IL NUOVO DECRETO ALBANIA E’ L’ENNESIMO PASTICCIO: SECONDO GLI ESPERTI CI VUOLE IL CONSENSO DEL MIGRANTE PER IL TRASFERIMENTO N UN TERZO STATO
CI SARA’ UNA PIOGGIA DI RICORSI E UN AUMENTO DEI COSTI PER LA SCENEGGIATA SOVRANISTA (TRIPLICATI)… COSA ASPETTA LA CORTE DEI CONTI A MANDARE LA FATTURA AI RESPONSABILI?
La data da segnare sul calendario è quella di lunedì 31 marzo. Quel giorni il centro di Gjader in Albania tornerà ad “accogliere ospiti”. Ma non più le persone salvate in mare. Ma irregolari trasferiti direttamente dall’Italia. I
l decreto di due soli articoli approvato ieri dal consiglio dei ministri rimette però al lavoro solo il Cpr che ha 48 posti. Quello di Shengjin da 880 invece resterà in stand by. E pazienza se attualmente i 10 cpr italiani non contengono che alcune centinaia di persone. Ma secondo gli esperti «un migrante che deve essere rimpatriato può essere trasferito in uno Stato terzo solo con il suo consenso, non da trattenuto». E questo potrebbe diventare un altro guaio per il governo.
Il decreto
Il decreto di ieri amplia la capacità di accoglienza del Centro di permanenza per i rimpatri. Passerà da 48 a 144 posti letto. Sono 1200 i posti totali dei Cpr italiani. E se ne stanno costruendo altri cinque. In attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che arriverà poco prima dell’estate. E del regolamento dell’Ue su immigrazione e asilo atteso per giugno 2026. Secondo il Viminale però il decreto non è in contrasto con l’articolo 3 della direttiva 115 del 2008. Perché «avverrebbe in una struttura prevista dalla legge italiana, alle condizioni e con tutte le garanzie poste dalla normativa nazionale e dell’Unione e sotto la responsabilità dello Stato italiano». Anche se lì gli irregolari non potranno essere trattenuti per più di 18 mesi. D’altronde, spiega il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, «già adesso molto spesso un cittadino trattenuto a Milano viene trasferito a Caltanissetta».
Il Tavolo Asilo e immigrazione
Il Tavolo asilo e immigrazione dice che il Cpr in Albania «è un progetto che va sbattere contro la direttiva Ue sui rimpatri». Il ministro stesso non esclude che «ricorsi e cavilli giuridici» potrebbero farlo naufragare. «Noi lo applicheremo convinti che sia sostenibile da un punto di vista giuridico. Poi vedremo». I viaggi saranno in aereo o in nave a seconda della logistica e della distanza. E non ci saranno «costi agguntivi», sempre secondo l’esecutivo. Gianfranco Schiavone, giurista dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), dice a Repubblica che la trasformazione di Hjader «non cambierà assolutamente nulla rispetto al quadro della gestione dell’immigrazione irregolare in Italia».
Il 50%
Perché già oggi il 50% degli stranieri trattenuti in un cpr esce per mancata proroga o per decorrenza dei termini. In Albania ci saranno da pagare le indennità di trasferta del personale. E la permanenza fino a 18 mesi fa il paio con la circostanza che a Gjader l’ospitalità costa più cara che in Italia. Schiavone spiega anche che «non è possibile sostenere che i centri sono conformi al diritto Ue». Perché la Corte costituzionale albanese ha verificato che non ci sono cessioni di territorio. E quindi i centri sono all’estero: «Nel diritto europeo per allontanamento si intende unicamente quello dal territorio dei Paesi membri ed eventualmente in funzione di un accordo con un Paese di transito che però si assume la responsabilità piena della gestione della persona».
Il consenso al trasferimento
Silvia Albano, presidente di Magistratura democratica e giudice della sezione immigrazione del Tribunale di Roma che ha bocciato le prime convalide, ribadisce
che la questione del consenso al trasferimento esiste. In un’intervista a Repubblica la giudice spiega che la competenza spetta al giudice di pace di Roma. Ma in ogni caso «il centro non si trova in territorio italiano, il protocollo esclude una cessione di territorio da parte dell’Albania. La direttiva rimpatri prevede che un migrante, che debba essere rimpatriato perché destinatario di un provvedimento di espulsione esecutivo, può essere trasferito in uno Stato terzo solo con il suo consenso, ma in questo caso verrebbe mandato in uno Stato terzo da trattenuto».
La domanda di asilo
Poi c’è un’altro problema. A volte la persona trattenuta fa domanda di asilo: «Accade molto spesso e a quel punto il trattenuto nel cpr diventa richiedente asilo, cambiano i presupposti e deve adottarsi un altro provvedimento di trattenimento che dovrà essere convalidato dalla Corte d’appello di Roma. Trovandosi in Albania si apre il problema di quale procedura sia applicabile». E quindi: «La legge italiana e la normativa europea stabiliscono che il richiedente asilo ha diritto a stare nel territorio italiano in attesa della definizione della sua domanda, salvo il caso della procedura accelerata di frontiera. Per coloro che richiedono asilo nei cpr albanesi potrebbero non sussistere i presupposti, fermo restando che pende la questione dei paesi sicuri davanti alla Corte di Giustizia».
I costi
Infine, i costi: «Di fronte al fatto che i cpr italiani sono in parte vuoti, vale la pena di spendere almeno il triplo di quanto si spenderebbe in Italia per mantenere un cpr? Il protocollo, ad esempio, prevede che in Albania debbano essere garantite dall’Italia anche le strutture sanitarie, mentre in Italia l’assistenza sanitaria per i trattenuti è garantita dalla Asl. Sarà difficile rispettare la clausola di invarianza finanziaria».
(da agenzie)
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