IL RIARMO FA SCOPPIARE LA GUERRA NEL GOVERNO: LA CAUSA DELLA CLAMOROSA LITE TRA GIORGIA MELONI E GIANCARLO GIORGETTI, A MARGINE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, È LA CONTRARIETÀ DELLA LEGA AL PIANO DI RIARMO DELL’UE
MARTEDÌ E MERCOLEDÌ LA MAGGIORANZA DOVRÀ APPROVARE UNA RISOLUZIONE IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI GIOVEDÌ. CI SONO DUE OPZIONI: UNA PILATESCA E VAGA, UN’ALTRA PIÙ DI MERITO (DIFFICILE, CONSIDERANDO IL NO DEL CARROCCIO AL PIANO EUROPEO DI RIARMO)
I distinguo della Lega sul piano di riarmo presentato dalla Commissione europea. E, a cascata, la risoluzione che martedì e mercoledì dovrà votare la maggioranza hanno avuto un punto di caduta intenso, per così dire, a margine del Consiglio dei ministri. Quando la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si sono confrontati in maniera “franca”.
L’episodio è avvenuto nella stanza che fa da anticamera alla sala dove si svolgono le riunioni del governo. La presidente del Consiglio ha spiegato in maniera spiccia al titolare di Via XX Settembre che occorre trovare una sintesi anche perché l’Italia si è già esposta sul piano in Consiglio europeo.
Diversi ministri non hanno problemi a descrivere il faccia a faccia come “molto acceso” all’insegna di decibel non proprio da cinema muto. Forse Giorgetti in qualche modo “ha pagato” le scelte del Carroccio che per tutta la giornata con una serie di note e off ha voluto segnare la differenza con il resto della maggioranza sul piano europeo di riarmo.
Mentre era in corso il Cdm il partito di Salvini si riuniva infatti per un consiglio federale incentrato sì sul congresso, ma anche sulle vicende legate alla guerra in Ucraina.
Questo il suggerimento vergato dalla Lega a proposito della situazione internazionale: “Invito alla prudenza, no a deleghe in bianco su imprecisati eserciti europei, disponibilità a investire in sicurezza nazionale premiando le imprese italiane, priorità alla pace sostenendo gli sforzi sollecitati dagli Stati Uniti”.
Insomma, per il consiglio federale “l’Europa non ha bisogno di ulteriori debiti, di riarmo nucleare o di ulteriori cessioni di sovranità bensì di sostegno a famiglie, sanità e lavoro”.
Parole che sembrano porre Fratelli d’Italia e dunque la presidente del Consiglio diametralmente dalla parte opposta. Si spiega anche così la tensione verbale scoppiata a margine del Consiglio dei ministri, al quale Salvini ha partecipato per una manciata di minuti, prima di correre a gestire la riunione del suo partito.
Ora però occorre prendere una decisione e soprattutto metterla nero su bianco in vista del testo che la coalizione dovrà approvare in Parlamento martedì (in Senato) e mercoledì (alla Camera) per dare mandato pieno alla premier al Consiglio europeo di giovedì. Una decisione su cosa scrivere ancora non è stata presa. Sarà oggetto di un vertice fra i capigruppo lunedì.
Due opzioni. Quella pilatesca e vaga si limiterebbe a dire “che la maggioranza prende atto delle comunicazioni della premier e approva”.
Quella più articolata, e di merito, entrerebbe nei dossier che saranno discussi a Bruxelles. Sicuramente ci sarà l’immigrazione, certo. Ma poi non mancherà la guerra in Ucraina e la risposta della Commissione con il piano ReArm.
La formula magica su cui si sta cercando di trovare un compromesso è questa: “colonna europea della Nato”.
Una frase inserita nel programma di governo con il quale il centrodestra ha vinto le elezioni nel 2022.
Senza entrare in particolari, “si tratterà si sottolineare l’esigenza dell’Europa di essere se non autosufficiente, ma di sicuro un po’ indipendente dall’America”.
Questo non vuol dire, mettono ancora le mani avanti dal partito della premier, “che siamo a favore di un esercito europeo a guida francese o tedesca, come d’altronde abbiamo sempre ripetuto pubblicamente”.
Meloni da leader della coalizione si trova però alle prese con una mediazione che contempli gli impegni presi con von der Leyen, ma anche con i rapporti con Trump
Un’evidenza che l’ha portata a far astenere a Strasburgo la delegazione di FdI sulla risoluzione sull’Ucraina. Considerata contro Trump.
(da il Foglio)
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