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INTERVISTA A CARLO DE BENEDETTI: “LA MELONI? VIVE FUORI DAL TEMPO, SOLO DI SLOGAN, NON SA DI CHE PARLA. I RICCHI PAGHINO PIÙ TASSE. CALENDA È UN’INDIVIDUALISTA CHE NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA SINISTRA”

“ELLY SCHLEIN? DEVE RIPORTARE A SINISTRA UN PARTITO DIVENTATO DEMOCRISTIANO. SOLO CON LA RADICALITÀ SI PUÒ’ SALVARE L’ ITALIA”

Ingegnere, Il suo libro, che ha venduto subito nella prima settimana 2000 copie, è stato già ristampato. È diventato un piccolo caso, perché un uomo, con tutta questa vita alle spalle, che intitola il libro: “Radicalità”, è dirompente. È un saggio provocatorio?
Ma io non lo trovo provocatorio, francamente. Lei prima ha usato per me, con cortesia, la parola “esperienza’. Lo dico io più rudemente: sono arrivato a quasi 89 anni, e ho mantenuto una posizione politica e sociale coerente durante tutta la vita. E vedo un Paese che da vent’anni non cresce, ha i salari più bassi d’Europa, ha l’evasione più alta del continente in termini di percentuale sul reddito… Potrei evidentemente fare un elenco di altre cose che mi rattristano, ma ho deciso di mettere giù quello che penso siano le cose che l’Italia dovrebbe fare prioritariamente”.
E questo è radicalità?
No. Ma mi rendo conto che queste cose non si fanno con una politica di continuismo, come abbiamo visto negli ultimi anni. Si tratta di cambiamenti forti, dovuti a fenomeni di stagnazione conclamati, e se si vuole farli devono essere fatti con radicalità. Radicalità, per intendersi, vuol dire prendendoli dalla radice. Accarezzandoli i problemi non si risolvono.
Lei dice che il fisco è una delle leve da cambiare, che serve più coraggio e far pagare di più chi ha di più. Lei ha avuto tutto dalla vita, fa parte di una classe privilegiata. Come mai, mentre i suoi colleghi dicono che dobbiamo abbassare le tasse, lei sostiene che bisogna far pagare di più a chi ha di più?
Ma perché è una cosa evidente! Le disuguaglianze sono una mina che sta sotto la tenuta delle democrazie, oltre che essere socialmente inique. Chi ha di più deve pagare di più. Francamente non mi sembra una cosa così originale. Tra le persone che si possono permettere di dirlo, non sono il solo. Specialmente negli Stati Uniti. Prendo, per tutti, Bill Gates, che sostiene questa stessa tesi”.
Quale?
“Mi sembra che, di fronte a un mondo e ad una politica, in particolare in Italia, che tende ad esaltare le disuguaglianze, anziché cercare di ridurle, le prime cose che si devono fare sono due e fondamentali: aumentare i salari, perché i salari in Italia sono ridicolmente sproporzionati rispetto a quelli francesi e tedeschi!
E poi?
La seconda è quella di aumentare la tassazione alle persone che più possono permetterselo e che in fondo hanno avuto più capacità, o più fortuna, la si chiami come si vuole. O una combinazione di queste. Ecco, è giusto che rendano alla collettività, che comunque li ha cullati nel loro cammino, una parte di quello che hanno guadagnato.
Nel suo libro Lei fa un esempio illuminante: “Molti oggi, da destra, sostengono che far pagare più tasse a chi può sia una teoria bolscevica. Invece nell’austera Svizzera addirittura si pagano le multe per eccesso di velocità, proporzionalmente in base al reddito.” È giusto questo provvedimento così estremo? In Italia qualcuno griderebbe allo scandalo…
Ma non è estremo. È nella logica del chi più ha, più deve. Una persona che conosco bene, che scendeva in auto da Saint-Moritz verso Milano e attraversava un paesino dove c’è un limite di velocità a 50 all’ora stava andando a 80 all’ora o giù di lì”.
Cosa gli è accaduto?
È stato beccato dalla polizia e gli hanno dato una multa di 18mila franchi, perché era una persona molto abbiente. Capisco che possa sembrare stupefacente, ma è quanto mai giusto. Non vedo un lato buffo della questione, lo vedo un lato altamente responsabile sul piano dell’equità.
Il Presidente del Consiglio della destra più identitaria italiana, è andata al Congresso della Cgil, che è il sindacato più rosso d’Italia e ha detto loro “state sbagliando, bisogna abbattere un’aliquota perché abbassando le tasse si rimette in moto l’economia, si alleggerisce la pressione, si creano cioè quelle condizioni perché il mercato si si accenda”. È sbagliata questa convinzione antica di molte destre, anche liberiste, reaganiane, che da anni attraversa il dibattito nel mondo?
È vecchia, superata, sconfitta. Questi slogan che la Meloni sostiene e distribuisce sono gli stessi che distribuiva Reagan, però quarant’anni fa. Hanno migliorato il mondo? No!
Non possiamo essere così ridicoli. Capisco che la parola conservatore voglia dire anche guardare indietro, anziché guardare avanti. Ma guardare indietro ripetendo macro errori, già condannati dalla realtà, mi sembra una cosa quasi insultante.
Non sono giudizi leggeri. Ma nel suo libro, parlando della legge elettorale, lei dice “finché non avremo la possibilità di selezionare chi ci rappresenterà all’interno della sede della democrazia, che il Parlamento, il distacco dei cittadini dalle istituzioni non farà che crescere”. Quanto è centrale nella nostra politica la mancanza di rappresentatività del Parlamento? Quanto è grave lo scollamento tra gli eletti e gli elettori?
Sono completamente convinto che sia molto grave. Se c’è una legge elettorale che non consente al cittadino di votare un deputato che rappresenti le sue istanze, le sue esigenze, le sue proposte, è evidente che la gente si chiede perché dovrebbe andare al seggio. Oggi, andare a votare è, fondamentalmente, barrare un simbolo dietro il quale sovente non c’è nulla. O ci sono degli interessi, ma che non sono i miei o non sono quelli del singolo individuo. Che, infatti, non va più a votare. È una cosa talmente elementare! I fascisti non volevano che tu votassi per le persone che volevi tu, volevano che tu votassi per le persone che volevano loro.
La Meloni al congresso della CGIL, in una sorta di duello a distanza con le tesi forti del suo saggio, ha detto che alzare i salari minimi è un fallimento sia per i sindacati che per gli imprenditori. Per i sindacati perché li spoglia della loro funzione, quella di fare contratti e di ottenere condizioni per i loro iscrtti, Per gli imprenditori, perché rende insostenibili, cioè fuori dal mercato, i costi più alti del lavoro e delle singole buste paga. Come risponde da imprenditore a questa obiezione?
Che è una stupidaggine. Il salario minimo è un elemento di civiltà. Esiste in tutte le economie occidentali, dalla Francia, alla Germania, agli Stati Uniti. La Meloni vive fuori dal tempo, vive di slogan, non sa di cosa parla. Cosa vuol dire che il salario minimo penalizza i sindacati?
È l’elemento di civiltà di un Paese avere un salario minimo. Il lavoro deve essere valorizzato, perlomeno ai livelli minimi. Infatti la parola è “salario minimo”. In Germania l’hanno introdotto anni fa, lo hanno già rialzato tre volte, attualmente è 12 euro all’ora.
II salario minimo di 9,50 euro come è stato ventilato in Italia, è sacrosanto. Sacrosanto. Per le imprese che producono profitti ed esportazioni, non è mica un problema. Si immagini un po’ alla Ferrari, per fare un esempio: il salario minimo non toccherebbe nessuno, perché tutti guadagnano di più di 9 euro all’ora! Ed è così in tantissime realtà italiane. Il salario minimo è un modo per uccidere la “sottopaga”, lo sfruttamento. Mi sembra che sia una base, quasi indiscutibile, di un minimo di rispetto per chi lavora.
Nella prima parte del libro c’è la spiegazione del perché lei consideri la Svizzera quasi un Paese di adozione, ed è un racconto che ha a che fare con la sua infanzia. Un filo spinato che ha fatto la differenza fra la vita e la morte.
È difficile riassumere una vita in poche parole. Mio padre era un antifascista assoluto, ma fino a quando non arrivarono i tedeschi in Italia diceva: “Fascisti sì, ma prima di tutto italiani”.
Decise di arrivare a dei compromessi e correre dei rischi. Dopo l’8 settembre del 1943, però, mio padre non ebbe esitazione e senza dircelo portò mia madre, mio fratello e me, a fare una passeggiata, una gita.
Ma in realtà era un espatrio.
Andammo a Como, partendo da Torino, poi da Como prendemmo il filobus verso un paesino, e poi ci avviammo fino alla strada. Incrociammo una pattuglia tedesca con i cani. Io ero bambino e naturalmente volevo accarezzare i cani, ma ricevetti uno strattone da mio padre.
Non sapevo, ovviamente, che mio padre si era messo d’accordo con una signora che possedeva una casa lungo il confine, che, dietro pagamento, ci avrebbe fatto passare da un buco della rete che costeggiava la sua proprietà. E così fu. Devo dire che la cosa che più mi emozionò, pochi mesi dopo che noi passammo da quel buco, la signora venne uccisa dai tedeschi perché avevano scoperto che faceva questa cosa. La polizia svizzera ci portò alla stazione di polizia di Chiasso e da lì incominciò la nostra storia di rifugiati.
Con i gioielli cuciti nel corsetto della mamma che venivano dosati per poter pagare le spese
Sì, sì. Noi non avevamo nessuna proprietà e nessun reddito. Non sapevamo quanto sarebbe durata la guerra. Avrebbe potuto durare due anni, come fu, cioè dal ’43 al ’45, ma potevano essere anche dieci anni. Nessuno lo sapeva.
Non sapevamo come proporzionare a un tempo indefinito le nostre poche risorse e si cercava di risparmiare il più possibile. Ricordo che il regalo di Natale che mio fratello ed io facemmo a mia madre nel Natale del ’44: una scatola di sigarette Turmak.
Alla fine del libro lei dice “Eppure io non mi rassegno, forse anche in questo caso è la forma mentis dell’ingegnere, che non può stare con le mani in mano davanti a un motore ingrippato. Forse è la vita che chiude i cerchi, e nella vecchiaia si ritorna velleitari ed estremisti come gli adolescenti. Ma mi rifiuto di pensare che le cose non possano cambiare”. É cosi?
Assolutamente, è così. Perché altrimenti, a quasi 89 anni, non mi metterei a concentrare le mie idee, a scrivere un pamphlet, tenuto conto che poi, ammesso che ci siano dei diritti d’autore di una qualche consistenza, tutti sono destinati alla Fondazione Tog, per la quale sto costruendo la sede a Milano.
Saranno sicuramente di una qualche consistenza perché il suo libro “Radicalità”, edito da Solferino, in questo momento in Italia è ottavo in classifica. Una battuta sulla sua dichiarazione pubblica di appartenenza ad un campo politico. Anche se criticamente, anche se con tutta la libertà che abbiamo sentito, lei dice: “io sono nel campo democratico, con questa mia storia e con questa passione civile”. Che impressione le ha fatto il dibattito che sicuramente ha seguito al Congresso della Cgil fra tutti i leader dell’opposizione, da Calenda a Fratoianni, dalla Schlein a Conte? E soprattutto, pensa che possano e debbano stare insieme?
Stare insieme è una parola grossa. Intanto Calenda lo considero un individualista, che oltretutto non ha nulla a che vedere con la sinistra. Siccome io sono una persona di sinistra…
Un giudizio drastico… Radicale, diciamo.
Radicale, radicale. Ma l’ha detto Calenda, non lo dico io. Ha detto: “Io con voi non andrei mai al governo”. Calenda con gli altri non ha niente da spartire. Infatti non si è capito perché era lì, francamente.
Ma io non ce l’ho con Calenda, che ritengo una persona intelligente con un pessimo carattere. Però, per poter fare una coalizione, bisogna che i singoli abbiamo un’identità Altrimenti è una macchinazione, una combinazione, un opportunismo.
E il Pd?
Io mi auguro che la Schlein dia al PD un’identità, che deve essere un’identità di sinistra. Il centro è già affollato di idee conservatrici che non cambiano la situazione del Paese. Occorre una radicalità che io vedo nella sinistra, perché la radicalità di destra l’abbiamo già avuta, e non è che ha portato bene al Paese. L’unico modo per cambiare da un continuismo, che ha trasformato il PD nella Democrazia cristiana di una volta, è quello di avere una forte identità. Occorre cambiare questa legge elettorale. C’è tempo perché per occorre le elezioni europee si va con un proporzionale secco, per cui non hanno nessun senso le coalizioni. Ma se questa legge elettorale per il Parlamento non verrà modificata, (cosa che io spero ma alla quale non credo) sarà inevitabile fare delle alleanze. Quel poveretto di Enrico Letta ha dichiarato, prima ancora che le elezioni fossero convocate, che voleva perdere. Perché nel momento in cui dici che vuoi andare da solo, dopo aver parlato per mesi di campo largo, hai dichiarato che vuoi perdere. È un fatto. Le elezioni erano perse prima ancora di cominciare. Di fronte a tanta ignavia, ci vuole radicalità.
Che impressione le fa Landini, che pare molto cambiato, forse anche cresciuto rispetto a quello degli esordi, quando era il leader dei metalmeccanici. Sentendolo ieri, che impressione ha avuto dell’uomo?
È chiaro che c’è una mutazione sulla politica da parte di Landini. È sempre un po’ troppo incazzato, però.
Appassionato, forse, o proprio incazzato?
Ho detto incazzato. Lui mi pare una persona sicuramente perbene, sicuramente appassionato, sicuramente coerente con quello che ha sempre pensato, per cui si è sempre battuto. Io dubito che il modo di porgersi sempre da arrabbiato possa dare un’immagine di sconfitto, anziché di possibile vincente. Nella sostanza è una persona altamente apprezzabile. Nel porgersi io cercherei di assomigliare più a Trentin, che fu un grande sindacalista italiano.

(da“L’attimo fuggente” – “Giornale Radio” )

This entry was posted on sabato, Marzo 18th, 2023 at 20:34 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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PONTE SULLO STRETTO, LA ZONA E’ ALTAMENTE SISMICA »

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