IN TRE ANNI, DODICENNE ROM METTE A SEGNO 47 COLPI CON 47 NOMI DIVERSI
PICCOLO ROMENO ROM METTE A SEGNO RAPINE E BORSEGGI DA QUANDO AVEVA 10 ANNI…NON E’ IMPUTABILE… OGNI VOLTA LO PORTANO IN COMUNITA’ E DA LI’ SCAPPA IMMANCABILMENTE… LE CHIACCHIERE E I FATTI
Il primo colpo a Roma, quando aveva dieci anni, rapina a una turista. L’ultimo ( per ora), ovvero il 47esimo, alle ore 13 del 9 settembre, alla stazione Centrale di Milano. Appostato con un motorino vicino a un Bancomat, ha strappato via lo stipendio di una ragazza 24enne bulgara che stava passando, ottocento euro che la ragazza, una badante, avrebbe dovuto mandare al Paese di origine. Per fortuna alle urla di aiuto della ragazza, ha fatto seguito l’intervento di una pattuglia di agenti che ha bloccato il ladro bambino.
Portato in caserma, il dodicenne ha detto la solita frase concordata con i genitori ” Avevo fame”, formula ormai collaudata. Era “ospite” del campo nomadi di via Tertulliano. Anche senza consultare le impronte tante care a Maroni, gli agenti hanno semplicemente consultato l’archivio, per avere conferma che il soggetto era stato già fermato per ben 46 volte.
Un’escalation degna di un potenziale delinquente di grosso calibro. In pratica un colpo messo a segno ogni mese, considerando solo quelli in cui è stato fermato.
Ogni volta, per ben 46 volte, si sono aperte per lui, minorenne, le porte di una Comunità . Ogni volta che arrivava al cospetto del direttore della stessa, avvertiva che sarebbe scappato. E così è stato ogni volta, anche perchè notoriamente i centri o le comunità non brillano certo per capacità di evitare le fughe, non essendo delle carceri.
Ora è stato portato in una Comunità di Genova, dove attendiamo solo la notizia del fatto che abbia tolto il disturbo nottetempo. Al massimo rimane ospite 7 giorni, questo il suo record. Alla faccia di poliziotti, magistrati e Tribunale dei minori.
Anche perchè la politica mediatica ci ha sommersi di “tolleranza zero”, di impronte digitali da prendere ai minori rom per identificarli, di censimento dei campi nomadi, ma poi, spenta la televisione e riposti i giornali, i cittadini si trovano di fronte alla realtà , che richiederebbe meno chiacchiere, meno venditori di fumo e più fatti concreti.
Leggi diverse e un sistema giudiziario univoco e coerente con le impostazioni del potere legislativo, mezzi di intervento e la fine del “permissivismo” a ogni costo.
Ci limitiamo ad alcune osservazioni. Il problema non sono le impronte o il censimento. Quest’ultimo dovrebbe essere semplicemente scontato: avete mai visto un proprietario di albergo che non sa quanti ospiti alloggiano da lui? O che nomi hanno? O che non registrano la loro presenza?
Il Comune che mette a disposizione un campo attrezzato per rom, dovrebbe avere un vigile alla porta che prende costantemente i dati dei “clienti”. Ma una cosa normale, in Italia diventa una cosa eccezionale.
Altra considerazione: se una famiglia povera italiana manda i figli a scuola magari in tono dimesso, arriva la segnalazione agli assistenti sociali e rischiano che di vedersi portare via i figlioli.
Se invece una famiglia rom manda i figli a rubare accade: 1) se vengono presi, li riportano all’accampamento con il garbo del caso; 2) i genitori non ne rispondono mai, pur avendo la patria potestà sui figli…per loro non conta; 3) nessuno si permette, salvo i casi di palese abbandono, di sottrarre immediatamente i figli rom ai genitori, mandanti del furto del minore.
Addirittura abbiamo sentito risposte del tipo “Sono abituati così”… Se sono abituati così. basta farli abituare diversamente, cari “giustificazionisti”.
Basterebbe portargli via i figli e verrebbe meno l’interesse a sfruttarli per mendicare o rubare.
Quelli che invece vogliono integrarsi, ovviamente porte aperte e massime garanzie di trattamento adeguato.
Ancora: che senso ha ricoverare il minore in Comunità aperte, tanto aperte che dopo qualche giorno sono belli e scappati? Quale sarà mai l’aiuto socio-psicologico che viene loro fornito, visti i tragici risultati? Non sarà il caso di rivedere la filosofia gestionale di questi Centri a cui vengono demandati compiti che, nei fatti, non sono poi in grado di gestire con successo?
Nessuno vuole uno “stato di polizia”, noi certamente no in ogni caso. Vogliamo il rispetto delle regole che devono essere certe e valere per tutti.
Vogliamo percorsi rieducativi efficaci, anche a costo di mettere le inferriate alle finestre.
Vogliamo educatori veri, non votati alla causa del “permissivismo” ad ogni costo.
Una società ha diritto di imporre regole di convivenza civile condivise. Ma poi occorre saperle fare rispettare senza provvedimenti circensi, ma con la seria applicazione quotidiana.
E la coerenza di chi governa e di chi giudica.
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