IL TURPILOQUIO COME METODO POLITICO
L’ARROGANZA E LA VOLGARITA’ ELEMENTI CHIAVE DEL SUO CONSENSO: CORRISPONDE ALLA IGNORANZA DI META’ DEGLI AMERICANI
Nel giorno dell’entrata in vigore dei dazi americani più aggressivi che hanno messo il mondo sotto sopra un Donald Trump senza freni riesce (di nuovo) a «rubare la scena» e distogliere per un attimo l’attenzione dal terremoto che ha causato. Con fare sprezzante e megalomane al tempo stesso, il presidente americano a una cena di
raccolta fondi per il suo partito offende i leader dei Paesi stranieri che – secondo lui – si stanno mettendo in coda per trattare e per tentare di far rimuovere i dazi. «Questi Paesi ci chiamano, mi baciano il cu, stanno morendo dal desiderio di fare un accordo».
Già lunedì scorso aveva riferito dei colloqui avuti nel weekend con leader stranieri in versione questuanti proni: «Dicono: “Per favore negoziate”. Ci offrono cose che non avremmo sognato di chiedere».
Ieri è tornato a fare di loro una caricatura irriverente, di mendicanti pronti a tutto pur di evitare i dazi, irridendoli, arrivando a fare loro il verso: «Per favore, per favore signore Per favore, per favore signore, fai un accordo. Farò qualunque cosa signore». Per poi concludere, con tono da peggior bar di Caracas: «Molti Paesi ci hanno fregato da destra e sinistra, e adesso è il nostro turno di fregarli, e renderemo il nostro Paese più forte».
Lo stesso verbo – «fregare» -usato qualche giorno fa quando aveva dichiarato che è «una follia» che gli Usa difendano i Paesi Nato e vengano «fregati» sul commercio. Tra i bersagli anche la storica alleata, l’Europa, aveva chiarito: «L’Europa ha fatto fortuna alle nostre spalle. Ora vogliono parlare, ma non c’è niente da dire a meno che non ci paghino un sacco di soldi».
Ma il presidente ha preso di mira anche chi nel partito in questi giorni ha espresso timori per le ricadute della nuova svolta protezionistica: «Vinceremo le elezioni di midterm e avremo un’enorme vittoria a valanga, ne sono certo» ha vaticinato puntando poi il dito contro il piccolo gruppo di repubblicani che sostengono al Congresso un’iniziativa bipartisan per una legge che permetterebbe di far scadere dopo 40 giorni i dazi: «Vedo alcuni repubblicani ribelli, dei tizi che vogliono mettersi in mostra e dicono “crediamo che il Congresso debba fare i negoziati”, ma lasciatemi dire voi non negoziate come negozio io», si è incensato Trump martedì sera, incurante della separazione dei poteri su cui si regge la democrazia.
Queste sono soltanto le ultime uscite di un presidente che ha fatto della provocazione e della volgarità gli elementi chiave della sua leadership e del suo consenso: perché l’insulto, la semplificazione estrema e il rifiuto del linguaggio istituzionale sono elementi strutturali di un modello comunicativo anti sistema, che rompe deliberatamente con il decoro e le convenzioni del linguaggio politico tradizionale.
Non stupisce che a questo modello attingano anche i suoi stretti collaboratori, come dimostra lo scontro sui dazi a suon di insulti tra Elon Musk (anti tariffe) e Peter Navarro (protezionista radicale). In mondovisione su X (mica in privato) il «Doge» ha attaccato il consigliere al commercio del presidente definendolo «un vero
cretino». E ha poi ribadito, rincarando la dose: «È più stupido di un sacco di mattoni».
L’affondo del miliardario è la risposta – a dir poco scomposta – alle parole di Navarro che, nel corso di un’intervista a Cnbc, per screditare la posizione sui dazi del patron di Tesla lo aveva definito «un produttore di auto. Anzi un assemblatore di auto». Parole troppo denigratorie per un narcisista come Musk che non poteva che ribattere alzando l’asticella dell’improperio.
Il Doge non è l’unico tra i sostenitori del presidente a essere preoccupato: un numero crescente di voci influenti all’interno del partito repubblicano si è unito agli oppositori dem e ai leader stranieri nell’attaccare i dazi. A loro Trump si è rivolto via social con uno slogan a dir poco irrispettoso e «impreziosito» da un neologismo: «Non essere un PANICAN (il nuovo partito dei deboli e degli stupidi)!» ha scritto in un post che trasuda tutto il suo fastidio per il dissenso interno. Panican, crasi tra «panic» e «republican».
«Panican» (alias cagasotto) sembra un termine destinato a unirsi al pantheon di altri insulti «famosi» firmati da Trump come Sleepy Joe e Crooked Hillary. La deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene è stata una delle prime a rilanciarlo diligentemente su Truth: «I panicani sono dei perdenti e dei falliti! Non essere un panicano!» ha scritto Greene. L’account di un finto deputato repubblicano punta sull’ironia: « Oh, perbacco – ha scritto su X tale Jack Kimble – Quando ho sentito che Trump ha creato la nuova parola panican ho pensato che significasse che oggi avremmo invaso Panama e il Canada!».
Al di là degli insulti, anche la ricostruzione di negoziati internazionali ricalca la chiacchiera da bar e da social, sintomo delle trasformazioni profonde che hanno investito il modo in cui il potere viene esercitato e percepito. Domenica sera Trump ha spiegato così la trattativa sulla vendita di TikTok e la marcia indietro di Pechino: «Eravamo vicini, poi la Cina ha cambiato l’accordo. Ma se faccio un piccolo taglio ai dazi, lo approveranno in 15 minuti, il che vi mostra il potere dei dazi, no?».
(da corriere.it)
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