IL PIANOFORTE LIBERO CHE INCANTA MILANO
ALLA STAZIONE UNA TASTIERA PER VIRTUOSI, PASSANTI E CLOCHARD
L’idea è semplice: piazzare un pianoforte nella Stazione Centrale, metterlo a disposizione di tutti e vedere, anzi sentire, quel che succede.
Così, sotto le volte assiro-milanesi dell’atrio, proprio accanto all’albero di Natale, è spuntato un verticalino Kawai con il seggiolino lucchettato a una gamba (non si sa mai) e la scritta «Play me, I’m yours». Detto fatto.
In un’ora e mezza l’hanno suonato in quattro: uno che non sapeva farlo, un altro malissimo, una malino e uno splendidamente.
L’idea
Prima di raccontare nei dettagli chi si mette a suonare in stazione (e come), va precisato che l’iniziativa non è nuova.
L’idea è venuta nel 2008 all’artista britannico Luke Jerram e da allora i pianoforti a tocco libero sono apparsi in piazze, parchi, stazioni, aeroporti di tutto il mondo, e perfino alla Camera dei Lord.
In Italia, Grandi Stazioni li aveva già installati a Venezia Santa Lucia, Firenze Santa Maria Novella e Roma Tiburtina. Assurdo che mancasse proprio Milano Centrale.
Ora, il viaggiatore che si fosse trovato a transitarci intorno alle 13 di ieri avrebbe avuto una sorpresa particolarmente buona.
Infatti sulla tastiera metteva in quel momento le mani uno che sa usarle, benchè abbia soltanto dodici anni.
Si chiama Luca Grianti, è di Segrate, studia musica a Manchester, passava di lì con il papà e ovviamente non ha resistito. Così gli astanti hanno potuto ascoltare lo studio opera 10 numero 12 in do minore di Chopin, sì, quello famosissimo che in altri e più romantici tempi portava il sottotitolo (del tutto apocrifo) di «La caduta di Varsavia» e un’improvvisazione molto jazzistica e swing (e molto bella) su «Jingle bells».
Poi, a gentile richiesta (mia, in effetti) di un po’ di Bach, anche il primo movimento del Concerto italiano.
Risultato, applausi, complimenti, foto con i telefonini e richieste di bis.
Il pubblico era molto eterogeneo: passeggeri in attesa del treno, ferrovieri in attesa dell’inizio del turno, profughi siriani in attesa di proseguire per il Nord (e intanto smistati e assistiti nel mezzanino), barboni in attesa del nulla.
In ulteriore attesa poi che qualcuno faccia qualcosa per l’educazione musicale, duole constatare che ha ragione Riccardo Muti quando dice che l’Italia, da Paese della musica, sta diventando il Paese della storia della musica.
Quindi la comparsa di un pianoforte e soprattutto di qualcuno che sappia suonarlo fa sensazione, mentre ad altre latitudini è del tutto normale.
In ogni caso, davanti all’entusiasmo generale il baby virtuoso Grianti, imperturbabile e divertito, si è limitato a deplorare che lo strumento fosse un po’ scordato e che lui si fosse scordato i guanti, quindi prima di cominciare a suonare aveva le mani intirizzite.
Alla tastiera
Di certo, la sua performance è stata decisamente superiore delle altre che abbiamo potuto apprezzare, si fa per dire, in Centrale.
Nell’ordine: un barbone di colore, un gruppo di turisti filippini che non andavano oltre le prime tre o quattro battute di qualche atroce canzonetta e una signorina di quelle che una volta si definivano di buona famiglia che ha attaccato «Per Elisa», cioè appunto il brano con il quale generazioni di signorine di buona famiglia hanno rotto l’anima e non solo l’anima ai loro sventurati vicini di casa.
Però il pianoforte ferroviario è un’ottima idea. Fa Natale. Permette di socializzare.
Risolleva il morale a chi arriva in stazione con la metro, quindi scavalcando lavori in corso in atrii muscosi e fori cadenti popolati di venditori abusivi e mendicanti, insomma la versione milanese del Terzo mondo.
E infine fornisce il sottofondo musicale alla lettura delle letterine lasciate dai viaggiatori sull’alberone.
Di regola sono un elenco di banalità buoniste, ma qualcuna è davvero divertente.
Per esempio, questa: «Caro Babbo Natale, lo so che non fai miracoli, però, almeno in questo periodo, puoi far arrivare i treni in orario?».
Alberto Mattioli
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