INTERVISTA AD ALAIN JUPPE’: “RIFORMO PENSIONI E LAVORO. PARIGI SARA’ FORTE COME BERLINO”
E’ IL CANDIDATO FAVORITO DEL CENTRODESTRA PER L’ELISEO: “IL MIO PAESE DEVE RITROVARE IL SUO PESO PER LA LEADERSHIP UE”
Se si votasse oggi, Alain Juppè avrebbe davanti un’autostrada per l’Eliseo.
L’ex premier, 71 anni, è il favorito all’elezione presidenziale di maggio e secondo i sondaggi dovrebbe vincere tra um nese le primarie per la candidatura del centrodestra. “Nulla è scontato” avverte Juppè togliendosi subito la giacca per rispondere alle domande nel suo quartier generale di boulevard Raspail.
Sindaco di Bordeaux, incarna una destra moderata, ha una lunga esperienza di governo, a capo di un esecutivo durante la presidenza di Jacques Chirac, più volte ministro.
Nel 2004 era stato costretto a fare una parentesi dalla politica dopo una condanna per alcuni incarichi fittizi al partito. Poi è tornato, e quasi fuori tempo massimo ora punta al vertice dello Stato con uno slogan diametralmente opposto alla visione del suo principale rivale, Nicolas Sarkozy.
Lei vuole promuovere in Francia un'”identità felice”. È un obiettivo più che una constatazione?
“Ovviamente non ho l’ingenuità di pensare che la Francia navighi nella felicità . Oggi è un Paese in grave difficoltà economica, la disoccupazione resta a livelli troppo alti. C’è una crisi politica, il potere non è più credibile, le ultime dichiarazioni di Franà§ois Hollande in un libro dal titolo eloquente (“Un Presidente non dovrebbe dire queste cose”, ndr.) hanno sminuito ancora di più la funzione presidenziale. L’immagine internazionale del nostro Paese è profondamente degradata”.
La Francia va male?
“È così, ma il ruolo di un responsabile politico non è trasmettere un messaggio di pessimismo, di declinismo. Voglio esprimere fiducia, ottimismo. Mi sono prefissato questo obiettivo creando un dibattito, e ora persino i vescovi francesi hanno espresso una visione simile alla mia”.
I programmi dei candidati alle primarie si assomigliano in molti punti. Cosa la differenzia davvero da Sarkozy?
“Credo che le differenze non sfuggano a nessuno. L’elezione si giocherà molto sulla personalità , peserà la fiducia nel candidato, si valuterà la sua stoffa da uomo di Stato”.
Si considera il candidato con più chance di battere Marine Le Pen?
“Sì, oggi sarei davanti a Le Pen al primo turno e potrei batterla con un largo vantaggio al secondo turno. Forse è un argomento che può far riflettere gli elettori che temono l’arrivo al potere del Front National”.
La accusano di non essere sufficientemente duro con l’islamismo radicale, tollerando ad esempio il velo.
“Il velo non è l’islamismo radicale! Guardate sui marciapiedi quante donne lo portano. Non si possono varare leggi che non potranno essere applicate. Sono contro tutto ciò che sminuisce la donna, come il burkini che considero umiliante. Ma sono temi che devono essere affrontati in modo globale, senza brandire ogni volta una nuova legge”.
Crede al rischio di una guerra civile in Francia?
“Sento parlare di scontro di civiltà . Bisogna fare attenzione, non cadiamo nell’isteria. Ci vuole sangue freddo. Tutti gli studi mostrano che la maggioranza dei musulmani francesi è pronta a rispettare le leggi della Rèpublique”.
Dopo il Brexit, qual è il suo messaggio ai britannici?
“Avete fatto una scelta, e noi la rispetteremo. Non è possibile essere fuori e dentro l’Europa. Non si tratta di punire la Gran Bretagna, solo di essere coerenti. La Francia manterrà una cooperazione bilaterale molto stretta con Londra, in particolare sul piano militare. Per il resto, bisogna procedere spediti”.
Sulla difesa comune europea è possibile avanzare?
“I britannici sono sempre stati ostili all’idea di un maggior coordinamento e di un quartier generale comune. Adesso le cose si stanno finalmente muovendo. I Paesi interessati a una cooperazione rafforzata sul piano militare li conosciamo: Francia, Germania, Italia, Spagna, Polonia, Svezia”.
L’Ue attraversa una grave crisi. Come pensa di superarla?
“Immaginare che ogni Paese possa fare da sè è disastroso. Rischiamo di diventare Stati vassalli della Russia, della Cina e di altri ancora. Dobbiamo ritrovare la consapevolezza del nostro destino comune”.
Da Berlino a Budapest non è più la stessa Europa?
“Se qualche Paese non vuole condividere gli stessi valori, è libero di farlo. Non possiamo costringerlo. L’Europa a più velocità è già una realtà , ad esempio con lo spazio Schengen e l’eurozona”.
Cosa pensa del triumvirato tra Angela Merkel, Hollande e Matteo Renzi?
“La voce della Francia oggi non pesa più, su molti negoziati siamo stati lasciati ai margini. Dobbiamo ritrovare la nostra forza e credibilità , facendo riforme serie come quella delle pensioni e del mercato del lavoro. Solo quando saremo tornati alla pari con la Germania potremmo allargare la leadership europea ad altri”.
Sull’immigrazione Renzi accusa l’Ue di non aiutare abbastanza l’Italia. Se fosse all’Eliseo, quale solidarietà sarebbe pronto a dare?
“Sono favorevole a una maggiore solidarietà con l’Italia ma solo se verranno rafforzati i controlli alle frontiere e se ci saranno accordi per poter rimandare i migranti illegali nei Paesi africani. Da mesi cerchiamo di ottenere una risoluzione dell’Onu per intervenire direttamente sulle coste libiche. Occorre insistere”.
Il piano per la redistribuzione dei rifugiati nell’Ue è un fallimento. Che cosa ne pensa?
“Se non riusciremo a controllare davvero le frontiere europee non potremo mai convincere gli altri Paesi ad aprire i propri confini”.
Come risolvere il problema di Calais?
“È una situazione che non è più tollerabile. La prima cosa da fare è rompere gli accordi del Touquet (che mettono i controlli doganali britannici sulla costa francese, ndr.). La selezione delle persone che la Gran Bretagna vuole o non vuole non dev’essere fatta sul nostro territorio”.
Lei era ministro degli Esteri quando la Francia guidò l’intervento in Libia. Fu un errore?
“È facile dirlo oggi. Se non fossimo intervenuti in Libia avremmo avuto a Tripoli un altro Bashar al Assad con magari 400mila vittime. Gheddafi era pronto a massacrare civili a Bengasi. L’errore semmai è non aver accompagnato la transizione, con una vera missione dell’Onu”.
(da “La Repubblica”)
Leave a Reply