IL ROMANZO DELLA MANOVRA PIÙ FOLLE E PASTICCIATA DEL MONDO: LA LEGGE DI BILANCIO HA ATTRAVERSATO SCAZZI FURIOSI NELLA MAGGIORANZA, CON PIÙ DI 300 MODIFICHE ALLA VERSIONE ORIGINARIA, MANCE E MANCETTE
FDI E FORZA ITALIA HANNO MESSO NEL MIRINO LA RAGIONIERA DI STATO DARIA PERROTTA, FEDELISSIMA DI GIORGETTI: “FA TUTTO, TROPPO”
Cosa ci fanno insieme, nella stessa aula, il deputato di Avs Marco Grimaldi con indosso una kefiah arancionera in solidarietà al popolo palestinese e il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, vestito di tutto punto in versione dandy? Alle tre di notte discutono della riformulazione dell’emendamento alla manovra numero 80.039, a firma Lega. Più soldi per il Ponte sullo Stretto.
Grimaldi si allenta la sciarpa e ripete quella che è oramai diventata una consuetudine nella Sala Mappamondo di Montecitorio che ospita i lavori della commissione Bilancio: “Non volevo intervenire, ma mi trovo costretto a farlo anche questa volta”. Ritornello numero 42 nelle ultime 48 ore. Quindi la richiesta a Freni: “Di che si tratta?”.
Alla sua sesta tazza di tè, rigorosamente darjeeling, il sottosegretario accoglie la domanda con toni da armistizio: “Onorevole Grimaldi, qualche minuto e sarà come sempre accontentato”. Prove di pace nella lunga notte della terza legge di bilancio del governo Meloni.
L’Ires premiale per le imprese e poi la web tax solo per le big, ancora la riduzione delle tasse sulle criptovalute e più soldi alle scuole paritarie.
Il passaggio della manovra alla Camera non è stato solo questo. È stato, anche, l’iter tormentato per l’esecutivo che ha dovuto attraversare divisioni interne e mugugni di vario tipo, oltre alle proteste delle opposizioni per le decine di testi riformulati. Più di 300 le modifiche al testo approvato dal Consiglio dei ministri a metà ottobre.
Tormenti e “mancette” last minute, ma anche risse sfiorate e musi lunghi. E poi ancora cambi d’abito dopo la notte, tra lunedì e martedì, in cui Grimaldi e Freni hanno disquisito di Ponte e di tanto altro. C’è chi, come il presidente della commissione Bilancio, Giuseppe Mangialavori, il mattino seguente non è riuscito neppure a tornare a casa.
“Vado a lavarmi i capelli almeno”, ha bisbigliato a una sua collaboratrice in fretta e furia prima di infilarsi nel salone di Montecitorio dove i parlamentari sistemano barbe e capigliature. Lui, Mangialavori, l’arbitro della contesa tra maggioranza e opposizione. Settantadue ore di fila, insieme a Freni, fianco a fianco.
Gli altri sottosegretari si sono visti poco, qualche minuto o poco più. Neppure quando la manovra è arrivata in aula per l’avvio della discussione generale: tutti vuoti gli scranni del governo. E polemiche, sotto traccia, tra il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani e il collega al Tesoro, Giancarlo Giorgetti.
La rissa sfiorata tra Mangialavori e Bignami
Alle cinque del mattino della lunga notte arriva il capogruppo di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami. “Presidente, diamoci una mossa”, sussurra all’orecchio destro di Mangialavori. È il momento più delicato per la manovra.
Il governo tratta con il Pd e Avs su alcuni emendamenti che stanno a cuore alle opposizioni. Ma da Palazzo Chigi, per interposto messaggio del ministro della Difesa, Guido Crosetto, è arrivato anche l’ordine di cestinare l’emendamento dei relatori che aumenta gli stipendi dei ministri e dei sottosegretari non eletti, equiparandoli ai colleghi che sono anche parlamentari. Per non parlare delle concessioni elettriche, che la maggioranza vorrebbe allungare fino a 40 anni, e di quelle autostradali che portano con sé la dote amara dei rincari dei pedaggi.
“Non è che ti presenti qui alle cinque del mattino e fai il bulletto”, replica Mangialavori a Bignami. Il presidente dei deputati di FdI inizia ad accusare i tecnici del Mef: “Se si dessero una mossa, magari chiudiamo questa storia”. Rissa sfiorata.
E discussione rinviata alla conferenza dei capigruppo che si trasforma in un “one man show” di Bignami. Nel frattempo i lavori della commissione si sono conclusi, ma gli uffici della Camera hanno bisogno di tempo per preparare il testo che sarà esaminato dall’aula. L’esponente di FdI sbotta: “Gli abbiamo dato 32 ore e ora si parla di tornare in commissione?”.
La Ragioniera e la relazione con “zero errori”
Il terminale delle accuse di Fratelli d’Italia è lei, la Ragioniera di Stato Daria Perrotta. Fa tutto, troppo: con una mano la Ragioniera e con l’altra il capo dell’ufficio legislativo del Mef, è l’accusa che arriva anche da Forza Italia quando la riscrittura della norma sui revisori del ministero nelle società che ricevono contributi pubblici viene ritenuta ancora troppo ingombrante.
Sulla scrivania della Ragioniera arrivano oltre 600 emendamenti, più del doppio dei cosiddetti “super segnalati” che la maggioranza aveva promesso di selezionare tra le centinaia di modifiche sollecitate durante l’iter alla Camera.
Alla fine ne passano oltre 300, in tutto. Testi riscritti, anche tre volte, come quello sugli stipendi dei parlamentari. Alla fine a bollinare il lavoro della commissione Bilancio ci pensa lei: nessuna richiesta di correzione o di stralcio. Altra storia rispetto alla prima manovra del governo Meloni: allora alla Ragioneria c’era Biagio Mazzotta, poi sostituito. La matita blu e rossa aveva lasciato il segno ben 44 volte.
Freni, il sottosegretario in “ostaggio”
Quando mancano pochi minuti al voto finale in aula è il deputato del gruppo Misto, Luigi Marattin, a sdoganare “il povero ragazzo che non ha dormito per quaranta ore e che è stato sottoposto a trattamenti inumani”. Il “ragazzo”, Freni, è seduto tra i banchi del governo. “L’unico modo per fermare la manovra è rubarmi il tè”, aveva detto una settimana fa, quando la commissione Bilancio si apprestava a entrare nel vivo dell’esame.
Sottosegretario dai toni mariani: “Non vorrei che affidarsi a me sia confuso con l’affidarsi alla Madonna di Fatima o di Pompei. Io purtroppo ancora non moltiplico il denaro, mi sto attrezzando, pero’ ancora non riesco a farlo”.
Cento e una “mancetta”
Dalla commissione all’aula, la manovra ha provato a resistere all’assalto dei partiti. Ci è riuscita fino a un certo punto. Per portare a casa il risultato, infatti, il governo è stato costretto ad “allegare” alla Finanziaria una “legge mancia” per accontentare le decine di richieste che sono arrivate da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia.
I finanziamenti arriveranno entro fine gennaio con un decreto del presidente del Consiglio perché la manovra, per legge, non può contenere micro-misure o interventi territoriali, ma poco importa. Le risorse sono state già prenotate con gli ordini del giorno, proprio alla manovra, votati dall’emiciclo di Montecitorio.
Dai 100 mila euro per la parrocchia di Santa Maria della Grotticella di Viterbo al milione per la ristrutturazione del teatro parrocchiale di Santa Maria Assunta di Brignano a Gera d’Adda (Bergamo). E, ancora, 100 mila euro per il rifacimento del manto stradale di via Frostella a Caiazzo (Caserta) e 400mila euro per la manutenzione delle strade rurali del comune di Orune, in provincia di Nuoro. La dote più consistente ad Alessandria, città del capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari: 20 milioni, in due anni, per la realizzazione del secondo ponte sul fiume Bormida”. Più di cento le “mancette” distribuite.
Il “compagno” Grimaldi e le banconote dei 5 stelle
La kefiah arancionera, dunque. Il deputato di Avs l’ha ricevuta da un sindaco turco commissariato da Erdogan. “L’ho avuta in dono quando ho fatto il capo delegazione di una missione di osservatori internazionale per le scorse presidenziali in Turchia, in viaggio tra i seggi del Kurdistan turco e i controlli della polizia”, ha raccontato ai suoi colleghi incuriositi dall’accessorio.
“Ha sopra la polvere e la speranza di chi a Kobane ha perso la vita contro Daesh, ma da anni subisce bombardamenti e rappresaglie”, ha spiegato ancora per specificare perché ha tenuto quella kefiah intorno al collo per 70 ore di fila.
(da La Repubblica)
Leave a Reply