IN MEMORIA DI PAOLO, LA FIGLIA FIAMMETTA ACCUSA: “TROPPI DEPISTAGGI DI STATO, VOGLIO LA VERITA'”
A 26 ANNI DALLA MORTE DI BORSELLINO LA DENUNCIA DI FIAMMETTA, MANFREDI E LUCIA: “CI SONO DOMANDE CHE NON SMETTEREMO MAI DI RIPETERE”
“Sono passati 26 anni dalla morte di mio padre, Paolo Borsellino, ucciso a Palermo insieme ai poliziotti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina. E, ancora, aspettiamo delle risposte da uomini delle istituzioni e non solo”
Si apre così l’intervento di Fiammetta Borsellino, su Repubblica, nel quale chiede verità e giustizia alla vigilia dell’anniversario della strage di via D’Amelio del 19 luglio del 1992 in cui persero la vita suo padre e cinque dei suoi agenti di scorta.
Ventisei anni dopo la figlia del magistrato denuncia “un depistaggio iniziato allora, ordito da vertici investigativi e accettato da schiere di giudici”.
Fiammetta Borsellino, nella sua lettera aperta, rivolge tredici domande sui depistaggi, sul falso pentito Scarantino, sui provvedimenti che non furono presi per la sicurezza del padre, sulle ombre dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio, sull’agenda scomparsa
“Ci sono domande – ha scritto Fiammetta Borsellino su Repubblica – che io e miei fratelli Manfredi e Lucia non smetteremo di ripetere, che non possono essere rimosse dall’indifferenza o da colpevoli disattenzioni”.
Il primo quesito è sulla mancata messa in atto di “tutte le misure necessarie per proteggere mio padre, che dopo la morte di Falcone era diventato l’obiettivo numero uno di Cosa nostra”, ha scritto Borsellino chiedendo conto anche della mancata protezione della scena del crimine, con la conseguente sottrazione dell’agenda rossa.
“Perchè i pm di Caltanissetta – ha aggiunto la figlia di Paolo Borsellino – non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che non aveva informato mio padre della nota del Ros sul ‘tritolo arrivato in città ‘ e gli aveva pure negato il coordinamento delle indagini su Palermo, cosa che concesse solo il giorno della strage, con una telefonata alle 7 del mattino?”.
E ancora: “Perchè nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire?”.
Si fa poi riferimento alla mancata protezione della scena della strage, che permise la sottrazione dell’agenda rossa e si chiede perchè Giuseppe Ayala, allora parlamentare, “fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti”.
I dubbi di Fiammetta Borsellino continuano con notazioni sul falso pentito Scarantino “(indicato dall’intelligence come vicino a esponenti mafiosi) e sul suo suggeritore, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera?”.
“Perchè – si domanda ancora Fiammetta Borsellino – i pm di Caltanissetta non depositarono nel primo processo il confronto fatto tre mesi prima tra Scarantino e i veri collaboratori di giustizia (Cancemi, Di Matteo e La Barbera) che lo smentivano?”.
(da agenzie)
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