INTERVISTA AD ARMANDO SPATARO: “TROPPA RETORICA DA PARTE DI CERTI PM, INGROIA DOVEVA FINIRE PRIMA IL PROCESSO SULLA TRATTATIVA”
IL MAGISTRATO MILANESE, FAMOSO PER INCHIESTE SU TERRORISMO E MAFIA: “IL COMPORTAMENTO DI GRASSO? INAPPUNTABILE”
Ingroia? «Prima doveva finire il processo». Grasso? «Inappuntabile». Toghe in politica? «Sì, ma disciplinare il dopo». «E regole pure per gli avvocati».
Parla così Armando Spataro, pm famoso per le sue inchieste su terrorismo e mafia a Milano.
Si è mai sentito un «salvatore del mondo»?
«Sarebbe ridicolo sentirsi salvatori anche solo del proprio condominio. Qualsiasi indagine, indipendentemente dal suo rilievo, va portata avanti con determinazione, ma sempre avendo coscienza dei limiti e degli scopi del nostro lavoro».
Vede suoi colleghi che si sentono investiti di una missione?
«Diciamo che vedo eccessi di retorica spesso determinati da un’errata visione del ruolo del magistrato. Non siamo i moralizzatori del sistema. Il compito dei pm è cercare con ostinazione le prove delle responsabilità degli indagati per specifici reati. Se le troviamo, sarà un giudice a valutarne la sufficienza ai fini di una condanna. Diversamente, il nostro compito è finito».
Ormai spunta un’inchiesta al giorno sul nesso perverso politica-corruzione. Alla fin fine il ruolo di salvifica supplenza della magistratura non ci starebbe?
«È una vecchia questione, a mio avviso mal posta. Non è l’inerzia di certa politica la ragione del nostro agire: lo è solo l’obbligatorietà dell’azione penale. È la Costituzione a prevedere, a garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, che ogni notizia di reato obbliga il pm a indagare ».
Berlusconi non è premier e le toghe si dilaniano sull’ingresso in politica. Uno di voi può candidarsi?
«È un diritto incoercibile, come per qualunque cittadino. Non c’è alcun limite nella Costituzione. È vero piuttosto che in certe situazioni si può parlare di inopportunità , ma ciò vale anche per altre funzioni pubbliche come quelle di prefetto o questore».
Serve una legge per mettere paletti rigidi?
«Al di là delle norme già esistenti, penso che andrebbe disciplinata per legge la fase successiva alla fine dell’impegno politico. Il tema è delicato, ma si può forse convenire sulla necessità di una legge che consenta al magistrato, reduce “dall’essersi schierato” politicamente, di essere destinato a funzioni pubbliche differenti ma dello stesso rilievo di quelle prima esercitate».
Il Pg Ciani è stato durissimo sul rapporto pm mediaticamente sovraesposto e successiva candidatura. C’è l’aveva con Ingroia. Come giudica il suo ingresso in politica?
«Sarebbe inaccettabile che un magistrato prepari il suo futuro politico attraverso una preordinata esposizione mediatica mentre ancora esercita il suo lavoro. Non intendo giudicare le scelte di Ingroia, se non per dire, come cittadino, che avrei preferito vederlo prima portare a termine il delicato processo in cui era impegnato».
Meglio Grasso che ha dato l’addio alla toga?
«Lui ha deciso di mettere la sua esperienza a disposizione della politica e ha coerentemente lasciato la magistratura. Non vedo proprio che rimprovero possa essergli mosso».
Non è che tra di voi alligna una malcelata gelosia per la visibilità mediatica di Ingroia?
«Gelosie e invidie allignano in qualsiasi corpo sociale. Spero proprio, specie in questo caso, che non ne sia afflitta la magistratura, anche se, nel bene e nel male, noi non siamo altro che lo specchio del Paese».
Non servirebbero regole più stringenti pure per gli avvocati? Che vietino di fare leggi sulle cause che uno sta trattando, tipo Ghedini o Longo su Berlusconi?
«In effetti, il problema si pone anche per alcune professioni private. Per quanto riguarda gli avvocati non mi pare accettabile lo spettacolo della “navetta” di alcuni professionisti tra aule di giustizia e Parlamento fino alla approvazione di leggi o risoluzioni a sostegno delle proprie tesi difensive. Avvenne già nel 2001 con la legge sulle rogatorie. Giusto pensare anche alla sospensione dell’esercizio di certe professioni private finchè dura il mandato parlamentare ».
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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