto, proverà dolore. Non ho sentito i genitori di Filippo. Come ho detto ieri, anche loro stanno vivendo un dramma». Dice di non aver avuto mai segnali premonitori: «Non ci sono riuscito e purtroppo ne ho fatto le spese. Da papà è inevitabile farsi delle domande: potevo fare qualcosa per lei? I primi a colpevolizzarci siamo noi genitori. Ho sempre cercato di preservare la privacy di Giulia, anche perché è sempre stata una ragazza coscienziosa, responsabile, e mi sono sempre affidato al suo giudizio».
La sorella Elena
E non è ancora riuscito a vedere sua figlia: «Sono andato nel posto dove è stata trovata ma stanno ancora facendo i rilievi». Mentre sulla sorella Elena sostiene che ha «davvero una grande forza interiore. Elena deve fare tutto quello che si sente. Starò con lei, guai a chi la tocca». Infine, racconta: «L’altro ieri, mentre andavo verso Barcis, mi sono fermato in un bar perché ne avevo bisogno. Lagente mi ha riconosciuto, si è stretta intorno a me, mi ha offerto il caffè. Questo calore mi è entrato nel cuore, vuol dire che qualcosa di buono abbiamo costruito. Ringrazio tutti per l’affetto che ci è stato dimostrato. È un segnale di amore verso una ragazza che tutta Italia ha capito com’era: basta guardare il suo volto, il suo sorriso per capire chi fosse».
(da Open)
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