IL DEBITO MONSTRE DI ROMA: FINORA E’ STATO RIPAGATO PIU’ ALLE BANCHE CHE AI PRIVATI
L’UNICA STRADA E’ RINEGOZIARE I TASSI DI INTERESSE
Promettere la ristrutturazione del debito pubblico è un argomento di sicuro successo elettorale. Figurarsi se in ballo c’è quello della Capitale: oltre ai 35mila euro dovuti per il solo fatto di essere italiani, se ne aggiungono cinquemila per la cittadinanza romana.
«Vogliamo ristrutturare il debito», dice la favorita a diventare il prossimo sindaco, Virginia Raggi.
Facile a dirsi, difficile solo a descriverlo nei dettagli: circa tredici miliardi di euro dovuti a dodicimila creditori, 1.686 mutui, due contratti derivati, un costo di 500 milioni l’anno per gestire quel debito, 300 dei quali erogati dal bilancio dello Stato, ovvero dai contribuenti di Aosta e Canicattì insieme.
Il Comune di Roma non ha la certezza su chi siano il 77 per cento dei debitori, nè il 43 per cento dei creditori.
O meglio, fra le montagne di scartoffie da qualche parte c’è scritto, ma ancora non è stato possibile rintracciarli.
La relazione depositata in Parlamento due mesi fa dal commissario Silvia Scozzese è molto più dettagliata di quel che la propaganda Cinque Stelle vorrebbe farci credere.
I mutui ad esempio: sono quasi tutti contratti con la Cassa depositi e prestiti (1.491), ma si tratta di soldi che sono stati concessi secondo regole di mercato, e non possono essere cancellati da un giorno all’altro.
È una leggenda quella secondo la quale il debito della Capitale sia in gran parte da attribuire ai romani stessi: lo stock di crediti non riscossi dal Comune di Roma per gli affitti vale 350 milioni, una frazione di quei 13 miliardi.
Certo è che se gli inquilini pagassero regolarmente e non i sette euro al mese che ancora sono concessi ad alcuni fortunati, i numeri sarebbero meno impietosi.
Ma questa è un’altra storia.
Su un punto invece la Raggi ha ragione, ed è quando dice che quel debito è «principalmente finanziario e nei confronti delle banche».
Lo è più della metà , per l’esattezza il 55,7 per cento, al cambio 7 miliardi e 128 milioni.
Altri due miliardi sono debiti verso altri soggetti della pubblica amministrazione, 3 miliardi e 600 milioni sono i veri e propri debiti commerciali verso privati.
Per onorare i suoi 1.686 mutui il Comune paga lauti interessi, mediamente pari al cinque per cento.
Una cifra fuori mercato, se si considerano i prezzi medi ai quali oggi si può accendere un mutuo. Con un po’ di buona volontà , e l’input politico di un sindaco che avesse voglia di farlo, si potrebbero risparmiare fino a 150 milioni di euro all’anno.
Poichè i romani pagano un’addizionale Irpef dello 0,4 per cento per gestire il debito, quei 150 milioni sarebbero sufficienti a ridurre di tre quarti quell’odioso balzello. Francesco Boccia del Pd ricorda che l’anno scorso, per aiutare le Regioni a rinegoziare i mutui con la Cassa depositi e presiti, si fece una legge ad hoc. «Non si capisce perchè non lo si possa fare anche per il Comune di Roma».
La cosa più sorprendente della relazione della Scozzese è sui numeri della gestione commissariale degli ultimi cinque anni, più o meno da quando i contribuenti romani e non hanno iniziato a versare i 500 milioni che ogni anno (e per l’eternità ) servono a onorare il debito romano.
Da allora sono stati pagati cinque miliardi e 600 milioni: una cifra ragguardevole, che uno immagina siano serviti anzitutto a pagare fatture rimaste inevase.
Chi non ricorda la campagna dell’allora premier Monti e del suo ministro Passera per abbattere i debiti dello Stato verso i suoi creditori privati?
E invece no: quasi la metà di quei 5,6 miliardi – più o meno 2,6 – sono stati necessari a pagare il costo dei mutui e dei contratti derivati.
Altri 2,6 miliardi hanno onorato fatture verso altre amministrazioni pubbliche, dall’Atac all’Ama.
La cifra destinata ad estinguere i debiti veri e propri è stata di appena 300 milioni di euro, il cinque per cento dell’ammontare.
Che sia Giachetti o Raggi, prima di chiedere conto di eventuali numeri ignoti, il prossimo sindaco farebbe bene a far chiarezza sui numeri noti.
Alessandro Barbera
(da “il Corriere della Sera”)
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