IL GRANDE FREDDO FRA ENRICO E MATTEO
LETTA: “RENZI VUOLE IL MIO POSTO? MI SFIDUCI”
Lo conferma la telefonata serale con Giorgio Napolitano. Ma pesa, nella valutazione degli alleati di governo e in quella dei semplici parlamentari, il rapporto con Matteo Renzi.
Un gelo assoluto, un silenzio assordante. Il segretario del Pd, ossia il principale partito della maggioranza, e il premier non si parlano e non si messaggiano da quasi due settimane.
Dal giorno in cui Letta, in tv, ha accennato all’ipotesi di mettere il conflitto d’interessi nel patto di coalizione. Il passo e chiudo fu un sms feroce di Renzi.
Per questo Scelta civica, il partito di Angelino Alfano e tanti esponenti del Pd, a partire dalla minoranza interna, si chiedono come possa proseguire l’esecutivo in carica.
Come possa arrivare in porto la riforma elettorale se sembra scontato che, una volta approvato l’Italicum, immediatamente dopo, la soluzione sia esclusivamente il ritorno alle urne.
Una prospettiva che non piace nè ai montiani, nè all’Ncd, nè ai bersaniani e cuperliani.
Ecco perchè la maggioranza vuole Renzi a Palazzo Chigi subito, proprio per stabilizzare la situazione, fare davvero tutte le riforme, insomma guardare ben oltre il 2015. Magari al 2016, al 2017.
«Letta deve stare attento – dice un renziano –. La scelta sui commissari europei si fa in queste settimane. Se salta questa finestra rischia di rimanere a bocca asciutta». Come dire: gli conviene farsi da parte e avrà un posto in Europa.
Altrimenti, niente. In questo quadro nascono le indiscrezioni sull’addio di Alfano a Letta, su un’uscita degli alfaniani dall’esecutivo.
Gli antirenziani Nico Stumpo e Alfredo D’Attorre tifano apertamente per il governo Renzi, «unica garanzia di stabilità e di successo delle riforme».
Il capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza illustra un punto politico dirimente: «O Renzi si impegna nel sostenere Letta legittimandolo e rafforzandolo oppure il governo non tiene. Il segretario deve fare una scelta politica ».
Ma conversando con i suoi colleghi in Transatlantico Speranza si mostra pessimista: «Non basta incardinare la sola legge elettorale. I deputati annusano la trappola delle elezioni e non la fanno passare. Se invece si capisce che l’alternativa è un esecutivo stabile e riforme possibili, la situazione si tranquillizza».
Oggi Renzi e Letta in qualche modo dovranno rompere il ghiaccio nella direzione del Pd.
Il sindaco non accetterà strappi dal premier: «Se viene a dirci che non lo appoggiamo abbastanza, che il partito dev’essere più compatto, allora finisce male». L’intenzione di Letta non è quella.
«È tutto più lineare e più chiaro di quello che appare – spiega ai fedelissimi –. Ho preso la fiducia in Parlamento e sarà il Parlamento a sfiduciarmi quando verrà il momento. Adesso vado avanti». Senza forzare.
Se oggi prenderà la parola sarà per dire che Palazzo Chigi vuole accompagnare le riforme e realizzare il programma. Ma per farlo ieri il premier ha dovuto stringere i bulloni. Ha visto Giorgio Squinzi, il presidente di Confindustria che vorrebbe staccare la spina, ha sentito Napolitano per avere di nuovo la sponda piena del Colle, ha pranzato con Lupi, Alfano e Franceschini per tenere unito l’esecutivo.
Mosse che rivelano il senso di una giornata molto delicata per il capo dell’esecutivo. Intorno a lui tutto si muove nella direzione contraria alle sue aspettative.
Il lavoro ai fianchi arriva anche dalle opposizioni. Con Sel prontissima a stare dalla parte di un governo Renzi e impegnata in un dialogo costante, al Senato, con una dozzina di parlamentari grillini.
Che potrebbero staccarsi dalla casa madre, che potrebbero appoggiare dall’esterno un nuovo esecutivo. «Ecco, se Napolitano vuole davvero le riforme, se quello è il suo assillo, sappia che con Letta la strada è in salita», ripetono i renziani in tutti i colloqui con compagni di partito e colleghi di maggioranza.
I tempi non sono ancora maturi. Alla fine della giornata, dopo la mediazione di tanti a cominciare da Franceschini, la minuscola tregua prevede di attendere una settimana, di vedere come procede l’Italicum in aula dove comincia a essere votato martedì.
«Ma se c’è un piccolo incidente sulla legge elettorale, se capita un altro problema con i decreti, Enrico arriva a fine corsa. E non sarà lui ad aver scelto nè i tempi nè il modo», spiegano i renziani.
Ha tutta l’ariadi una profezia che si autoavvera.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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