IL VIMINALE STUDIA UN PROVVEDIMENTO NELLO STILE DEI “DECRETI SICUREZZA” SALVINIANI: PORTI APERTI SOLO A CHI DIMOSTRA DI AVER SOCCORSO IMBARCAZIONI A RISCHIO NAUFRAGIO
MULTE SALATISSIME E SEQUESTRO DELLA NAVE IN CASO DI VIOLAZIONE DELLE REGOLE (QUALI? QUESTE CHE PROPONETE E CHE SARANNO BOCCIATE DALLA CORTE COSTITUZIONALE COME IN PASSATO?)
Le Ong che vorranno attraccare nei porti italiani dovranno dimostrare di aver soccorso imbarcazioni a rischio naufragio. Chi non rispetterà questa regola e violerà il divieto di approdo subirà una sanzione amministrativa che potrà prevedere anche il sequestro della nave utilizzata per l’attività di ricerca e salvataggio in mare.
È lo schema del provvedimento che il governo sta studiando per regolamentare l’attività delle organizzazioni non governative impegnate al largo delle coste della Libia.
Sarà il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi – chiamato mercoledì a riferire in Parlamento sullo scontro diplomatico con la Francia – a confermare la volontà di procedere con un’azione che serva a «gestire i flussi migratori agendo in due direzioni: gli accordi bilaterali con i Paesi d’origine dei migranti e il codice per le navi private».
E in quella sede spiegherà che «l’Italia non aveva alcun divieto per Ocean Viking, sono stati loro a decidere di dirigersi verso la Francia non avendo ottenuto risposta alla richiesta di porto sicuro».
Gli accordi bilaterali
Le intese siglate negli ultimi anni in sede europea per il ricollocamento e la distribuzione dei richiedenti asilo non sono mai state rispettate. Sembra difficile che possa accadere adesso, nonostante le buone intenzioni dichiarate dalla Commissione europea in vista del vertice straordinario dei ministri dell’Interno che si svolgerà a fine mese.
In quella sede si chiederà un impegno formale a sostenere gli Stati di partenza dei migranti con progetti di sviluppo sostenuti dalle organizzazioni internazionali, concessione di contributi economici e apparecchiature per il potenziamento dei controlli sia alle frontiere interne della Libia, sia con la Tunisia. Ma proprio come già accaduto troppo spesso in passato, non sembra ci sia alcuna possibilità – almeno al momento e vista l’altissima tensione tra i partner europei – di andare oltre una dichiarazione formale di impegno che però non porterà ad alcun accordo di cooperazione nella distribuzione e ricollocazione degli stranieri.
I flussi
L’ipotesi alternativa che si intende esplorare passa dunque per la riattivazione di quegli accordi bilaterali stretti con alcuni Paesi – in particolare la Tunisia, ma anche il Marocco, il Niger, la Nigeria e altri Stati africani – per aumentare il numero di quanti potranno giungere in Italia con flussi regolari in cambio dell’impegno a garantire il rimpatrio di chi non aveva i requisiti per arrivare.
Un’attività congiunta tra Viminale e Farnesina che però deve poter contare su stanziamenti anche europei e che finora ha mostrato di non funzionare proprio per la mancanza delle risorse necessarie, ma anche per la scarsa cooperazione di quei governi che chiedono una contropartita adeguata.
Per questo si potrebbe utilizzare il Team Europe, il progetto europeo messo a punto durante la pandemia per intervenire sulle situazioni di emergenza e l’Italia chiede di coinvolgere anche i Paesi africani in modo da destinare loro «il 10% delle risorse già allocate» e poi contribuire con altri sostegni di tipo economico.
L’attività delle Ong
È certamente il capitolo più controverso del piano che il Viminale vuole rendere operativo. Ma anche quello ritenuto «prioritario». Perché riguarda l’attività di organizzazioni non governative impegnate nelle attività umanitarie del soccorso in mare. Sulla falsariga di quanto accaduto quando ministro dell’Interno era Marco Minniti, sarà approvato un nuovo codice di condotta per le Ong. Per entrare nelle acque italiane diventerà obbligatorio averlo sottoscritto e la regola principale da rispettare sarà di intervenire soltanto quando esiste un effettivo pericolo per i migranti.
Nei casi in cui si effettua il soccorso di imbarcazioni in pericolo, la procedura prevederà di avvisare le autorità del Paese più vicino comunicando il tipo di intervento che si sta effettuando.
Multe e sequestri
Per chi non rispetterà il codice e questa regola preliminare scatterà automatico il divieto a entrare nelle acque territoriali. In caso di violazione saranno previste sia le sanzioni amministrative (in base alla gravità dei comportamenti) sia il sequestro delle navi.
Le ipotesi che vengono studiate dagli esperti giuridici non prevedono al momento contestazioni penali, né lo strumento del decreto legge anche perché sarebbe complicato sostenere la necessità e l’urgenza di intervenire.
La strada più agevole sembra quella di una regolamentazione che valga come impegno formale e che farà scattare automaticamente le multe se non sarà rispettata.
La Consulta
Il governo va verso quindi il ripristino di gran parte delle norme abrogate dalla ministra Lamorgese durante il secondo governo Conte. Le misure erano andate incontro alle bocciature della Corte Costituzionale.
(da agenzie)
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