IL RISTORANTE DELLA CAMERA, LUOGO SIMBOLICO DELLA KASTA, E’ CHIUSO E LA DEPUTATA GRILLINA PROTESTA
MARIA LUISA FARO SCRIVE AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE: “SIA GARANTITO IL SERVIZIO”…SONO LONTANI I TEMPI IN CUI DICEVANO CHE NON CI AVREBBERO MESSO PIEDE
Venerdì 26 giugno, ore 14.45. Commissione bilancio della Camera: si dibatte di altissime e urgentissime risoluzioni in tema di “materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonchè di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”.
Ma se il Paese muore di fame, come dicono i Giusti animati da genuina e dunque irrefrenabile indignazione, può capitare che almeno un languorino colpisca il deputato, se i diritti castali dei cuochi e dei camerieri non coincidono col suo, di rivoluzionario, che a una certa ora qualcosa sotto i denti deve pur metterla.
Forse l’evocativo presidente di turno, che risponde al cognome di Buompane, contribuisce a sciogliere i pur labili imbarazzi, e la cittadina onorevole Marialuisa Faro (trentaseienne catanese, esordi non vividissimi nei cinque stelle, nel 2013, col 3.59 per cento raccolto da candidato sindaco di Sannicandro Garganico, Foggia, infine restituita alla sua dimensione con l’ingresso alla Camera nel 2018) interviene sull’ordine dei lavori e avanza la vibrante protesta: il ristorante di Montecitorio è chiuso.
Arrivano giorni festivi, chi ci nutrirà ? Farlo riaprire, secondo il saggio detto popolare che se le cose vanno male lo stomaco non ne deve soffrire. Avvertire dunque il collegio dei Questori e la Presidenza della Camera, nella persona dell’onorevole presidente Roberto Fico. Il quale Roberto Fico, alla prima uscita da terza carica dello Stato, due anni e qualche mese fa, aveva proposto le linee guida improntate a eguaglianza e giustizia: qua si spendono migliaia di euro per il ristorante, mentre la gente non ha di che mettere in tavola.
Ma come conciliare i frugali propositi col calo degli zuccheri?
All’ingresso nel palazzo del potere, sette anni fa, i ragazzi dei cinque stelle si riversavano a intasare la più dozzinale mensa, atto emblematico e rivoluzionario, poichè il ristorante era il simbolo dei simboli della Casta, sinchè Luigi Di Maio non pose il drammatico problema: il ristorante è sempre vuoto, vorremo mica avere sulla coscienza dei licenziamenti? Seguì accesa vertenza e brillante deliberazione: andiamo al ristorante, purchè diventi self service. Sennonchè la faccenda dei camerieri sfaccendati, loro malgrado, sarebbe restata tale, e di self service non si parlò mai più. Toccò andare al ristorante e lenire il dolore nelle pietanze.
Del resto già a fine 2013 il rivoluzionario in capo, Beppe Grillo, aveva radunato un drappello dei suoi nelle medesime sale di sbafo, chiarendo che Mao Zedong una l’aveva toppata: la rivoluzione, talvolta, può anche essere un pranzo di gala.
Di Maio, che poche settimane prima aveva detto mai e poi mai al ristorante della Camera, si adeguò (nella stessa circostanza disse anche se mi vedete con un’auto blu linciatemi, perchè le auto blu sono il male assoluto, e settimana scorsa in Svizzera ne aveva una decina, ma per scelta del governo elvetico, qui in Italia ne ha solo due o tre).
A un certo punto girò la foto di non ricordo quale deputato a cinque stelle cui il cameriere parlamentare versava un bicchiere di sincero Morellino — e con colleghi di altri partiti, sacrilegio! — e Alessandro Di Battista si incaricò della difesa: a me lì dentro non mi vedrete mai (però lo vedevamo all’Osteria del Sostegno, delizioso e raffinato ristorante di piazza Capranica, prezzi all’altezza dei piatti), ma non siate troppo severi, disse, non è poi tutto ‘sto privilegio; in ogni caso è molto bello il controllo dei cittadini, ci aiuta a migliorare, aggiunse commentando la shitstorm (tempesta di cacca) scatenata sul cedevole onorevole.
Ormai è tutto dimenticato. Si lavora e si mangia.
Il grillino al sacco si è evoluto in grillino al tavolo, come è giusto che sia. E, se giunta l’ora del desinare il ristorante è chiuso, ed egli deve ricaricare le pile e caricare un saltimbocca, può anche essere che gli girino un po’ le scatole.
E interpelli il presidente Buompane il quale, cinque stelle anch’egli, prenda la questione di petto e la giri al presidente Fico. Pare di vederlo, Fico, con le due noci di Fra’ Galdino, a sospirare sui nobili cuori e l’ignobile pancia.
(da “Huffingtonpost”)
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