INCHIESTA VENEZIA, L’EX ASSESSORE BORASO E LE CARTE BRUCIATE NELLA STUFA DELLA MAMMA…I PM: QUELLE ERANO PROVE
GIRANDOLE DI FATTURE E CONSULENZE SENZA GIUSTIFICARE I SOLDI
«Mà (mamma, ndr), adesso vengo avanti e indietro e butto delle robe in stufa, man mano». È l’8 gennaio scorso e Renato Boraso – l’ex assessore veneziano finito in carcere lo scorso 16 luglio con l’accusa di corruzione nella maxi-inchiesta della Finanza e dei pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini – è a casa della madre, che si trova al piano terra rispetto alla sede della sua società Stella Consulting. «Senza fare commenti accendi la stufa che fa freddo», incalza. E la stessa madre poi si rivolge all’altro figlio: «Digli che la stufa è accesa a tuo fratello che deve bruciare le carte». Poi, a cose fatte: «ha bruciato delle carte che c’è bisogno che le bruci».
Secondo gli inquirenti Boraso stava cercando di distruggere le prove dei suoi reati, dopo che tre settimane prima la trasmissione Report aveva acceso un faro su di lui con l’imprenditore Claudio Vanin che lo aveva accusato in tv di aver preso una «tangente» per la vendita di Palazzo Papadopoli. «Nelle ultime settimane Boraso si è dedicato da una parte a produrre documentazione giustificativa delle somme di denaro, ricevute, simulando di avere svolto consulenze amministrative e immobiliari – annotano i pm nella richiesta di misura cautelare del 19 febbraio – e dall’altra a distruggere, anche bruciandoli, i documenti e le prove della sua condotta illecita». Chiedendo il carcere la procura, oltre al pericolo di reiterazione del reato, proprio per questo aveva segnalato al gip anche quello dell’inquinamento probatorio.
Le consulenze alle società «amiche»
E se quell’8 gennaio, grazie al trojan installato sul suo cellulare, gli inquirenti sono convinti che Boraso si fosse sbarazzato di carte compromettenti, i finanzieri ricostruiscono anche la creazione di quelle consulenze alle varie società «amiche» con le quali negli anni avrebbe mascherato le tangenti. Per esempio il 13 dicembre l’ex assessore contatta la titolare di un’agenzia immobiliare di Padova, alla quale la Stella Consulting aveva emesso fatture per quasi mezzo milione di euro tra 2016 e 2019. «Io ho bisogno di vederti per consegnarti tutta una serie di relazioni… perché documentalmente ho bisogno… io devo consegnarti dei quattro anni di collaborazione un po’ di documentazione», dice l’assessore-consulente. Alla donna, però, chiede anche delle carte sul palazzo di Rio Novo, ex sede dell’università venduta nel 2016 a una società che ci fece un albergo: «Avrei bisogno che mi porti uno… anche due fogli, cinque fogli.. una relazione su quel cazzo di hotel porca puttana, anche fossero due pagine», si arrabbia.
Il caso di Palazzo Papadopoli
Fittizia, per l’accusa, è anche la consulenza da 60 mila euro più Iva fatta dalla Stella Consulting alla Falc Immobiliare, a copertura della tangente per Palazzo Papadopoli. «Bisogna che mi fai una copia dei file… cos’è che avevi scaricato, cosa c’è? Verona? Mi serve Verona, Treviso, Padova e Venezia», dice Boraso alla segretaria il 9 gennaio, sempre intercettato. La consulenza, che Boraso simula di aver consegnato nel maggio 2018, infatti avrebbe dovuto riguardare la segnalazione di occasioni immobiliari in tutto il Veneto, un’ottantina di schede e planimetrie per i pm create a posteriori.
Le richieste di «aggiornamenti»
«Ovviamente poi bisogna togliere i riferimenti del 2020, su Venezia c’era dentro roba del 2020, ma sono documenti… che andavano consegnati nel 2018!», aggiunge. E poi ancora: «Come hai fatto quella roba, sai, un po’ di relazioni e un po’ di planimetrie, fammi quattro copie così sistemo anche altre consulenze che ho fatto io». Idem con Fabrizio Ormenese, l’imprenditore edile anche lui finito in carcere. «Le fatture che hai fatto è un problema perché non c’è il contratto, bisogna che tu mi dai il contratto di consulenza, che hai fatto delle ricerche di mercato, delle robe», gli dice Ormenese il 27 dicembre. Al che Boraso si attiva con la segretaria: «Mettimi i tre file e poi bisogna un po’ aggiornarlo con delle date – le dice – L’unica roba importante, le fatture le facciamo partire e durare due anni».
(da agenzie)
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