INTERVISTA A MACRON: “NON HO PAURA A DIFENDERE L’IDEA DI EUROPA, VA RIFONDATA SUI VALORI, NON SI PUO’ FAR AVANZARE L’EUROPA SENZA I POPOLI”
“L’EUROPA NON DEVE ESSERE UN MECCANISMO CHE STRITOLA I DIRITTI SOCIALI”… “L’EUROPA SI ERA STABILIZZATA SOLO INTORNO A SOGNI EGEMONICI. OGGI PER LA PRIMA VOLTA E’ UNA CREAZIONE DEMOCRATICA CHE HA IMPEDITO LE GUERRE”…”E’ UNO SPAZIO DI LIBERTA’ MA ANCHE DI REGOLE E SOLIDARIETA’ CHE INVECE NON CI SONO STATE”
Dopo venti minuti cita per la prima volta Marine Le Pen, ma non ce ne sarebbe stato nemmeno bisogno, ogni frase che pronuncia ci ricorda la posta in gioco, il bivio di fronte al quale si trovano la Francia e l’Europa.
“Viviamo tempi drammatici e la sfida non è più tanto tra destra e sinistra ma tra apertura e chiusura”. Ma davvero è ancora possibile parlare di progresso? Parlare di Europa? Chiedere ai cittadini di fidarsi, di guardare avanti, di aumentare l’integrazione?
Pochi ormai hanno il coraggio di farlo, spaventati dalla Brexit, da Trump, dall’ascesa dei populismi. E di fronte ad agende che parlano di paura, invasioni di migranti, che identificano l’Europa, la moneta unica e le istituzioni comuni come le radici di tutti i mali, la reazione è quella di cercare compromessi o di inseguire i radicalismi.
Emmanuel Macron invece ha scelto una strada netta, quasi un referendum.
Un passo pericoloso in un Paese come la Francia che 12 anni fa bocciò la costituzione europea: “Ma se siamo solo un po’ europei, se lo diciamo timidamente, abbiamo già perso”.
“Marine Le Pen vuole ricreare la conflittualità tra i Paesi europei, ma io sono nato in una zona piena di cimiteri militari e per me vale sempre la frase di Mitterrand: il nazionalismo è la guerra”.
Chi cita il vecchio presidente – uno dei padri dell’Europa che sul campo di battaglia di Verdun (dove nella prima guerra mondiale tedeschi e francesi si massacrarono) si fece fotografare mano nella mano con il cancelliere Helmut Kohl – non è un anziano nostalgico ma il più giovane dei candidati alla presidenza, quello che sembra destinato ad arrivare in finale con la leader del Front National.
Macron ha solo 39 anni e un curriculum che in questi tempi gli avrebbe dovuto consigliare di stare a casa, ben camuffato.
Ha studiato all’Ena, la scuola di pubblica amministrazione vista come il fumo negli occhi dai populisti, parla tre lingue, ha letto tanto, ama Svevo, ha lavorato alla Banca Rothschild, è stato consigliere di Hollande e ministro dell’Economia.
Ha sempre l’abito blu, modi gentili, mai una parola fuori posto, nessuna concessione al linguaggio della strada. Non parla di veleni, di paure, ma di collaborazione tra Stati, tra popoli, pronuncia parole desuete e quasi naà¯f come buonumore, responsabilità , solidarietà e pace.
Rifiuta la confusione tra rifugiati e migranti e chiama con il loro nome coloro che non amano l’Europa, siano essi Trump e Putin, o ungheresi e polacchi verso i quali non fa sconti: “Mi dispiace ma se non rispetti le decisioni europee devi pagare un prezzo, non c’è niente da inventare, è già tutto previsto dai trattati”.
Sul tavolo giornali, pile di cartelline azzurre con gli appuntamenti della giornata, la trascrizione completa del dibattito televisivo tra i candidati alla presidenza, dietro di lui un libro che sembra calzare a pennello per un candidato che non ha un partito tradizionale alle spalle, ma solo un movimento nuovo di zecca che si chiama En Marche!: “Oggetto politico non identificato”.
Sul muro un grande quadro, una Marianna con la scritta Libertè, Egalitè, Fraternitè disegnato nello stile dei manifesti di Obama.
In molti Paesi europei lei viene presentato come l’uomo che potrebbe evitare una vittoria di Marine Le Pen. È consapevole di quanta attenzione ci sia all’estero intorno alla sua candidatura?
“Prima di tutto vorrei avere un pensiero per le vittime dell’attacco a Londra. Purtroppo in Europa rimane una minaccia terrorista che dobbiamo combattere insieme, senza tregua. Sulla domanda che riguarda Le Pen, la sfida in Francia si gioca anche in altri Paesi, è un dibattito che attraversa l’Europa. Ho avuto molto presto la convinzione che la vera spaccatura non fosse più tra destra e sinistra, anche se esistono ancora delle differenze. La linea di divisione oggi è tra apertura o chiusura, pro o contro Europa, conservatori o progressisti. Mi rendo conto delle responsabilità che pesa su di me quando difendo l’apertura, l’Europa. Ma non devo ritrovarmi da solo. Nei tempi tragici che stiamo vivendo, ognuno di noi dovrebbe avvertire l’importanza di essere europeista”.
Perchè gli elettori francesi dovrebbero seguirla?
“È la prima volta che ci troviamo in un contesto mondiale nel quale così tanti leader stranieri auspicano l’indebolimento dell’Europa. Basta ascoltare Trump e Putin per accorgersene. Avrete forse notato che nella campagna elettorale francese diversi candidati soffrono di una fascinazione deleteria nei confronti della Russia. Non significa che non si debba parlare con Mosca ma dobbiamo capire che oggi, ancora più che in passato, abbiamo bisogno d’Europa”.
Cos’è esattamente l’Europa oggi, a sessant’anni dal Trattato di Roma: un mercato, una moneta unica, uno spazio di pace?
“È un progetto inedito che ha permesso decenni di pace e prosperità come mai. Quando guardiamo l’Europa su scala mondiale ci rendiamo conto che non esiste uno spazio così piccolo con altrettante lingue e culture diverse. L’Unione europea è un formidabile vantaggio contro la conflittualità senza che ci sia quella vocazione egemonica descritta dall’intellettuale tedesco Peter Sloterdijk che parla di “trasferimento tra imperi”, a partire da quello romano, poi carolingio, napoleonico, bismarckiano, hitleriano. L’Europa si era stabilizzata solo intorno a sogni egemonici. Poi, negli ultimi sessant’anni, l’Europa è diventata per la prima volta una creazione democratica plurale. È il tesoro che ci ha tramandato il Trattato di Roma”.
Vediamo invece che aumentano gli egoismi nazionali.
“L’Europa si è snaturata per mancanza di leadership politica. A partire dagli anni Novanta, il Mercato unico è stato deviato nel suo utilizzo. Come diceva Jacques Delors, è nato come uno spazio di libertà ma anche di regole e solidarietà che, invece, non ci sono state. Questo squilibrio, rifiutato dai popoli, è stato spinto da alcuni stati ultra-liberisti, come la Gran Bretagna. Per ironia della Storia poi la Brexit è stato lanciata proprio in nome dello squilibrio del Mercato unico. Oggi dobbiamo rimettere ordine con un’armonizzazione fiscale e sociale”.
Non è già troppo tardi?
“Si è smarrita quella che chiamo la “logica del desiderio”. Da quando ci sono stati i “no” francesi e olandesi, nel 2005, nessuno ha più voluto proporre un movimento in avanti, anzi ha prevalso la logica del dubbio. Così abbiamo avuto la discussione sulla Grexit, poi sulla Brexit e non so quale altro “exit” dobbiamo aspettarci”.
Forse anche perchè l’asse tra Parigi e Berlino ha smesso di funzionare?
“All’indomani della crisi economica, la sfiducia è iniziata nell’eurozona nei confronti dei Paesi indebitati che non avevano fatto gli sforzi necessari pur avendo goduto della protezione del tasso d’interesse unico. La diffidenza si è poi diffusa tra Paesi dell’Est e dell’Ovest”.
L’allargamento a 28 è stato un errore?
“L’Europa non ha saputo gestire l’allargamento, e si è paralizzata. Dobbiamo ammetterlo con onestà , è lampante nelle discussioni che abbiamo oggi con l’Ungheria o la Polonia. C’è stato anche un impatto negativo sull’eurozona. Alcune riforme non sono stata fatte per non contrariare britannici e polacchi. Abbiamo visto il ringraziamento: i primi se ne sono andati, gli altri non rispettano i valori dell’Unione”.
Franà§ois Hollande non è riuscito a “riorientare” l’Europa come aveva promesso?
“Senza la Francia e Hollande nell’estate 2012 non ci sarebbe stata neppure l’Unione bancaria e saremmo andati incontro al peggio. Ho avuto dei disaccordi con il Presidente sulla sua strategia europea ma l’Unione bancaria è stata una conquista indispensabile”.
Senza l’intervento francese la Grecia sarebbe uscita dall’euro?
“Non solo la Grecia, tutto sarebbe andato in fumo. L’Unione bancaria è la porta anti-incendio tra i debiti pubblici e le banche, è la base dell’impegno di Mario Draghi e del suo famoso “whatever it takes”, ovvero il nuovo ruolo della Bce”.
Come pensa di ristabilire un clima di fiducia con la Germania?
“Se la Francia vuole ridiventare il motore dell’Europa deve intanto ammettere di non aver fatto tutte le riforme necessarie. È per questo che ho presentato delle riforme chiave su lavoro, formazione professionale, istruzione e concertazione sociale, mantenendo una linea credibile sui conti senza le ambiguità che ci sono state nel 2013”.
La Francia negli ultimi anni ha trattato per sè deroghe con la Commissione, senza appoggiare una battaglia più ampia sulle regole come chiedeva l’Italia. È stato uno sbaglio?
“Penso che nell’estate 2012 la Francia abbia fatto la sua parte, mentre invece sono critico sulla posizione adottata nella primavera 2013, ovvero la rinuncia a un dibattito sugli equilibri finanziari nel timore di sollevare un polverone. C’erano gli elementi macro-economici per farlo e avremmo trovato al nostro fianco altri Paesi, come l’Italia. Oggi il contesto è cambiato. Sono convinto che se facciamo le riforme necessarie, se rispettiamo una traiettoria finanziaria che confermi il rapporto 3% deficit/Pil, allora si può lanciare un vero piano di investimenti, in Francia e in Europa. Sono favorevole a un New Deal. E sono anche l’unico candidato francese ad esprimere un discorso di verità e credibilità “.
Molte critiche all’Europa si concentrano sulla concorrenza interna tra lavoratori, la minaccia sui diritti sociali, le differenze tra sistemi fiscali. Come risponde?
“In questo caso la pressione è ancora più potente perchè non viene dai mercati ma dai popoli. È ciò su cui fa leva ad esempio Marine Le Pen. Dobbiamo mostrare una gran fermezza se non vogliamo che i cittadini scambino l’Europa per un meccanismo che stritola i diritti sociali. È anche la dimostrazione che troppa eterogeneità indebolisce l’Europa “.
Occorre tornare a un’Unione europea con meno Paesi, più simile a quella dei fondatori?
“Non ho alcuna remore nell’appoggiare un’Europa a più velocità , che tra l’altro esiste già . Sull’Unione a ventotto Paesi, e presto a ventisette, potremo continuare ad avanzare su temi come l’energia e il digitale. Sulla Difesa, invece, dobbiamo aprire una cooperazione ad hoc, prevista dai trattati, con Francia, Germania, Italia e Spagna, associando la Gran Bretagna. Nell’eurozona sono per una convergenza fiscale e sociale, con un bilancio, un esecutivo e un Parlamento. Propongo di lanciare una consultazione democratica su questa road map”.
Come si svolgerà la consultazione?
“Saranno degli Stati generali organizzati in ognuno dei ventisette Paesi. C’è oggi un vero bisogno di partecipazione. Gli europeisti hanno avuto sinora troppa paura della democrazia. Non si può far avanzare l’Europa senza i popoli. Ma dobbiamo essere chiari. Se un Paese decide di non andare avanti, non deve poter bloccare gli altri. È un concetto che ho ripreso da Mario Monti”.
Al livello europeo il suo movimento si potrebbe collocare nel gruppo dei liberali?
“Dico spesso che il mio obiettivo è libertà e protezione. Oggi vediamo che i partiti socialisti europei si stanno ricomponendo, con una parte della sinistra che si radicalizza e una parte che si avvicina ai liberali, davanti a una destra conservatrice che si dissolve o si radicalizza. Quel che accade in Francia assomiglia molto alle divisioni che attraversano in questo momento la destra e la sinistra italiana”.
Non le dispiace essere definito populista?
“È una parola con diverse accezioni. Se significa parlare al popolo allora, sì, non ho problemi a essere chiamato così. Se invece viene usata per definire chi lusinga i popoli, ovvero chi è demagogo, non è il mio caso. Sull’Europa e su altri temi non dico alla gente ciò che vorrebbe sentirsi dire”.
Quale ruolo può avere l’Italia nella “rifondazione” dell’Europa di cui parla?
“La coppia franco-tedesca è necessaria ma non sufficiente. Dobbiamo lavorare a stretto contatto con l’Italia per stabilizzare il cuore dell’Europa e dell’eurozona insieme a Germania, la Spagna, i Paesi del Benelux, e altri che vorranno unirsi”.
L’Europa si è rivelata impotente nella crisi dei rifugiati. Cosa farebbe se fosse eletto capo dello Stato?
“La Cancelliera ha mostrato responsabilità e dignità nel rifiutare la confusione tra migranti e rifugiati. L’Italia aveva allertato con anticipo sui problemi nel Mediterraneo e sui limiti al sistema di Dublino. Purtroppo l’Europa ha reagito tardi. Abbiamo voluto redistribuire i rifugiati quando erano ormai già arrivati, poi abbiamo negoziato un accordo con la Turchia che ha chiuso la rotta dei Balcani aprendo invece quella dalla Libia. La soluzione che propongo è una gestione coordinata delle domande d’asilo nei paesi di partenza o di transito, con una migliore vigilanza alle frontiere esterne dell’Ue. È l’unico modo di essere efficaci, mantenendo la nostra umanità . Solo così ci potrà essere una redistribuzione tra gli Stati membri”.
Abbiamo già visto che non funziona. Molti governi, tra cui quello ungherese, hanno rifiutato di prendere le loro “quote” di rifugiati.
“Ne ho abbastanza di un comportamento insidioso che autorizza il non rispetto dei nostri principi da parte di alcuni Stati membri. Nei trattati esistono delle sanzioni finanziarie previste in questi casi. Non si può minacciare una procedura d’infrazione solo quando si tratta di deficit o conti pubblici e non invece quando sono in gioco i nostri valori fondamentali “.
Un ballottaggio tra lei e Marine Le Pen sarebbe quasi un referendum tra un sì e un no all’Europa. Nel 2005, quando si votò per la Costituzione europea si sa come risposero i francesi. Non corre un rischio enorme schierandosi in modo così netto?
“Chi è solo timidamente europeista ha già perso. Amo furiosamente l’Europa ma ammetto che non funziona, che dobbiamo rifondarla. Franà§ois Mitterrand l’aveva detto a suo tempo: il nazionalismo è la guerra. La mia regione, ad Amiens, è disseminata di cimiteri militari. È quel che propone Marine Le Pen: ricreare la conflittualità in Europa. Se davanti agli estremismi il partito della ragione si arrende e cede alla tirannia dell’impazienza, allora saremo tutti morti”.
La sfida è totale, la scommessa: tornare indietro o correre il rischio di andare avanti.
Tra noi e il salto nel passato è rimasto solo questo ragazzo che ha capito che il tempo è adesso anche se non porta l’orologio, ma ha due iPhone che non guarda mai per oltre un’ora, due fedi di oro bianco una all’anulare sinistro l’altra su quello destro, due penne, un pennarello e una stilografica, che sorride, risponde con calma, ascolta le domande e guarda l’interlocutore negli occhi.
Sembra sicuro e tranquillissimo, come lo slogan della grande pubblicità di una serie tv che occupa tutta la stazione della metropolitana dall’altra parte della strada: “Dalla fiducia nasce la forza”. Lui sembra crederci fino in fondo. Un marziano.
Poi torni a guardargli le mani e ti accorgi che si mangia le unghie: è umano.
(da “La Repubblica”)
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