INTERVISTA A VASCO ROSSI: “NON VA BENE, NON VA BENE COSI'”
SALVINI E LA STRETTA AUTORITARIA, LA VOGLIA ITALICA DELL’UOMO O DELLA DONNA “FORTE”, I LIBRI PIU’ AMATI, IL NATALE NORMALE IN FAMIGLIA
Nell’introduzione al lungo racconto sulla sua infanzia che troverete nelle pagine di Robinson in edicola per tutta questa settimana (se leggete solo online giovedì 26 dicembre lo troverete anche in homepage di Repubblica), Vasco dice di sé di essere «la rivincita dell’uomo comune». Sembra un paradosso ma non lo è. Questo, chi lo ascolta con attenzione, lo sa bene. Ma come fa l’uomo che ha battuto tutti i record per i concerti, una delle più grandi rockstar del pianeta, a essere al tempo stesso «la rivincita dell’uomo comune»? Probabilmente perché non sembra cambiato rispetto a quel ragazzo che quarant’anni fa saliva su palchi dove ogni notte doveva combattere una battaglia con un pubblico che non era né condiscendente né, tantomeno, adorante come oggi, ma che lo sfidava tirandogli addosso di tutto, fischiandolo quando faceva pezzi più lenti per cui la band doveva rispondere con la forza del rock’n’roll.
La sua credibilità nasce da lì, da quella lunga gavetta on the road, quando aveva tutto contro: il perbenismo dei benpensanti, il luogo comune da “maledetto” che gli veniva affibbiato, le critiche paludate di chi non capiva o non voleva capire. La credibilità Vasco se l’è conquistata chilometro per chilometro. Ogni concerto un rito potente e selvaggio con un officiante carismatico ma al tempo stesso onesto, sincero, vero. Con la stessa onestà e la stessa voglia di sfidare il potere che abbiamo ritrovato pochi giorni fa quando sui social ha attaccato Matteo Salvini «che ha fatto in modo che se avete fumato una canna, anche una settimana prima, potete essere arrestati immediatamente e la patente vi viene ritirata per tre anni. Tutto questo per il vostro bene, naturalmente». Molti artisti oggi preferiscono stare zitti per non rischiare: non si sa mai. Una parte di pubblico potrebbe non apprezzare, la forza del potere potrebbe mettere i bastoni tra le ruote. E nell’Italia dei burocrati di modi ce ne sono tanti. Quelli più diretti, come querelare per una critica giornalisti e scrittori non allineati, ma anche indiretti: cavilli vari, permessi non concessi. Ritroviamo Vasco per parlare di questo e di molto altro.
Sei tornato da poco dagli Stati Uniti.
«Da pochi giorni. Ho ancora addosso il clima caldo di Los Angeles nella testa ed è strano trovare il freddo. Ma sono contento di essere tornato a casa in questo splendido Paese. Un paesello, nel senso di “piccolo paese”, rispetto all’altro che è enorme».
Qual è la differenza più grande tra America e Italia?
«La differenza è che i piccoli cialtroni che abbiamo qua, là sono cialtroni huge».
Ho visto che hai provato delle macchine strane.
«Sì: la macchina senza autista. All’inizio ero scettico ma era talmente sicura nei movimenti che ti dimentichi subito che non c’è nessuno alla guida. Là le strade poi sono tutte dritte, con pochi semafori, per cui ti dà una sensazione di sicurezza incredibile. Funziona solo in certe zone di Los Angeles, non va sulle colline per esempio, ma ce ne sono già molte in giro…».
La questione di Salvini, con la nuova legge per cui ti arrestano subito e ti ritirano la patente se hai fumato una canna anche alcuni giorni prima, in questo modo sarebbe già risolta.
«Non vorrei aggiungere altro, perché vengo solo strumentalizzato. Ma ho voluto provocare il dibattito e attirare l’attenzione sperando ancora che il ministro ci ripensi e rinunci a quella assurda, propagandistica modifica della vecchia legge che prevedeva già il ritiro della patente per chi guida sotto l’effetto di cannabis. Ma dopo una settimana si guida perfettamente lucidi. È una cosa inaccettabile che dovrebbe essere evidente a chiunque! Qui non si salvano vite, ma se ne rovinano molte altre. Viene introdotta una ingiusta caccia a comportamenti, peraltro perfettamente legali, come l’utilizzo della cannabis a scopo terapeutico».
Hai provato anche un’altra macchina, il CyberTruck «dell’amico di Giorgia, Elon Musk» e hai detto che è molto utile per portare «olive, pere cotte, moto d’acqua, tronchi d’albero» e…
«Casse di mitragliatori (ride). Esatto. Quello è proprio molto di moda, se ne vedono un casino che girano per le strade e la prima volta che l’ho visto non ci volevo credere perché… era bruttissimo, sembrava uno scherzo! Credevo che avesse chissà che a livello tecnologico, che so: batterie solari che si ricaricano da sole, cose così… Poi quando l’ho provata ho scoperto che c’è anche un bel cassone dietro dove tu puoi caricare casse di frutta, animali uccisi a caccia, alberi e perché no? Fucili, mitragliatori e armi di ogni tipo (ride)».
A te però comunque piace molto andare in America, forse perché lì puoi vivere una vita normale. Però poi torni sempre per Natale, per le feste…
«Certo: io vado là per un mese circa ma solo per fare vacanza da Vasco Rossi. Potrei andare anche solo in Spagna, per la verità, ma sono abituato ad andar là e vado là, almeno finché mi fanno entrare, perché non si sa cosa succederà adesso: i più impresentabili sono diventati i capi. Viene da ridere per non piangere…».
Non che qui siamo messi molto bene.
«Anche là però hai questa sensazione che i progressisti comunque non riescono a dare una visione. Di che cosa non lo so neanche bene… Un senso di sicurezza forse, che faccia sentire un po’ meglio soprattutto le classi meno abbienti, che poi sono le vittime delle cosiddette fake news provenienti dai social, ma anche da certe tv per cui la gente diventa rimbecillita perché è sempre messa in ansia da presunte minacce assurde e si sente sempre più confusa. Così finiscono per affidarsi al personaggio “forte”, a quello che le spara più grosse. Io poi credevo che una donna avesse più chance, mi sembrava davvero una grande occasione per Kamala Harris, e invece è andato tutto in un’altra direzione che non mi aspettavo assolutamente».
Le paure funzionano sempre molto bene.
«La microcriminalità è un problema che spaventa molto la gente: le strade non sono sicure. Ma sulla soluzione di questo problema dovremmo essere tutti d’accordo che è una questione di ordine pubblico, non di politica. Aveva proprio ragione Spinoza quando diceva che il potere ha sempre bisogno che la gente sia affetta da tristezza e da paura… Così giustifica se stesso e quindi ne semina sempre di più».
Torniamo a Vasco rockstar: è appena stata pubblicata una nuova edizione del tuo primo live, “Va bene, va bene così” che, quarant’anni fa, aveva subito venduto più di un milione di copie.
«E che adesso è finalmente uscito con le altre canzoni che non erano mai state pubblicate, così c’è praticamente l’intero concerto che avevamo registrato nel 1983, tanto che quando l’ho risentito tutto insieme sono rimasto veramente allibito dalla potenza e dalla precisione della band di allora. L’abbiamo ristampato proprio come era stato registrato in origine, non è mica stato risuonato niente! Sono rimasto proprio molto piacevolmente colpito da come suonava il gruppo, dal tiro che aveva, dalla convinzione e anche dalla mia voce: non me l’aspettavo! All’inizio ho detto “Vah beh, adesso sentiamo” ma senza aspettarmi granché perché non c’era la tecnologia di adesso e di quei tempi mi ricordavo soprattutto un gran casino: sentivo solo il volume della chitarra di Solieri a mille che mi suonava nell’orecchio e quello della batteria. E invece no: anche basso e batteria suonavano da dio. Eravamo arrivati a un livello di coesione, di affiatamento della madonna».
Ma se la versione originale aveva venduto un milione di copie, come mai la seconda non l’avete pubblicata subito? Perché aspettare quarant’anni?
«Mah, forse semplicemente non ci abbiamo pensato: sai a quei tempi il disco usciva per una piccola etichetta per cui non è che ci fossero grandi strategie. Di certo io non ci pensavo: avevo altri problemi (ride)».
Fu proprio in quel periodo, poco dopo l’uscita del disco, che finisti in prigione.
«Sì infatti stava benissimo il mio inciso “va bene bene va bene va bene va bene così, va bene va bene va bene telefonami” (Vasco canta)».
A proposito di sberleffo, secondo me, appunto in questa seconda parte ci sono un sacco di canzoni molto divertenti in apparenza ma che in realtà nascondono significati importanti, per esempio “Asilo Republic”: una canzone punk!
«Ma proprio punk punk (ride) perché io mi divertivo a fare una canzone per ogni genere, infatti c’è questa che è punk e poi, nell’album ripubblicato, c’è anche Voglio andare al mare che invece è reggae. Mi divertivo molto a fare una canzone per ogni genere: ma solo una eh…».
“Asilo Republic” è ancora molto moderna: sembra proprio che parli di oggi…
«Sì, perché se, come dice il testo, “i bambini dell’asilo stanno facendo casino, ci vorrebbe un dolcino”, è come se dicesse che ci vuole qualcosa per addormentare le masse, così se ne stanno buone. E poi: “Certo che lavorare in un asilo dove c’è sempre casino/ tranquilli qui non si può stare/ per niente/ ci vuole un agente/ ci vuole un agente/ allora vedrete che con la polizia/ la situazione ritornerà come prima/ più di prima/ t’amerò… yeah… t’amerò…. /più di prima ci sarà ordine e disciplina/ e chi non vuole restare qui/ vada in collina”. Ci vuole uno stato autoritario, no?».
“Ordine e disciplina” ricorda qualcosa.
«Certo. Ricorda che oggi, ancora più di prima, cioè di un tempo, ci vuole l’uomo di potere. O la donna di potere. Tutto quello che è autoritarismo insomma. Che adesso mi sembra sia arrivato proprio al governo del Paese. Molti, che lo hanno provato “prima”, a quanto pare oggi lo “amano”, appunto, ancora “più di prima”, come dice la canzone».
Tra gli inediti ripescati c’è “Silvia”. Che però a volte la suonavi e a volte no: perché?
«Perché a quei tempi con il pubblico era sempre una guerra: se mettevi dei pezzi più lenti, delle ballate, a volte la gente si calmava e altre invece si incazzava. Allora facevamo pezzi più rock per aggredirli e così eliminavamo i pezzi più dolci come Silvia».
Questo 2024 è stato ancora una volta un anno di record con sette concerti a San Siro lo scorso giugno per più di 400mila spettatori: il 28 dicembre verrà raccontato anche in uno speciale in prima serata su Canale 5 con Claudio Amendola. E il 2025?
«Sarà uno speciale di Giorgio Verdelli sui “Magnifici sette di San Siro”. Sarebbero potuti essere anche di più. Comunque sì, questo è un antipasto in attesa dei concerti del 2025: ci sono già le date. Ovviamente andremo in posti non coperti nello scorso tour così da dare a tutti la possibilità di vederli».
Quindi il 28 sarai davanti allo schermo?
«No, assolutamente».
Come mai?
«Verdelli e i suoi sono bravissimi e avranno fatto le cose bene, però io sto meglio a non vedermi».
Davvero?
«Preferisco immaginarmi (ride)».
Hai scritto anche un libro.
«Sì, Vivere/Living. Per farlo ho passato un pomeriggio insieme a poeti come Nanni Cagnone, Paul Vangelisti e Mariangela Gualtieri e mi sono sentito molto bene perché è gente veramente libera, come sono io. Non avrei mai immaginato che Paul Vangelisti, un grande poeta della beat generation con cui sono cresciuto, mi definisse a sua volta “poeta”. Non posso negare che mi ha fatto davvero un grande piacere. Quando facevo teatro sperimentale a 17-18 anni leggevo Ginsberg, Kerouac, Ferlinghetti quindi per me è stato come vincere un premio Nobel».
Come è nato?
«L’opera è stata voluta da Emilio Mazzoli, un gallerista e una persona coltissima con cui è stato un piacere parlare. Incredibilmente conosce le mie canzoni a memoria (ride). Del libro ne ha fatto solo cento copie e finite quelle basta, non è che si possono fare due banane attaccate a un muro e venderle (ride)».
Dentro ci sono opere di artisti come Marcello Jori, Rosanna Mezzanotte, Carlo Benvenuto e Gianluca Simoni.
«Sì loro reinterpretavano ognuno a suo modo, alcune cose che ho scritto e anche dei testi delle mie canzoni. Con Jori ci conoscevamo da tempo perché stavamo entrambi a Bologna e poi lui ha fatto le scenografie per il mio tour “Rock sotto l’assedio” del ’95. In quel tempo ci frequentavamo spesso».
A proposito di libri, che cosa stai leggendo?
«Sto leggendo un saggio molto interessante che si chiama Il padrone e il suo emissario: i due emisferi del cervello e la costruzione dell’Occidente di Iain McGilchrist che parla dei due lobi del cervello, quello destro e quello sinistro. Lui però è uno psichiatra e un neuroscienziato, cioè non è una fattucchiera (ride). Lo dico perché ci sono molti libri invece che scrivono delle idiozie totali, questo invece è una cosa seria. E poi mi piace sempre molto Thich Naht Hanh che è un monaco zen. Adesso sto leggendo Il miracolo della presenza mentale che, come dice il sottotitolo è un “manuale di meditazione” che, sostanzialmente, ti insegna che se vuoi cambiare vita devi cambiare il modo di vedere le cose, per esempio cercando di arrivare a sentire una pace profonda cercando di non pensare. Io non ero mai riuscito a restare in silenzio nella mente neanche per cinque minuti. Adesso ci riesco e credo che sia un atto d’amore nei confronti di me stesso. Troppi pensieri non servono, anzi ci fanno male: i pensieri bisogna usarli ma non farsi usare dai pensieri».
Mi sorprendi sempre con il tipo di letture che fai: da Spinoza a Thich Naht Hanh.
«Sono un lettore anarchico. Per esempio mi affascina questa teoria di cui parlavo prima di McGilchrist perché lui cerca di capire dove va il mondo attraverso il corpo umano per cui oggi ci si orienta più con gli schemi rigidi dell’emisfero sinistro che guarda ai piccoli dettagli mentre l’emisfero destro riesce a vedere il contesto che va oltre la rigidità della regola. Si va insomma verso un mondo “sinistro” ma, aggiungo io, sinistro in un altro senso: quello di inquietante (ride)».
All’inizio dicevi che torni sempre in Italia per le feste: che cosa fai di solito a Natale?
«A Natale chiaramente vado a mangiare a casa della mamma. Per forza! C’è il pranzo con tutti i parenti e ce ne stiamo tranquilli e poi dopo, la sera a cena sono con gli amici d’infanzia. Quindi è una giornata molto intensa per me (ride): comincio a mangiare la mattina e finisco alla notte».
Ma è la tua mamma che fa i tortellini?
«Fino a qualche anno fa sì, ma adesso è un po’ anziana, ha 94 anni e, come tutti a una certa età, ha un po’ di acciacchi. Però è sempre collegata sai? Con il telefono, perché non si può più muovere troppo. Infatti la sento più spesso adesso di un tempo: sì, è molto telefonica (ride); mi chiama spesso anche in orari strani. Ma comunque sta bene ed è ancora lucidissima. Poi, con lei, c’è anche l’Ivana che è più giovane: sono sempre insieme e questa è una cosa molto bella perché mia mamma non è mai sola».
E l’Ivana quanti anni ha? Come racconti nella storia sulla tua infanzia su “Robinson” lei è un personaggio molto importante, anche per te…
«Sì, quando mi sono trasferito a Zocca dal paese di fianco dove ero nato, sono andato ad abitare a casa sua con lei e i suoi genitori. Io avevo due anni e lei quattordici, per cui ero diventato un po’ il suo bambolotto. L’Ivana è stata una figura molto importante nella mia vita: c’è sempre stata e siccome era quella più giovane mi dava una mano perché capiva di più le mie insofferenze, le cose che facevo. Mi aiutava insomma».
Tornando a oggi: vi fate anche dei regali?
«Perbacco! Come no!? Tutto è cominciato da quando c’è la Laurina, perché una volta si festeggiava il Natale così, un po’ più alla buona. Lei invece vuole fare tutto per bene e allora adesso ci sono regali per tutti!».
Sei cambiato rispetto a un tempo?
«Beh, di certo non vado più in discoteca a sparare cazzate. Ultimamente ho recuperato anche molto questi aspetti qua della vita. Vivo sempre piuttosto intensamente ma il mio interesse è nell’oggi e vorrei essere più presente di come sono stato in passato, anche con mia madre. Sai, io un tempo non è che telefonassi a casa tutti i giorni, magari passavano settimane. Adesso invece la chiamo io anche due o tre volte a settimana: è bellissimo perché sento proprio che lei è sempre così felice quando la chiamo… Ed è difficile che ti capiti di sentire una persona così felice quando ti risponde al telefono (ride) e, sentendo che è contenta, provo anch’io un grande piacere».
Ma ascoltate anche delle canzoni natalizie?
«No, no, musica no (ride). Sono o non sono una rockstar? Semmai canto io!».
Davvero? Che fortuna per gli invitati: un concerto privato di Vasco Rossi…
«Beh, certo. Quando faccio qualcosa di nuovo gliela canto prima che esca, così vedo le loro reazioni. Mia mamma e l’Ivana sono sempre state le prime a sentire le mie canzoni».
Saranno molto orgogliose di te.
«Credo di sì. Mia mamma non solo è stata la mia prima ascoltatrice ma c’è stata sempre per me, anche nei momenti più difficili. Io adesso vorrei ridare un po’ dell’affetto che so di non essere riuscito a darle in passato. Voglio stare vicino a mia mamma, alla Laura, ai miei figli, a tutti i miei familiari perché so di essere stato troppo tempo fuori. Ho rivalutato l’importanza degli affetti familiari. Voglio recuperare un po’ di quel tempo che non sono riuscito a dare a tutti loro perché ero troppo occupato con la musica. Ma la musica resta sempre e comunque la mia vita. E sarà sempre così».
(da La Repubblica)
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