INTERVISTA A ANTONINO SPEZIALE: “NON VOGLIO VIOLENZE IN MIO NOME”
IL TIFOSO IN CARCERE PER LA MORTE DELL’ISPETTORE RACITI: “SONO INNOCENTE, NON L’HO UCCISO, NON CONOSCO GENNARO ‘A CAROGNA”
Antonino Speziale, condannato per la morte dell’ispettore Raciti, è nel carcere di Agrigento.
È tornato alla ribalta per la scritta sulla maglietta di Gennaro «a carogna», il boss della curva del Napoli con cui le forze dell’ordine avrebbero «trattato» allo stadio Olimpico.
Antonino, che ieri in carcere ha incontrato suo padre Roberto, ha risposto alle domande girate da “Il Tempo” al difensore, Giuseppe Lipera, che l’ha sempre ritenuto innocente.
Speziale, cosa pensa di quello che è successo a Roma sabato scorso per la finale di Coppa Italia?
«Sono dispiaciuto moltissimo per il tifoso napoletano ferito e per gli scontri fuori dallo stadio».
La madre del capo ultrà napoletano Gennaro De Tommaso, detto «a carogna», ha spiegato che lei e De Tommaso siete amici. È vero?
«Non conosco Gennaro De Tommaso, però so che anche a Napoli è stato presentato il libro “Il caso Speziale: cronaca di un errore giudiziario”, scritto da Simone Nastasi, che spiega nei particolari la mia vicenda processuale».
Ha visto la partita dal carcere e il suo nome sulla t-shirt del capo dei tifosi del Napoli?
«Sì, ho visto la partita e ho provato emozione nel leggere il mio nome sulla maglietta dell’ultrà napoletano, perchè significa che ci sono tante persone, oltre alla mia famiglia e ai miei avvocati, che credono che io sia innocente. Un’emozione che, tuttavia, è stata turbata dai resoconti giornalistici che mi hanno descritto come un cinico assassino».
Cosa pensa delle polemiche sulla «trattativa» dello Stato con gli ultrà ?
«Gli ultrà non sono nè la mafia nè delinquenti. Sono persone, per lo più giovani, che amano tifare per la propria squadra».
Lei si è sempre dichiarato innocente. Ci spiega perchè la sentenza sarebbe ingiusta?
«La mia vicenda processuale la conoscono milioni di italiani che si sono presi la briga di seguirla. Quindi molti sanno della mia innocenza, non solo io. Sono stato accusato di aver colpito l’ispettore Raciti usando a mo’ di ariete una lamiera, un «coprilavello». Non è così. Io quell’arnese l’ho lanciato in aria ma non ha colpito nessuno. Ne è prova il fatto che nessun testimone ha visto la scena che ha ricostruito l’accusa. Di contro, invece, c’è l’immagine video di me che lancio il pezzo di lamiera e alcuni poliziotti che hanno testimoniato dicendo di non aver mai perso di vista il loro capo, l’ispettore Filippo Raciti, ma di non aver visto che Raciti venisse colpito dal coprilavello. Tutto questo è stato confermato dalla perizia dei carabinieri del Ris di Parma, comandati all’epoca dal colonnello Luciano Garofano, e per finire vi sono ben due dichiarazioni rilasciate dall’autista del «Discovery», Salvatore Lazzaro, il quale ha dichiarato ai suoi colleghi della Squadra Mobile di Catania che mentre faceva marcia indietro sentì una botta, si girò e vide l’ispettore Raciti cadere. Lo stesso Lazzaro in dibattimento ha poi inspiegabilmente dichiarato che l’ispettore Raciti fosse lontano 10 metri e nonostante questa palese contraddizione non si è mai voluto procedere per falsa testimonianza contro Lazzaro».
La maglietta nera con la scritta «Speziale libero» è in vendita su internet, alcuni tifosi volevano indossarla allo stadio di Napoli…
«Non so niente di questa iniziativa ma non posso che gioirne. Certo mi turba il fatto che qualcuno possa usare questo gesto non per affermare la mia innocenza ma per inneggiare alla violenza o alla morte di Raciti».
Lei ha mai espresso vicinanza al dolore della famiglia Raciti? Ha mai scritto una lettera alla moglie e ai figli dell’ispettore?
«Sono addolorato. È stato mio padre a scrivere una lettera aperta alla vedova Raciti e al presidente della Repubblica. Nessuno ha mai risposto».
Ha speranza nel futuro?
«Sono stato condannato a due anni per il reato di resistenza a pubblico ufficiale e, avendo avuto complessivamente otto anni, è come se per l’omicidio mi avessero dato sei anni. Ecco, se fossi stato veramente colpevole dell’omicidio, sarei io stesso a dire che sono stato condannato ad una pena mite, perchè la vita di un uomo non vale sei anni. Invece poichè sono innocente questa condanna mi pesa moltissimo e lotterò con tutte le mie forze perchè prima o poi venga acclarata la mia innocenza».
Alberto Di Majo
(da “il Tempo”)
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