IL “NON CI STO” DI TRIA: “NON SARA’ LUI A METTERE LA FIRMA SUL DEFAULT DELL’ITALIA”
LA RESISTENZA DEL MINISTERO DELLE ISTITUZIONI: SE SALTA LUI, SALTA IL GOVERNO
C’è “l’esclusivo interesse della nazione” che ha in mente Tria. E c’è “la manovra del popolo”, con la richiesta, fatta filtrare dai Cinque Stelle e dalla Lega, di arrivare al 2,4% di deficit/Pil per coprire il reddito di cittadinanza, perchè è evidente che i tagli non bastano.
È un gioco duro, condotto come sempre con crescente tensione ed esibizione di muscoli.
Alla fine al Tesoro sono convinti che l’accordo si farà , con un obiettivo di deficit attorno all’1,8-1,9 al massimo, perchè in ballo c’è la tenuta stessa del paese.
E chissà se è un caso, a proposito di tenuta, che quando Tria stamane ha preso la parola lo spread era in rialzo a 237 punti base e quando ha terminato il discorso era sceso a quota 228. In mezzo le sue parole solenni che, nel momento cruciale della trattativa sui conti, richiamano la responsabilità di chi è chiamato a ricoprire incarichi di Governo: “Ho giurato sull’esclusivo interesse della nazione e non di altri. Poi ognuno può avere un’idea dell’interesse della nazione”.
Perchè questo è il punto, alla vigilia del giorno più lungo, in cui sarà approvata al Consiglio dei ministri la Nota di aggiornamento al Def. Chi ha una consuetudine col ministro assicura che c’è una soglia oltre la quale non andrà mai, “perchè non sarà lui a mettere la firma sul default del paese”.
Non è una questione di tira e molla, di perfidia delle tecnocrazie che sono lì da vent’anni.
Superare il limite del consentito con Bruxelles, e al momento sarebbe l’1,6, significa mettere nel conto la procedura di infrazione e accendere la miccia dei mercati. Manovra rischiosa, dannosa proprio per il popolo.
Ecco perchè Tria ammonisce i tanti sordi che non vogliono sentire: “Stiamo attenti perchè a volte se uno chiede troppo poi deve pagare interessi maggiori e quello che si guadagna si perde in interessi. Se si perde fiducia sulla stabilità finanziaria nessuno investe, se si crede che domani c’è il disastro nessuno compra i nostri titoli”.
Interesse della nazione e disastro.
Il Tesoro è si è trasformato, anche nel linguaggio, in una specie di ministero istituzionale: certezza per il Quirinale, riferimento per quella rete di protezione, da Mario Draghi a Bankitalia, attenta alla messa in sicurezza del paese, addirittura lodato dalle opposizioni per responsabilità , come se fosse, appunto, un luogo terzo delle istituzioni e non un ganglio della nuova maggioranza politica che anzi ne colpevolizza la struttura, in quanto freno del cambiamento.
Il giorno prima del Def è chiaro che ognuno tiene fino all’ultimo, ma non tutti hanno le stesse armi per la battaglia finale.
E quella di Tria è atomica: “Se salta lui — sussurrano fonti autorevoli — salta il governo”.
Perchè è inimmaginabile che si cambi ministro, in nome del cambio dei saldi. Immaginate una crisi, a sessione di bilancio aperta, con lo spread che si impenna e l’Italia che torna il malato che rischia di contagiare gli altri paesi.
Una specie di 2011, riveduto e corretto. Prospettiva che, al dunque, dovrebbe piegare anche i negoziatori più esuberanti.
E se 2,4 è una richiesta lunare, anche il 2 per cento di deficit non è scontato.
Perchè la verità è che una vera trattativa con Bruxelles non c’è stata. Nè il premier ha mai preso di petto, nell’ambito di un negoziato europeo, le raccomandazioni della Commissione all’Italia, che chiedono una riduzione dello 0,6 del deficit strutturale. Se prese in senso letterale quelle raccomandazioni significano che il deficit dovrebbe scendere all’1 per cento.
Ecco il punto che spiega perchè al Tesoro la soglia di sicurezza è ancora posta all’1,6 con la possibilità di scostarsi al massimo di due decimali.
Nè è immaginabile un cambio dei saldi a manovra in corso, con una cifra messa nella Nota di aggiornamento e il Parlamento che la cambia, perchè questo comporterebbe la necessità di riscrivere la manovra.
Il problema, per il tecnico Tria, è che non c’è stato un negoziato politico, perchè da che mondo è mondo il compito dei tecnici è quello di far quadrare i conti, ma spetta alla politica creare le condizioni.
Renzi, nel bene o nel male ad esempio, creò le condizioni di uno scambio politico, assicurando accoglienza sui migranti in cambio di flessibilità , il che consentì anche di cambiare una manovra in corsa.
Stavolta, lo stesso dossier ha prodotto un irrigidimento, dopo l’estate delle navi bloccate in mare da Salvini.
Parliamoci chiaro: oltre l’1,8-1,9 per Tria non si può andare, perchè già questa soglia può mettere il paese a rischio procedura di infrazione. Al momento non basta.
E a fine giornata il ministro delle Istituzioni sembra riscuotere più successo tra le opposizioni che in maggioranza: “Noi — dice Brunetta — siamo fiduciosi in Tria. Altrimenti non ci rimane che attendere un immediato declassamento delle agenzie di rating”.
(da “Huffingtonpost“)
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