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IL MEDIOEVO TORNA SUI CAMPI; SONO 60.000 LE ITALIANE IN SCHIAVITU’

SONO ITALIANE LE NUOVE SCHIAVE: PIU’ RICATTABILI PER I CAPORALI…NELLA SOLA PUGLIA SONO 40.000 CON PAGHE DI 30 EURO PER 10 ORE DI LAVORO

Alle tre di notte le donne del Brindisino e del Tarantino sono già  in strada.
Indossano gli abiti da lavoro e hanno in mano un sacchetto di plastica con un panino. Nei punti di raccolta, agli angoli delle piazze, alle stazioni di benzina, aspettano il caporale che viene a prenderle con l’autobus gran turismo per portarle sui campi, dove lavorano sfruttate e ricattate, a volte anche con la richiesta di prestazioni sessuali. Sono soprattutto italiane, più affidabili, ma soprattutto più “mansuete” delle lavoratrici straniere, protagoniste in passato di proteste e denunce.
Per costringere le italiane al silenzio non servono violenze fisiche.
Basta la minaccia “domani resti a casa”.
“I proprietari dei pullman sono i caporali. È a loro che ci rivolgiamo per trovare lavoro in campagna o nei magazzini che confezionano la frutta”, racconta Maria, nome di fantasia, che ha 24 anni e lavora sotto i caporali da quando ne aveva 16.
Secondo le stime del sindacato Flai Cgil, sono 40mila le braccianti pugliesi vittime dei caporali italiani, che in molti casi hanno comprato licenze come agenzie di viaggio, riuscendo così ad aggirare i controlli.
Il reclutamento.
“Nei paesi ci sono delle persone, generalmente sono delle donne, che fanno da tramite tra chi vuole lavorare e il caporale. Raccolgono i nominativi per lui – racconta Antonietta di Grottaglie – Il caporale decide dove mandare a lavorare le braccianti e quello che deve essere dato come salario. Cercano di non avere uomini, anche per i lavori pesanti, perchè le donne si possono assoggettare più facilmente”.
Antonio, altro nome di fantasia, è ancora più esplicito: “Non vogliono stranieri, il motivo è che loro si ribellano e gli italiani no: ci sentiamo gli schiavi del terzo millennio, ci hanno tolto la dignità “.
Le italiane sfruttate per la fragola “top quality”.
“La donna si presta di più a un lavoro piegato di tante ore – spiega un produttore agricolo che assume circa 60 operaie nelle sue serre di Scanzano Jonico – Io ho quasi tutte italiane, andiamo a prendere la manodopera in Puglia, perchè quella locale non basta. In tutta Scanzano esistono 600 ettari di coltivazioni di fragole. A 6 donne a ettaro fanno 3600 braccianti donne”.
Ci sono rumeni che si propongono per la raccolta, ma non vengono quasi mai presi in considerazione.
“La fragola è molto delicata   –   dice Teresa   –   facilmente si macchia e diventa invendibile, per questo servono le donne a raccoglierla nelle serre, con la temperatura che raggiunge i 40 gradi”.
Tra Scanzano, Pisticci e Policoro si produce la fragola Candonga, brevettata in Spagna e diventata un’eccellenza molto apprezzata sul mercato perchè è più grande e ha una lunga durata. Spesso vengono “trattate” con ormoni come la gibberellina, come vediamo dalle scritte sui tendoni “campo avvelenato”.
Caporali tour operator.
Da aprile a settembre centinaia di grossi pullman si spostano carichi di lavoratrici tra le province di Brindisi, Taranto e Bari per la stagione delle fragole, delle ciliegie e dell’uva da tavola. Grottaglie, Francavilla Fontana, Villa Castelli, Monteiasi, Carosino, sono solo alcuni dei nomi della geografia del caporalato italiano che sfrutta le donne. Il nome del caporale è scritto in grande, stampato sulla fiancata dei bus, insieme al numero di cellulare. “È per questo che nessuno li ferma”, dice Teresa, altro nome di fantasia.
Donne e italiane, le nuove vittime del caporalato agricolo
Il potere del caporale si misura dal numero di pullman che possiede, perchè questo è indice anche della quantità  di lavoratori che riesce a controllare. Si va dalle cinquanta alle oltre 200 persone.
Il caporale prende dall’azienda circa 10 euro a donna e sui grandi numeri guadagna migliaia di euro a giornata. “Nel magazzino per il confezionamento dell’uva da tavola dove lavoro ci sono mille operaie italiane, portate lì da più di dieci caporali diversi”, racconta Antonio, bracciante della provincia di Taranto. In questi giorni i pullman percorrono quasi cento chilometri, dalla Puglia fino alle aziende agricole che producono fragole nel Metapontino, tra Pisticci, Policoro e Scanzano Jonico, in provincia di Matera.
Questi proprietari conferiscono il prodotto a dei consorzi di commercianti con sede nel nord Italia che hanno magazzini in loco.
L’intermediario prende una percentuale variabile, almeno del 2%, poi si aggiungono i costi delle cassette e la tariffa del 12% pagata al “posteggiante”, il personaggio che la espone in vendita ai mercati generali. Alla fine si arriva a un prezzo al consumatore anche di 7 euro al chilo nei supermercati di Milano.
Sfruttate come lavoratori immigrati.
Gli orari di lavoro e la paga variano a seconda del tipo di raccolta. Ma la regola sono impieghi massacranti e sottosalario.
Alle fragole si lavora per sette ore, ma se sono mature e vanno raccolte subito si arriva anche a 10 ore. Nei magazzini di confezionamento si arriva anche a 15 ore.
Ogni donna deve raccogliere una pedana di uva pari a 8 quintali. Se ci mette più tempo la paga resta uguale, per cui alla fine il salario reale è meno di 4 euro l’ora.
“C’è il pregiudizio che le donne iscritte negli elenchi agricoli siano false braccianti   –   spiega Giuseppe Deleonardis, segretario della Flai Cgil Puglia   –   invece vivono una condizione di sfruttamento pari agli immigrati. Nel sottosalario, a parità  di mansioni con gli uomini, c’è un’ulteriore differenza retributiva: se la paga provinciale sarebbe di 54 euro e all’uomo ne danno in realtà  35, la donna non va oltre 27 euro”.
Ricatti ed estorsioni.
Il salario ufficiale è di 50-60 euro. Ma vengono segnate la metà  delle giornate di lavoro effettivamente lavorate. Le braccianti vengono costrette a firmare buste paga che rispettano i contratti, perchè le aziende hanno bisogno di dimostrare che sono in regola per poter accedere ai finanziamenti pubblici. Di fatto continuano a pagare un terzo o al massimo la metà  del salario dovuto, richiedendo indietro i soldi conteggiati in busta paga.
“In provincia di Taranto, con inquadramento minimo, posso avere una busta paga ‘ufficiale’ di 47 euro lordi, però in realtà  me ne arrivano 27, massimo 28 a giornata – racconta Antonietta –   L’azienda ci dà  il foglio di assunzione, noi dobbiamo portarlo con noi tutti i giorni nel caso ci dovesse essere un controllo. L’autista del pullman risulta essere un dipendente dell’agenzia di viaggio”.
I datori di lavoro mettono la paga del caporale sull’assegno che percepiscono le lavoratrici, le quali riscuotono e danno al caporale la sua parte in nero.
Sotto gli occhi della fattora.
Nei campi italiani succede di tutto, approfittando della disperazione e della crisi economica. C’è chi aspira a diventare una “fissa” della squadra del caporale come se fosse una specie di nota di merito in graduatoria.
Chi subisce molestie sessuali o la richiesta di prostituirsi per poter lavorare.
Ci sono donne caporali che sono anche proprietarie di pullman. Ma la figura più ambigua è quella che tutti chiamano “la fattora”, una sorta di kapò al femminile con una funzione di ricatto.
È lei la persona di fiducia del caporale che controlla le lavoratrici sul campo. “Il suo ruolo è di subordinare psicologicamente le braccianti, garantendo loro assunzioni se rinunciano ai diritti”, spiega Deleonardis. “Alla minima protesta, rimostranza o insubordinazione si resta a casa per punizione – dice Teresa – Anche se ti lamenti perchè non vuoi viaggiare nel cofano del pulmino”.
Nè denunce nè ispezioni. Emerge il quadro di un sistema di produzione basato su ricatti, soprusi, omertà  e conoscenza personale.
“Non ho mai visto un pullman essere fermato da una pattuglia della polizia, anche se ne incontriamo molte”, continua Antonio.
Secondo Deleonardis questo è un sistema di caporalato legalizzato. “È una situazione conosciuta da tutti sul territorio. Qui c’è una tolleranza di un sistema di illegalità , non si vuole colpire il caporalato   –   dice il sindacalista – Abbiamo chiesto al prefetto di Taranto di fare dei controlli, ma possibile che non ci sia mai una verifica se i pullman hanno le autorizzazioni a trasportare persone e in quali aziende vanno?”.
I dati ufficiali del ministero del Lavoro dicono che ci sono state 1818 ispezioni in Puglia in tutto il 2014.
Quelle che hanno riscontrato irregolarità  sono state 925, circa il 50%, per un totale di 1299 lavoratori coinvolti, pari a 1,4 lavoratori ad azienda.
Un numero davvero esiguo se paragonato ai datori di lavoro che assumono anche mille braccianti per volta servendosi dei caporali.

Raffaella Cosentino
(da “La Repubblica“)

This entry was posted on lunedì, Maggio 25th, 2015 at 22:35 and is filed under denuncia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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