IL PREMIERATO DI GIORGIA MELONI È UN GROSSO GUAIO ANCHE PER L’EUROPA: IL DURISSIMO ARTICOLO DI “POLITICO” SULLA “MADRE DI TUTTE LE RIFORME”, DEFINITA “PERICOLOSA”
“LE PROPOSTE DI MELONI RICORDANO IN MODO INQUIETANTE LA LEGGE ACERBO DI MUSSOLINI”…“UNA CONCENTRAZIONE DI POTERE SENZA PRECEDENTI CHE VIOLA IL PRINCIPIO DI DEMOCRAZIA SANCITO DAL TRATTATO DELL’UE, ED È IL SEGNO DISTINTIVO DEI SISTEMI AUTORITARI. ACCETTARE UN SISTEMA DEL GENERE CREEREBBE UN TERRIBILE PRECEDENTE IN EUROPA”
Le prospettive sono terribili: Il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha avanzato proposte di riforma costituzionale che ricordano in modo inquietante un’altra modifica costituzionale apportata un secolo fa da Benito Mussolini.
Adottata nel novembre del 1923, la famigerata Legge Acerbo di Mussolini stabilì che il partito che avesse ottenuto la maggior parte dei voti – anche se solo il 25% – avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi in Parlamento. E dopo che il suo partito vinse le elezioni successive – anche se l’intimidazione e la violenza si rivelarono più importanti della manomissione della legge elettorale – la strada verso la dittatura era spianata
L’attuale proposta della Meloni fa ora eco alla Legge Acerbo: il leader italiano vuole infatti assegnare automaticamente al partito con la percentuale di voti più alta una quota del 55% dei seggi in Parlamento. In altre parole, quando un partito otterrà più voti di tutti gli altri – anche se fosse, ad esempio, il 20% del voto nazionale – sarà premiato con il controllo assoluto del Parlamento.
Se questo suona strano, è perché è così. Per esempio, se la Polonia avesse usato questo sistema elettorale nelle sue ultime elezioni, il partito uscente Diritto e Giustizia controllerebbe ancora il Parlamento polacco, nonostante abbia ricevuto solo il 35% dei voti nazionali contro il 52% dell’opposizione.
Per quanto strano, il calcolo della Meloni non è difficile da capire. Il suo partito, Fratelli d’Italia, può avere un comodo vantaggio nei sondaggi, ma è lontano da una maggioranza schiacciante.
In sostanza, questa proposta tratterebbe l’intera Italia come una singola circoscrizione elettorale, in una specie di maggioritario a turno unico in cui il partito di maggioranza relativa, per quanto piccola, rivendica il controllo sicuro del Parlamento. Si tratterebbe di una forma estrema di “chi vince piglia tutto”, con una massiccia sproporzione incorporata.
E non è tutto. La proposta prevede anche che ogni partito designi un candidato a primo ministro prima delle elezioni, e il candidato del partito vincente diventerebbe automaticamente premier – considerato eletto direttamente dal popolo.
La proposta di Meloni combina le idee di un sistema di governo presidenziale e parlamentare in modo da consentire una massiccia concentrazione di potere. In un sistema presidenziale, il presidente è forte perché viene eletto direttamente e rappresenta un forte contrappeso al ramo legislativo del governo.
In un sistema parlamentare, i rami esecutivo e legislativo sono meno separati. Il capo dell’esecutivo (il primo ministro o il cancelliere) rappresenta la maggioranza del potere legislativo. Tuttavia, anche loro dipendono da questa maggioranza, fornendo un certo equilibrio tra questi due rami del potere.
Il piano della Meloni combinerebbe quindi la legittimità e il potere delle elezioni presidenziali dirette (“Il popolo ha votato per me!”) con la debole divisione dei poteri di un sistema parlamentare. La vedrebbe comandare l’esecutivo come primo ministro eletto direttamente, nonché il parlamento attraverso la sua rappresentanza del 55%.
È inoltre molto preoccupante che la Meloni e il suo partito abbiano cercato di farlo di nascosto. Il comunicato stampa del governo che annunciava il piano lo definiva un approccio “minimalista”: è tutt’altro.
Quando si tratta di modifiche costituzionali, la qualità non ha alcun rapporto con la quantità. E sebbene la riforma modifichi solo due articoli della Costituzione, altera completamente i rapporti di forza della Repubblica italiana.
Quindi, come giustifica la Meloni questo piano? Il suo argomento principale è che l’Italia ha bisogno di governi più stabili – una preoccupazione legittima. Negli ultimi tre decenni, i governi italiani sono durati in media solo due anni
A dire il vero, l’idea di un bonus di seggi per il partito vincente fa parte delle discussioni costituzionali in Italia da molto tempo, non è solo un’idea di Mussolini. Tali bonus hanno attualmente un ruolo nelle elezioni locali e regionali. Tuttavia, anche se questo interesse per la stabilità del governo è legittimo, il piano della Meloni è di buttare via il bambino con l’acqua sporca.
I commentatori italiani hanno fatto molte proposte valide su come aggiustare il sistema per rendere i governi più stabili – la cementificazione di una maggioranza creata artificialmente e guidata da un primo ministro eletto direttamente non è una di queste. Anche la comunità giuridica italiana è molto critica nei confronti del piano.
Non deve sorprendere che non esista un esempio analogo di questo sistema. Pochissimi Paesi hanno bonus di maggioranza – quelli che ce l’hanno, hanno premi molto più piccoli – e nessun Paese ha un primo ministro eletto direttamente.
Nel frattempo, per l’Unione Europea, la proposta non potrebbe essere meno gradita. Finora, il centrodestra europeo ha accolto la Meloni, che non è contraria all’UE e rimane favorevole alla difesa dell’Ucraina contro la guerra della Russia. Ma sarebbe un errore distogliere lo sguardo.
Il blocco sta pagando un prezzo molto alto per aver ignorato gli sviluppi in Ungheria all’inizio del 2010, quando il partito di governo Fidesz ha revisionato la costituzione del Paese senza nemmeno chiedere agli ungheresi – non è stato indetto alcun referendum.
Il partito ha poi apportato molte modifiche legali per consolidare il proprio potere, compresi gli accordi elettorali per garantire a Fidesz una maggioranza di due terzi in parlamento.
L’UE non dovrebbe ripetere quel compiacimento. Una concentrazione di potere senza precedenti nel governo viola il principio di democrazia sancito dal Trattato dell’UE (articolo 2, articolo 10) ed è il segno distintivo dei sistemi autoritari.
Accettare un sistema del genere in qualsiasi Paese membro creerebbe un terribile precedente, mettendo ulteriormente in ridicolo l’idea di una comunità di democrazie.
L’Europa ha istituzioni che si occupano di questioni costituzionali – in particolare la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa – e dovrebbe rivedere questa proposta di modifica costituzionale. Anche il governo italiano potrebbe chiedere ufficialmente tale revisione. Se questa modifica venisse approvata senza revisione, un altro conflitto indesiderato all’interno dell’UE potrebbe essere inevitabile.
Michael Meyer-Resende e Nino Tsereteli
(da Politico. eu)
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