IL “CORRIERE DELLA SERA”: “TRUMP NON STA RAGIONANDO IN TERMINI ECONOMICI MA IN TERMINI POLITICI, SEGUENDO UNA VISIONE AUTORITARIA, IMPERIALE”
STEVE RATTNER, EX CAPO DELLA BANCA “LAZARD”, BOCCIA TRUMP SU TUTTA LA LINEA: “NON HO MAI VISTO UN DISASTRO SIMILE NEI 50 ANNI CHE HO VISSUTO NEL CUORE DELLA FINANZA” …MENTRE LE BORSE BRUCIANO MIGLIAIA DI MILIARDI, DONALD TRUMP SI RILASSA GIOCANDO A GOLF A MIAMI
Stephen Schwarzman, capo del gigante finanziario Blackstone, è stato il più convinto sostenitore di Donald Trump nel mondo di Wall Street. Tra giovedì e venerdì, in quelli che sono stati due dei giorni più disastrosi della storia del capitalismo (distrutta ricchezza per 6.600 miliardi di dollari, tre volte il Pil dell’Italia), il gruppo del fedele scudiero del presidente ha perso addirittura il 15% del suo valore.
Trump ha fatto male i suoi calcoli e ora, spaventato, medita una mezza marcia indietro mascherata da vittoria? O, sentendosi ormai il «messia» che apre una nuova era, andrà avanti a oltranza? Prevedere le reazioni di un leader che si vanta di avere nell’imprevedibilità un suo punto di forza è arduo, ma ci sono buoni motivi per ritenere che seguirà la seconda strada: guerra commerciale col resto del mondo anche se i mercati, da lui in passato sempre rispettati, lo stanno bocciando.
Non sembra curarsene: era stato avvertito che, imponendo dazi, avrebbe seminato il panico tra investitori e imprese. Ma lo ha fatto lo stesso. E dopo i crolli ha rilanciato sulla sua rete social: «Sofferenze nel breve periodo, ma alla fine otterremo risultati storici per l’America e le sue imprese». E, poi, a caratteri cubitali: «Questa è una rivoluzione economica».
giornalisti che chiedono alla Casa Bianca se il presidente cambierà rotta si sentono rispondere che Trump tirerà dritto, qualunque sia l’umore dei mercati, perché sta semplicemente attuando la politica che aveva annunciato nei comizi prima del voto: sta, quindi eseguendo la volontà del popolo.
Steve Rattner, ex capo della banca Lazard e della task force che salvò l’industria Usa dell’auto durante la presidenza Obama, è lapidario: «Mai visto un disastro simile nei 50 anni che ho vissuto nel cuore della finanza. Ed è stato un disastro chiaramente
annunciato». Tutto ciò accade perché Trump non sta ragionando in termini economici ma in termini politici, seguendo una visione autoritaria, imperiale, alimentata da almeno tre ordini di distorsioni che, annidiate da anni nella sua psicologia, sono state trasmesse anche a buona parte dell’opinione pubblica americana.
Così, innanzitutto è arrivata la resa dei conti sulle falsità che il presidente ha impunemente diffuso per anni. Sono entrate nel sistema linfatico del Paese cambiando la stessa natura del dibattito politico. Quando, poi, dalle falsità politiche, Trump è passato a prendere decisioni economiche estreme sulla base di dati falsi, è arrivato il crollo.
E lui, circondato solo da fedelissimi accondiscendenti, visto che tutti i «conservatori responsabili» della prima era Trump sono stati epurati, ha seguito i suoi istinti più estremi. Trasferendo (terzo elemento), le sue ossessioni e i rancori per essersi sentito sottovalutato e ingiustamente osteggiato per anni, dalla sfera degli Usa a quella planetaria: il ruolo svolto dagli Stati Uniti nel Dopoguerra, sicuramente costoso per quanto riguarda la difesa militare dell’Occidente, ma anche vantaggioso in termini di leadership economica e di «regno» del dollaro, è diventato, nella sua narrativa avvelenata, la storia di un’America umiliata e sfruttata dagli altri Paesi, soprattutto quelli amici. Un’ingiustizia che i suoi predecessori hanno tollerato: solo lui ha avuto gli attributi per denunciarla e troncarla.
Davanti ai suoi insuccessi diplomatici (soprattutto Putin e Israele che continuano ad andare per la loro strada nei conflitti che Trump aveva promesso di far cessare immediatamente) e ai disastri economici, Trump cambierà rotta? Può darsi: davanti al disastro gli imprenditori cominceranno a farsi sentire, mentre repubblicani fin qui allineati e pressoché silenziosi, cominciano ad agitarsi.
Qualcuno chiede di limitare i poteri del presidente mentre il senatore del Texas Ted Cruz parla di «bagno di sangue» per il suo partito alle elezioni di mid term del prossimo anno se la guerra commerciale di dazi e contro dazi durerà per altri 90 giorni.
Ma quello che continuiamo a vedere è un Trump «imperiale» non solo negli atteggiamenti politici, ma anche nella sua volontà di trasformare il capitalismo, col dominio delle forze di mercato, sostituito da un controllo economico esercitato dal centro.
Un modello oligarchico nel quale ha mostrato fin qui di trovarsi bene anche Elon Musk mentre il suo «gemello» della Silicon Valley, Peter Thiel, vede avvicinarsi il traguardo che aveva indicato tre anni fa: spazzare via la «gerontocrazia delle banche centrali» e di un sistema finanziario tradizionale: per lui un ostacolo allo sviluppo della nuova era delle valute digitali.
Incurante del terremoto finanziario creato dai suoi dazi, il presidente americano ha deciso di dedicarsi al suo sport preferito: il golf. Giovedì scorso Donald Trump è atterrato a Miami, in Florida, dove ha partecipato a un torneo finanziato dai sauditi e poi si è trasferito nella vicina Mar-a-Lago, la sua magione a Palm Beach, dove ieri si è preso anche la soddisfazione di vincere il secondo turno della Senior Club Championship presso il suo Trump National Jupiter club. E non è finita qui.
Oggi il presidente sarà impegnato nel Championship Round. Questo è il terzo torneo cui Trump partecipa durante il suo secondo mandato e ha vinto i primi due trofei. Ma non è detto che i suoi elettori apprezzino
(da agenzie)
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