IN RETE GIRANO FILMATI DI LUNGHE FILE DI TOMBE DI PARACADUTISTI E MARINES RUSSI, E IN ALCUNE CITTA’ IL NUMERO DEI MILITARI CHE SI RIFIUTA DI PARTIRE PER IL FRONTE SFIORA L’80%
A MOSCA CONTINUANO A GIRARE VOCI SU UNA FEROCE RESA DEI CONTI ALL’INTERNO DEL GRUPPO DIRIGENTE. E SONO INIZIATE LE PURGHE DEI GENERALI
«Questa guerra sarà vinta sul campo di battaglia», promette Josep Borrell da Kyiv, e tutti, ucraini, russi e occidentali si preparano alla madre di tutte le battaglie che dovrebbe iniziare nel Donbass, ormai ufficialmente riconosciuto come il nuovo obiettivo fortemente ridimensionato di quella che un mese e mezzo fa era stata lanciata da Mosca come una guerra per riprendersi l’Ucraina.
L’esito del negoziato, e la disponibilità stessa del Cremlino a trattare, dipenderà dalla capacità delle sue truppe di strappare all’Ucraina almeno un lembo di territorio che si possa presentare ai russi come una vittoria, entro il 9 maggio, la fatidica data dell’anniversario della vittoria su Hitler che per Vladimir Putin è diventata negli anni una sorta di culto. Ma non sarà un compito facile.
Perfino il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskov, ha ammesso «cospicue perdite» tra i soldati russi, ammettendo una «tragedia enorme», e attirandosi le ire dei falchi russi. In Rete girano filmati di lunghe file di tombe di paracadutisti e marines russi, e secondo lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, in alcune unità russe il numero dei militari che si rifiutano di partire per il fronte sfiora l’80 per cento.
Un alto funzionario europeo ha rivelato alla Cnn che in poco più di 40 giorni di guerra la resistenza ucraina ha reso non operative un quarto delle truppe russe.
Gli ucraini dichiarano di aver ucciso più di 19 mila soldati, i russi. Almeno 40 BTG – gruppi di battaglioni tattici, da circa mille componenti ciascuno – si sono ritirati dal Nord dell’Ucraina verso la Belarus, rinunciando all’offensiva sulla capitale, e un numero di militari che equivale a 29 Btg sono stati uccisi o feriti.
Secondo la fonte europea, i russi oggi «stanno cercando di mettere insieme quel che resta di due o tre gruppi per creare un’unità combattente». Mentre mancano ancora i numeri sulla campagna di chiamata alle armi primaverile – ma diverse voci parlano di famiglie pronte a pagare qualunque somma per salvare i figli dalla leva – è in corso anche una convocazione di 60 mila riservisti.
Le voci sul richiamo dei riservisti erano state smentite più volte dal comando russo, ma vengono confermate alla Reuters da una fonte militare americana, insieme alle difficoltà di radunare i numeri necessari a rilanciare un’offensiva seppure circoscritta.
A Mosca intanto continuano a girare voci di una feroce resa dei conti all’interno del gruppo dirigente russo. Mentre i falchi – tra cui spiccano il leader ceceno Ramzan Kadyrov e i propagandisti televisivi come Vladimir Solovyov, che ieri ha inneggiato ai guerrieri ortodossi russi che combattono «i demoni di uno Stato nazista e satanico» – continuano a scagliarsi contro chiunque mostri un minimo di rammarico per la guerra, continua la caccia al capro espiatore.
Gennady Gudkov, ex deputato ed ex ufficiale del Kgb diventato oppositore di Putin, rivela che un generale dell’Fsb è stato mandato in carcere: secondo le sue fonti, si tratta del responsabile dell’intelligence che doveva preparare la guerra.
Mentre Kyrylo Budanov, capo dello spionaggio militare ucraino, dice che le truppe russe stanno ricompattando i ranghi nei dintorni di Izyum, la città chiave che apre la direttrice verso il Donbass, sembra che Mosca abbia deciso di affidare le redini dell’operazione nel Sud-Est al generale Aleksandr Dvornikov, un comandante che ha alle spalle l’esperienza della guerra in Siria.
Resta da capire se il cambio di comandante riuscirà ad ovviare ai numerosi disastri di una armata rotta che ha colpito gli osservatori militari di mezzo mondo per le sue scarse capacità. Il generale David Petraeus ha sostenuto qualche giorno fa in un’intervista al Times che Mosca ha «ampiamente sopravvalutato le proprie capacità, sottostimato molto quelle dell’Ucraina, oltre a sbagliare il piano strategico e il coordinamento tra le diverse truppe».
Aggiungendo una scarsità di ufficiali preparati e a una «logistica inadeguata», lo stratega americano delle guerre in Iraq e in Afghanistan ha sostanzialmente bocciato l’ex Armata Rossa in tutte le materie, ma soprattutto nella catena di comando, rigida e verticale, per cui gli ufficiali sul terreno devono aspettare gli ordini dei superiori dal centro. Il contrario dell’esercito ucraino, che il suo comandante Valery Zaluzhnyy ha voluto riformare sul modello occidentale, scommettendo su piccoli gruppi autonomi e una gestione orizzontale e flessibile: «Basta con i piani di guerra del 1943», era stato il suo motto.
(da la Stampa)
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