IL TRISTE NATALE DEI BUROCRATI: QUEST’ANNO NIENTE REGALI
GLI OROLOGI D’ORO SONO UN RICORDO: TIMORI DI INCHIESTE GIUDIZIARIE E CIRCOLARI RIDUCONO GLI OMAGGI
«Don Peppino, quest’anno il vino per il cenone ve lo dovete comprare».
Nei Palazzi romani del potere le voci corrono più di un centometrista giamaicano. Narrano che venerdì l’usciere di un ministero, abusando della confidenza consentita dalla compaesanità meridionale, abbia salutato con questa battuta il capo di gabinetto che gli aveva chiesto – per l’ennesima volta, e invano: «Pacchi per me?».
Per decenni, a Natale, i ministeri sono stati sommersi di regali.
Un’apoteosi dell’opulenza. Pregiate bottiglie di rosso e bollicine millesimate. Sontuose ceste ornate di salmoni nordici e caviali orientali. Orologi d’oro e weekend in resort. Eleganti stilografiche e agende in vera finta pelle. Cravatte e fermacravatte. Sciarpe e pullover rigorosamente in cachemire per lui («La lana no, mi punge», soleva protestare un mandarino parastatale ai bei tempi pre tangentopoli, carezzandosi il braccio mentre contraeva la bocca in una smorfia di dolore). Borse foulard e preziosi per lei. Videogiochi per i bambini, computer per i figli maggiori.
E invece nelle chiacchiere ministeriali degli ultimi giorni risuona sinistro l’allarme regali. Quest’anno scarseggiano, confidano pensierosi grand commis e sottopancia abituati a destreggiarsi tra fattorini e bigliettini d’auguri come i pizzardoni negli ingorghi di piazza Venezia. L’aria è cambiata, e non è colpa dell’austerità .
Piuttosto, delle norme sempre più stringenti per i dipendenti pubblici. Del terrore che occhiuti pm possano malignare su un omaggio gradito e una telefonata di ringraziamento. Del clima di fine legislatura che rende sconveniente «investire» su capi di gabinetto, segretari particolari e consulenti legislativi in procinto di fare gli scatoloni.
Benedetta sobrietà , sospira qualcuno chiedendo a consorti inorridite e governanti recalcitranti di acconciarsi a un’inedita spesa natalizia in un comune supermercato.
Altri rimpiangono gli anni d’oro, ricchi e gaudenti, della cui atmosfera non resta che l’aneddotica.
Come dimenticare la faccia di Arturo Parisi quando si vide recapitare al ministero della Difesa una pistola d’oro (funzionante!)?
Silvio Berlusconi, che dei regali di Natale ha fatto una disciplina di vita con rigide regole affidate alle segretarie e un registro per evitare imbarazzanti sovrapposizioni parentali, si accorse di essere stato superato quando a Palazzo Chigi ricevette una scimitarra tempestata di pietre preziose.
Si racconta che un tempo i ministri non sapessero neppure cosa fare con questa pletora di soprammobili, torroni, vassoi, gingilli, al punto che a Palazzo Chigi era stato predisposto un apposito magazzino per i regali non utilizzati.
I donatori più raffinati, uomini di mondo ben informati e introdotti, sapevano anche beneficiare le amanti. Pratica, questa, che garantiva riconoscenza supplementare ma metteva a rischio di tragiche gaffe.
Francesco Cossiga, inflessibile, restituiva i regali ai mittenti.
Alcuni ministri avevano la buona abitudine di distribuirli tra i collaboratori. Emma Bonino organizzava una riffa. Romano Prodi li metteva all’asta a fini di beneficenza.
Un noto politico siciliano, che aveva ricevuto da un riconosciuto capomafia un quadro di Guttuso, per uscire dall’imbarazzo di una restituzione che sarebbe suonata offensiva, con un colpo di genio lo regalò alla figlia del mafioso per il suo matrimonio.
In pratica quasi tutto il mese di dicembre si consumava nel distribuire pacchi.
Le stanze ministeriali sembravano piccole case di Babbo Natale, come la dispensa di Checco Zalone, funzionario della Provincia nel suo film «Quo Vado».
Tanti regali non solo ingolfavano l’attività burocratica, ma facevano sorgere invidie e velenosi sospetti di possibili corruttele. Si decise di intervenire, riportando anche il rito natalizio nell’alveo dei principi costituzionali di «buon andamento e imparzialità dell’amministrazione». Il primo fu Prodi, a dicembre 2007, pare dopo aver ricevuto dall’Emiro di Abu Dhabi un fucile d’oro, regolarmente protocollato e archiviato dagli uffici di Palazzo Chigi.
L’allora premier emanò una circolare draconiana: tutti i regali di valore superiore a 300 euro, ricevuti anche in occasione di visite ufficiali, dovevano essere conferiti al patrimonio pubblico.
Prevista anche un’apposita procedura di valutazione, di competenza dell’ufficio bilancio di Palazzo Chigi. Prodi aveva pensato di intervenire solo sui ministri. E capi di gabinetto, portavoce, direttori generali, dirigenti e così via?
In piena epoca di spending review, fu Mario Monti a indirizzare una severa lettera alle strutture ministeriali per ricordare a tutti di rispettare rigorosamente il «divieto di accettare regali e omaggi di qualsiasi natura di valore superiore a 150 euro, tali da non poter essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio. In ogni caso, i regali di valore superiore devono essere restituiti, ovvero ceduti all’Amministrazione di appartenenza».
Nei ministeri fu il panico. Come capire se una cassetta con quattro bottiglie di vino eccede il limite? Occorre attivare un’appropriata Commissione di valutazione? Rivolgersi a un’enoteca? O basta cercare orientativamente il prezzo su google?
Dubbi risolti nella primavera 2013 dall’approvazione del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, emanato con decreto presidenziale e pubblicato in Gazzetta ufficiale. All’articolo 4 comma 2 specifica chiaramente che «il dipendente non accetta, per sè o per altri, regali o altre utilità , salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali».
Per precisare nei commi successivi che s’intendono di modico valore i regali al di sotto dei 150 euro o comunque ricevuti fuori dai casi consentiti e pertanto «sono immediatamente messi a disposizione dell’Amministrazione per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali».
Per una volta la normativa è davvero servita a cambiare il costume sociale. Ormai il Natale ministeriale è davvero dimagrito.
Con i regali, sono diminuiti anche gli inviti a feste, aperitivi, vernissage. Per la disperazione non solo dei grand commis, ma anche delle rinomate gastronomie romane.
(da “La Stampa”)
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