INTERVISTA A GUARINIELLO: “I PROCESSI NON FUNZIONANO, SERVONO CONTROLLI E ORDINE”
LASCIA LA MAGISTRATURA IN ANTICIPO SULLA PENSIONE: “NON VOLEVO PROROGHE”
Alla fine, sarà lui ad andarsene. Poche ore prima che sia il decreto di pensionamento a costringerlo.
E lo annuncia proprio ora che aleggia la possibilità di una proroga, dopo il ricorso di pochi altri magistrati che come lui hanno raggiunto i limiti di età ma che, diversamente da lui, vorrebbero restare.
Raffaele Guariniello, 74 anni, lascerà il suo ufficio a palazzo di giustizia di Torino pochi giorni prima del suo congedo previsto il 31 dicembre.
A 48 anni dal suo primo incarico che, nel 1967 lo portò, giovane pretore, in un paese della provincia di Torino per un sopralluogo in un villaggio abusivo di roulotte che sembravano villette: una vita fa, prima delle inchieste sul doping, sull’Eternit, su Thyssen Krupp, su Stamina, sull’olio , che lo avrebbero consacrato agli occhi di molti come un paladino degli ultimi, e a quelli dei più critici come una specie di rockstar in toga.
Ha rassegnato le dimissioni, la sua lettera è di qualche giorno fa.
Perchè lasciare pochi giorni prima del previsto? Un gesto polemico?
«Non intendo fruire di proroghe. È una cosa che non condivido. Il governo ha già tante difficoltà , perchè creargliene altre? E avrei anticipato molto di più, se non dovessi concludere alcune indagini delicate – amianto, colpe professionali, malattie sul luogo di lavoro – perchè sento un bisogno di futuro».
E cosa c’è nel suo futuro?
«Per carattere, ho bisogno di operare in un mondo in cui ci sia entusiasmo. Spero di trovarlo in altri contesti».
Quali? Se lo chiedono tutti: cosa farà Guariniello dopo la pensione?
«Mi sono state proposte alcune cose: ci devo pensare, devo ancora decidere. Ma ho bisogno per il futuro di stimoli che siano pari a quelli che ho avuto in passato in magistratura».
Li ha persi?
«Sto notando una giustizia in crisi, con difficoltà che portano a sfiducia e disaffezione, tra carenze di personale e di risorse».
Sono problemi denunciati da molti anni: che cosa è cambiato adesso?
«Le faccio un esempio. Ieri ho fatto un rinvio a giudizio per una malattia professionale: il processo è stato fissato al 2017. Non è colpa del tribunale, è che proprio non ci sono date disponibili prima. Abbiamo lavorato tanto per fare le indagini, gli interrogatori, le consulenze. Che fine farà ora questo processo? Ed è solo il primo grado. La prescrizione galoppa. E se un processo come quello sulla Thyssen, con indagini chiuse in pochissimi mesi, non è ancora arrivato a una sentenza definitiva, figuriamoci quelli che non hanno lo stesso rilievo mediatico. In Cassazione trovo continuamente sentenze che dicono che il reato c’è, ma è prescritto, anche nei settori delicati di cui mi occupo, la tutela della salute e la sicurezza sul lavoro. Con dati impressionanti».
Si riferisce ai numeri sugli infortuni sul lavoro?
«Sì. Quest’anno, a fine ottobre, abbiamo avuto cento infortuni mortali in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con un aumento del 14%. Eppure è un settore in cui abbiamo fatto tanto, siamo stati all’avanguardia, la procura di Torino è riconosciuta come una punta di diamante in quest’ambito».
Allora che cos’è che non funziona?
«Non è pensabile che un Paese in cui si fanno tutte queste leggi sulla sicurezza ci ritroviamo con questi numeri. Non funziona la pubblica amministrazione, che dovrebbe fare i controlli, e non funzionano nemmeno i processi penali. In questo modo si sviluppa l’idea che le regole ci sono, ma che si possono violare impunemente. In che modo aiutiamo i più deboli?».
Sembrano parole di un uomo rassegnato, eppure lei parla di futuro: come si cambia la situazione?
«à‰ sulla prevenzione che bisogna lavorare, sulla vigilanza. Dobbiamo trovare questi strumenti ed estendere quelli che ci sono, come l’Osservatorio sui tumori professionali. E’ in questa direzione che bisogna andare. Serve più ordine e vitalità nei controlli. Servirebbe un’istituzione che operi su tutto il territorio nazionale. Guardi che non sto dicendo che sia questo il mio futuro…».
Paola Italiano
(da “La Stampa”)
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