INTERVISTA A ROBERTO D’AGOSTINO: “IL GOVERNO MELONI DEVE FICCARSI NELLA TESTA CHE LO SMANTELLAMENTO SELVAGGIO ALLA TRUMP DEGLI ORGANI DI CONTROLLO DELLO STATO (IL COSIDDETTO “DEEP STATE”), NON ESISTE NELLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA”
“DOPO VENT’ANNI DI DITTATURA FASCISTA, CORTE DEI CONTI, CONSULTA, RAGIONERIA GENERALE ETC. HANNO IL COMPITO DI VIGILARE SULLE EVENTUALI SPINTE AUTORITARIE DELL’ESECUTIVO”… “I SEDICENTI ”CAMERATI” DI PALAZZO CHIGI, POVERI DI CULTURA DEL POTERE MA RICCHI DI VOGLIA DI RIVINCITA, HANNO COMMESSO UN’ARROGANZA DIETRO L’ALTRA: SUL PNRR, TOGLIENDO AL MES I DOSSIER E POI POSTCIPANDO IL CONTROLLO DELLA CORTE DEI CONTI, FINO ALLA SCELTA DI GIORGETTI DI NOMINARE DARIA PERROTTA COME NUOVA RAGIONIERA DELLO STATO”
Le ultime settimane sono state caratterizzate da numerose vicende di cronaca, alcune delle quali ancora poco chiare, che hanno messo in luce una guerra totale tra poteri dello Stato ed evidenziato, ancora una volta, la presenza di uno Stato dentro lo Stato, il cosiddetto Deep State.
Ma che cos’è di preciso il Deep State? E come agisce soprattutto in momenti storico-politici complessi e delicati come quello attuale?
Lo abbiamo chiesto a Roberto D’Agostino, fondatore e direttore di Dagospia, sito web di successo che da oltre vent’anni racconta il potere italiano senza filtri.
Conoscitore del potere che si esplica soprattutto negli ambienti politico-romani, ma che influenza poi lo spirito delle scelte nazionali, “Dago” spiega a TPI perché tutti i premier, dal Dopoguerra in poi, hanno dovuto fare i conti con il Deep State, chiarendo anche quali siano state, a suo parere, le conseguenze per coloro che non si sono adeguati al sistema. Perché, per dirla con le sue parole, con gli apparati «non si va alla guerra, ma ci si deve “attovagliare”».
Lo spionaggio contro i giornalisti, il Dis che presenta un esposto contro il procuratore di Roma, Lo Voi, lo scontro tra Governo e magistratura: sembra di assistere ad una guerra tra poteri dello Stato. Qual è la sua chiave di lettura e di interpretazione delle recenti vicende di cronaca politica?
«Lo scontro tra poteri dello Stato, vale a dire gli apparati e il cosiddetto Deep State, e gli inquilini di Palazzo Chigi è sempre stato un tema all’ordine del giorno sin dall’inizio della Repubblica».
D’Agostino, ci aiuta a comprendere meglio che cos’è di preciso il cosiddetto Deep State?
«Al termine della guerra, dopo vent’anni di Fascismo, la Repubblica italiana, i vari De Gasperi, Togliatti, Nenni eccetera, danno vita a una democrazia parlamentare articolata in un sistema che controbilanciava il potere del governo con il potere del Quirinale, della Corte dei Conti, della Consulta, della Ragioneria Generale, eccetera.
Il ventennio di dittatura mussoliniana aveva lasciato una tale ferita profonda nel corpo dello Stato (di cui gli italiani non hanno mai elaborato il lutto: prima 45 milioni di fascisti, dopo il 25 luglio 45 milioni di antifascisti) che spinse i due maggiori partiti, Democrazia Cristiana e Partito Comunista, a creare un contrappeso legislativo ad eventuali spinte autoritarie dell’esecutivo.
Il “duello” tra poteri, ad esempio, si è presentato con l’arrivo a Palazzo Chigi di Bettino Craxi, che era estraneo a certe dinamiche dei Palazzi romani».
Ovvero?
«Già Pietro Nenni nel 1963, nel primo governo di centrosinistra, scoprì che a Palazzo Chigi la fatidica “stanza dei bottoni” non esisteva e che l’inquilino del primo piano non poteva fare il cazzo che voleva. Il sistema democratico italiano è fatto di pesi e contrappesi: da una parte, il potere esecutivo; dall’altra, gli apparati dello Stato».
E cosa fece Craxi al suo arrivo al potere, che fino ad allora era stato detenuto quasi esclusivamente dalla Democrazia Cristiana?
«Craxi premier prende come sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giuliano Amato, che non faceva parte della sua corrente, ma era il “Dottor Sottile” ad essere il punto di riferimento tra Palazzo Chigi, il Quirinale, la Corte dei Conti, i Servizi, la Consulta, eccetera».
E poi?
«Quando arriva Silvio Berlusconi al potere, nel 1994, il suo governo fa una fine immediata».
Successivamente, però, Berlusconi è stato il presidente del Consiglio più duraturo dell’Italia repubblicana, detentore di un grandissimo potere economico, mediatico e politico, oltre che beneficiario di un altissimo consenso
«E infatti nel suo secondo governo, Berlusconi corre ai ripari. Chiama come sottosegretario alla presidenza del Consiglio il navigatissimo Gianni Letta, affiancato dall’ottimo Franco Frattini.
Sono loro il segreto dei rapporti del ventennio berlusconiano con il Deep State. Va detto che Berlusconi era interessato ai suoi affari, non a quelli dello Stato: una volta mi rivelò di non conoscere come si chiamava il capo dei Servizi Segreti. Tutto era delegato alle capacità diplomatiche di Frattini e Letta».
Il problema di Giorgia Meloni, quindi, è quello di non essersi affidata a persone in grado di dialogare con il Deep State e di non avere scelto accanto a sé personaggi adatti a ricoprire il ruolo del calibro di coloro che li hanno preceduti?
«Mica solo lei: tutti i premier recenti non hanno mai avuto l’attenzione di avere un “ponte” con i controllori del potere esecutivo.
Renzi arriva a Palazzo Chigi e fa il suo Giglio Magico con quattro amici fiorentini.
Conte, un avvocato del tutto a digiuno di politica politicante, “inventato” da Luigi Di Maio con Matteo Salvini, ha tirato avanti finché relazionava le sue decisioni con il Quirinale (nella persona di Ugo Zampetti, segretario generale della presidenza della Repubblica, già tutor di Di Maio quando era presidente della Camera)
Quando, dopo l’uscita coatta di Salvini e l’arrivo del Pd, Conte si è cotonato il cervello tagliando il filo con il Colle è naufragato miseramente: gli bastavano appena tre senatori per il Conte-ter, ma il Quirinale l’ha segato».
Torniamo a Meloni.
«All’inizio Meloni voleva mettere come sottosegretario alla presidenza del Consiglio Guido Crosetto, che poi fu fatto fuori perché non era uno della “parrocchia” del Colle Oppio.
La scelta è poi ricaduta su Giovanbattista Fazzolari, uno che nel 2018 era un dirigente di seconda fascia alla Regione Lazio. Quali potevano essere i rapporti con il Deep State?
Infatti Gianfranco Finì chiamò la premier consigliandole di chiamare anche Alfredo Mantovano, ex magistrato, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio».
Gli apparati ora si stanno rivoltando contro il Governo Meloni?
«Sicuramente nei confronti del Deep State, i componenti dell’esecutivo Meloni, poveri di cultura del potere ma ricchi di voglia di rivincita, hanno commesso un’arroganza dietro l’altra».
Ci può fare qualche esempio?
«Sul Pnrr, per esempio, Mario Draghi aveva creato una task force a via XX Settembre, al ministero dell’Economia. Quando arriva Meloni questa task force viene abolita, si crea un nuovo dicastero e passa tutto nelle mani di Raffaele Fitto. Questi sono sgarbi che la Pubblica Amministrazione non digerisce. Un altro esempio è legato alla cacciata di Alessandro Rivera, ex direttore generale al ministero del Tesoro, oppure il violento scazzo con la Corte dei Conti sul controllo dei fondi Pnrr e la scelta di Giorgetti di nominare Daria Perrotta come nuova Ragioniera dello Stato, una figura che non faceva parte dell’apparato».
Quindi, secondo lei, è una sorta di dichiarazione di guerra al Deep State?
«Meloni e camerati non hanno capito che il Deep State è un mondo che non è né di destra né di sinistra ma sta nel centrotavola. Sanno bene che tutti i governi passano, tutti i regimi si dimenticano, ma loro stanno sempre lì, fedeli nei secoli. Quindi, se c’è qualche divergenza con la Corte dei Conti, non si va alla guerra ma, come si dice a Roma, ci si deve “atto-vagliare”, prima discutere e trovare una quadra e infine legiferare».
Dunque la sopravvivenza di un governo passa inevitabilmente dal dialogo con gli apparati. Forse Meloni ha commesso un errore di impreparazione e di prospettiva?
«Se tu prendi una decisione e poi, solamente dopo, la spieghi, ti crei un’opposizione.
La burocrazia sarà elefantiaca, insopportabile nell’era digitale, ma è quella che ha il compito di salvaguardare e vigilare i dettami della Carta costituzionale. Quando si sgarra mette i bastoni tra le ruote, fa il suo compito».
Un esempio di un apparato particolarmente potente?
«Gli uomini degli uffici legislativi sono potentissimi, e gran parte provengono dalla Consulta e dalla Corte dei Conti, perché sono quelli che scrivono materialmente le leggi. E quando vogliono che una noma sia cestinata dal Quirinale o dalla Corte Costituzionale, la scrivono con i piedi.
Un “problema” che Giorgia Meloni vorrebbe decapitare come ha fatto il Caligola a stelle e strisce Trump attuando lo spoils system più folle, a partire dalla decapitazione dei vertici del Pentagono. Ma in Italia, purtroppo per la Giorgia dei Due Mondi, c’è un sistema politico che è ben diverso da quello americano dove la burocrazia è considerata obsoleta. Però anche il sistema americano sta avendo i suoi problemi».
Ci spieghi meglio questo concetto.
«Quando tu decapiti centri di potere assoluto come l’Fbi o la Cia, una reazione te la devi aspettare. Guarda caso, poi spunta un dissidente libico che si trova in Svezia che posta le foto di Almasri mentre scende da un aereo dei Servizi italiani (Aise)».
Questo che significa?
«Forse chi è troppo vicino ad Attila Trump potrebbe correre: magari i vertici dell’intelligence avranno riempito gli scatoloni di chiavette piene di documenti…».
Quindi le pressioni maggiori sul Governo arrivano dall’estero?
«No, quello di Almasri è un caso. Poi anche all’interno c’è un sistema che non prevede di far fuori la burocrazia, che ha pure tempi cari al Novecento. In Italia ci sono più leggi che abitanti, ma senza la burocrazia non ci sarebbe nessuna vigilanza sul governo. La burocrazia puoi adeguarla ai tempi ma non puoi farne a meno».
A proposito di intelligence, le recenti dimissioni di Elisabetta Belloni dal Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, come vanno lette?
«Dopo la riforma dei Servizi Segreti, il Dis aveva il compito amministrativo di coordinare il lavoro esecutivo delle due agenzie di interni ed esteri. Un bel giorno Belloni è andata da Mantovano, autorità delegata ai Servizi, chiedendo di essere l’unica sua interlocutrice. Ovviamente, è uscita con le pive nel sacco».
Perché?
«Mantovano ha come interlocutori Giovanni Caravelli, direttore dell’Aise, e Bruno Valensise, direttore dell’Aisi: Elisabetta Belloni è finita in “sala d’attesa”. È anche vero che la riforma dei Servizi è stata fatta male perché chi è andato a capo del Dis, poi, non si è mai limitato alle regole d’amministrazione e si creano dei conflitti in un apparato il cui obiettivo è quello di assicurare la sicurezza dello Stato».
Riguardo all’argomento inerente alla sicurezza dello Stato, nei giorni scorsi è emerso che alcuni giornalisti e attivisti sono stati intercettati attraverso lo spyware Paragon, in dotazione al Governo italiano prima della rescissione del contratto.
«Se un giornalista viene spiato dovrebbero spiegare se l’intercettato è un terrorista che mette a rischio lo Stato. Se l’intercettato è solo un “avversario” politico, non si capisce dove andiamo a finire».
Il silenzio di Giorgia Meloni, in particolar modo su questa vicenda, ma anche su altre questioni poco chiare, sulle quali la presidente del Consiglio sembra sparita dai radar del dibattito parlamentare e giornalistico, social a parte, come si spiega
«Sinceramente non la capisco. Basterebbe porre il segreto di Stato e spiegare che sono affari che riguardano la sicurezza del Paese chiudendo lì la questione. Queste vicende dimostrano che coloro che governano oggi non hanno la cultura del potere in possesso ai leader della Prima Repubblica».
È un problema di classe dirigente, quindi, e di scelte di personale politico?
«Basti pensare al caso Striano e all’accesso abusivo ai dati della Direzione nazionale Antimafia. Non è che la destra ha potuto incolpare Elly Schlein o Nicola Fratoianni, è tutta roba loro».
Qual è il ruolo dei Servizi al giorno d’oggi?
«Il problema è geopolitico, la discriminante oggi è la politica estera, che è un settore da sempre in mano all’intelligence. Il ruolo dei Servizi è molto ma molto più importante perché ha bisogno di mezzi tecnologici che l’Italia deve solo comprare. Ma c’è un problema».
Quale?
«Che se tu compri, il venditore a sua volta ti può “attenzionare” quando vuole. E con l’intelligenza artificiale gli spyware saranno sempre più invasivi».
Lei con il suo sito Dagospia non fa sconti a nessuno, potenti e non. Non teme di essere intercettato?
«Lo do per scontato, ma è ovvio. Siamo tutti intercettati, oggi basta uno che lavora in banca per entrare nel conto corrente di Mattarella. È l’altra faccia della tecnologia. Da una parte ti dà la possibilità di fare tutto digitando un telefonino, dall’altra devi mettere in conto che la tua privacy non esiste più. Come si dice a Roma: non si può avere la siringa piena e la moglie drogata».
(da TPI – The Post Internazionale”)
Leave a Reply