IL SEGRETO DI LUNA ROSSA: PIETRO SIBELLO E LE OLIMPIADI RUBATE
NEL 2008, IN COPPIA CON IL FRATELLO, VIDE SFUMARE L’ORO OLIMPICO A PECHINO A CAUSA DI UN’ONDA… POI LA MALATTIA E LA FINE DELLA CARRIERA AGONISTICA…ORA E’ UNO DEI PROTAGONISTI DEL SOGNO, BATTERE “GLI IMBATTIBILI”
Se vi siete appassionati anche voi a questa bizzarra magia delle barche che volano in tv alle due del mattino trasformando il mare in un circuito da motomondiale, se appartenete alla tribù di insonni che fanno finta di sapere cosa siano gli scarsi pur di non ammettere che sì, in effetti, non ci capiscono moltissimo ma le facce altezzose dei marinai inglesi strapazzate da un tipo di Rimini valgono eccome una notte in bianco, insomma se anche voi vi state godendo in diretta lo spettacolo di Luna Rossa che ad Auckland è arrivata apparentemente senza fatica alla sfida ai padroni di casa per l’America’s Cup, allora dovete proprio sapere che questa avventura ha una data e un luogo di inizio: 17 agosto 2008, Quingdao, Cina, e soprattutto che a determinare buona parte delle fortune dell’imbarcazione italiana è stata ed è la determinazione inossidabile di un 41enne di Albenga.
Si chiama Pietro Sibello, è un omone dalla faccia buona e il sorriso educato. Ma è anche un tipo solido come una quercia, uno che negli ultimi 13 anni ha saputo essere più forte di tutto – della sfortuna, delle onde, delle malattie – e di tutti: dei giudici sportivi, soprattutto, e dei burocrati e dei papaveri dello sport internazionale. Quel 17 agosto 2008 fu il giorno peggiore della vita di Pietro Sibello.
Il furto di Pechino
Era in programma la finale olimpica (la medal race) della classe 49er. Per un velista olimpico la medal race è semplicemente il giorno più importante di tutti. E lo era ancor di più per Pietro e suo fratello Gianfranco, entrambi figli di velista olimpico (il papà aveva partecipato a Monaco ’72). Loro a quella finale arrivavano da favoriti. Solo l’equipaggio danese poteva contendergli l’oro.
Di solito a Quingdao (nella grafia romanizzata Tsingtao, proprio come la famosa birra dei ristoranti cinesi, viene prodotta lì) c’è bonaccia. “Noi ci eravamo preparati in maniera maniacale – racconta oggi Pietro Sibello dalla sua stanza d’albergo di Auckland, una stanza luminosa, vista New Zealand – eravamo entrambi 15 chili sotto peso e avevamo studiato il campo di regata fino al millimetro”.
Quel giorno però gli dei del mare, o anche solo la sfortuna, vollero che su Quingdao ci fosse una tempesta come nessuno da quelle parti ne ricordava da anni. “Era pericolosissimo, gareggiamo con l’unico obiettivo di arrivare interi alla fine – dice Sibello – e ci eravamo quasi riusciti, eravamo primi, gli altri erano tutti dietro che avevano problemi enormi a gestire l’onda isterica che si crea in quelle acque quando fa brutto”.
L’onda del destino
I danesi avevano addirittura rotto la barca. A un centinaio di metri dal traguardo, con l’oro ormai a tiro, arrivò l’onda del destino e travolse tutto, la barca, i due uomini che erano a bordo, i loro sogni: “Si aprì una voragine davanti alla nostra prua e non potemmo fare altro che scuffiare”. Piano piano le barche che erano dietro cominciarono a recuperare acqua. Mentre cercavano di raddrizzare la propria barca, i Sibello videro l’oro trasformarsi in argento, e l’argento in bronzo.
Poi quando avevano ripreso la rotta verso la terza posizione videro una barca con la bandiera croata sulla vela tagliare il traguardo. Non lo capirono subito, ma erano i danesi, che avevano preso “in prestito” la barca e gli portavano via anche il bronzo.
Nessuno lì per lì pensò che il Cio avrebbe mai potuto convalidare quel risultato. Ma fu una sottovalutazione della fantasia criminale dei giudici sportivi. Che infatti premiarono i danesi e lasciarono i Sibello senza medaglia. Scrissero anche una lettera, i due. Si trova ancora on line. “Dov’è lo spirito olimpico?”, si chiesero citando Dorando Pietri. Nessuno gli rispose. Da oro probabile a nulla, in un soffio, con la complicità del mare e di una giuria internazionale.
L’angioma e la maledizione
“Ci mettemmo mesi a rialzarci”, racconta oggi Pietro. “Con mio fratello non riuscivamo a superare quel colpo”. Poi piano pian abbiamo ripreso il mare. E ci siamo concentrati su Londra. Vincemmo tutto negli anni successivi, circuiti olimpici, regate di classe, mondiali. A un anno dalle olimpiadi di Londra del 2012 eravamo in grandissima forma”.
Ma una visita medica gli trova una malformazione cardiaca fino ad allora mai riscontrata, un angioma. Stop cautelativo e inizio di un calvario incredibile. La malformazione sembra destinata a rientrare, i medici si dicono ottimisti, Pietro spera di farcela. Anzi è sicuro di farcela. Si sente bene e invece a gennaio arriva la comunicazione da parte del Coni: non c’è niente da fare, la Commissione Medica del Coni non gli rilascia l’idoneità per l’attività agonistica. Niente olimpiadi di Londra, fine della carriera agonistica. Altri quattro anni di lavoro buttati via. Un altro sogno da cancellare.
L’alba di Luna Rossa
“A questo punto della storia – racconta Pietro – arriva Max”. Max è Sirena, lo skipper di Luna Rossa, per capirci, il tipo di Rimini che ha strapazzato gli inglesi, uno che a vederlo così sembra Doron Kavillio di Fauda se non fosse che quando si arrabbia fa molta più paura. “Ero nel dimenticatoio, come si usa dire, lui mi venne a pescare e puntò forte su di me. Mi voleva nel progetto. Accettai. Gli devo molto”.
Luna Rossa stava lavorando a lungo termine, non era tanto interessata alla Coppa del 2013 (quella di San Francisco, quella della più grande rimonta della storia dello sport, da 8-1 per i neozelandesi a 8-9 per gli americani) quanto alla successiva, Bermuda 2017.
Un appuntamento al quale era talmente preparata che gli americani dovettero cambiare le regole in corsa per farla fuori altrimenti l’avrebbe certamente vinta.
Quello sgarbo made in Usa fu la terza tappa di una via crucis, per Pietro. Ma alle difficoltà ormai era abituato. “Ci ritirammo ma non ci buttammo giù – racconta – aiutammo New Zealand a vincere la gara del 2017 e a strappare dagli americani il pallino del gioco e cominciammo a lavorare per l’edizione del 2021”. Questa.
Copiare gli inglesi e poi batterli
Ma anche una volta arrivati ad Auckland, senza più gli americani a pasticciare con le regole, non è stato tutto facile. Perchè sì, la barca è veloce e la tecnologia avanzata, “ma alla fine in questi ultimi anni avevamo regatato solamente contro i nostri gommoni e -insomma – per dirla con qualcuno dell’equipaggio regatare contro i gommoni è un po’ come fare l’amore con una bambola… Il match race è tutta un’altra cosa e sia negli eventi di Natale sia durante i round robin (la fase eliminatoria della Prada Cup) ci siamo accorti che qualcosa non andava”
Quel qualcosa era -detto in maniera semplice – che la vela in mezzo alla barca non permetteva a James Spithill – il timoniere – di vedere per bene tutto il campo di regata, nè di confrontarsi in maniera naturale con Checco Bruni, l’altro pezzo da novanta dell’equipaggio. “Così i nostri allenatori hanno avuto l’idea di usarmi come stratega. Non tattico, ma stratega. Mi hanno spostato a poppa, mi hanno dato libertà di muovermi, di ‘cercare’ il mare. L’idea l’abbiamo rubata proprio agli inglesi”.
Sibello non ci ha pensato due volte, ha preso tutta la sua storia, la scuffia di Quingdao, la delusione di Londra, il lavoro nella base di Luna Rossa di Cagliari e ha messo tutto a disposizione della squadra; e adesso è l’unico membro dell’equipaggio libero di muoversi a poppa, per scrutare il mare e cercare il vento tra le creste delle onde. A chiunque dell’equipaggio si chieda qual è stata la mossa che ha fatto la differenza, la risposa è unica. Pietro.
“E’ un ruolo fantastico, guardo l’acqua e dico quale parte del campo mi piace, dove penso sia il buono, dove lo scarso. Quale lato devo difendere, come penso si debba affrontare un incrocio”. Da quando ha preso questa posizione a bordo, Luna Rossa ha cominciato a volare sul serio, lasciando agli avversari solamente briciole amare. “Ma non penso sia davvero solo tutto merito mio, è solo che era inevitabile che navigando e gareggiando imparassimo a conoscerci e a comunicare”
Ed è proprio sulla comunicazione che il suo contributo è più evidente: “Sono quello che deve cominciare la discussione, in una regata come queste ogni incrocio è passaggio cruciale, con due barche che si sfiorano a 40 nodi, bisogna avere le idee chiare di cosa si voglia fare, di come si voglia entrare nell’ingaggio e come si voglia uscire. Così sono io che – avendo il quadro più chiaro del campo di regata – comincio a parlare con Checco e Jimmy, dico come penso che dovremmo affrontare l’incrocio, quando occorrerebbe cominciare la manovra. A quelle velocità non si può sbagliare di un metro”.
Marinai tra i marinai
E così adesso arriveranno i neozelandesi, leggendari maestri del mare, tattici diabolici, apparentemente imbattibili con la loro barca nera come la notte. All Blacks in tutto e per tutto. Il trauma, o forse più precisamente il lutto nazionale della rimonta americana del 2013 l’hanno superato con la straordinaria vittoria del 2017, quando – anche con l’aiuto di Luna Rossa – si presentarono in acqua con le biciclette montate sottocoperta (per generare energia da usare nelle manovre).
Nessuno li ha ancora visti navigare davvero, i kiwi. Si sa solo che sono velocissimi. E la loro sagoma fa già paura. Ma Sibello ne ha passate troppe per pensare alla paura. “Se c’è una cosa che ho imparato è che siamo privilegiati perchè ci è data la possibilità di tornare ogni volta a competere al massimo livello. La paura non è un’opzione. Sono qui che mi godo questo momento fantastico, entusiasta di quello che ho. Soprattutto sono grato a me stesso per essere riuscito a superare tutte le difficoltà , le ingiustizie e le malattie, per aver sempre trovato il coraggio di dimenticare tutto e tornare nell’unico posto dove un marinaio deve stare: in acqua, in mezzo al mare e agli altri marinai a guardare in faccia le onde, a lasciarsi bagnare il volto dagli schizzi, cercando sempre di tenere gli occhi aperti in cerca del vento”.
(da La Repubblica)
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