INTERVISTA AL GENERALE CAMPORINI: “IN AFGHANISTAN ORA NON CI RESTA CHE TRATTARE CON I TALEBANI”
“IL MANCATO CONTROLLO AL CONFINE CON IL PAKISTAN E POCHI UOMINI: QUESTI I PIU’ GRAVI ERRORI MILITARI”
Non aver “sigillato in modo determinante il confine tra l’Afghanistan e il Pakistan”. E aver “centellinato le risorse, mettendo troppi pochi uomini su terra”.
Il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare e della Difesa spiega ad Huffpost quali sono stati, a suo parere, i più gravi errori militari compiuti dalle truppe occidentali in Afghanistan.
Errori che hanno contributo all’escalation di conquiste territoriali da parte dei talebani nel Paese. L’ultima notizia è che il gruppo di fondamentalisti islamici ha raggiunto Logar, capoluogo della provincia meridionale di Pul-e-Alam.
Gli insorti proseguono la loro marcia inarrestabile verso Kabul e sono a 50 chilometri dalla capitale. Dopo aver riconquistato vari capoluoghi del paese gli insorti provvedono da subito a riorganizzare le istituzioni, come è successo nella città di Kandahar, conquistata solo ieri. “Non ci metteranno molto ad arrivare anche a Kabul – afferma Camporini – e allora lì occorrerà prevedere giuste precauzioni per le missioni di sicurezza che sono presenti nella capitale. Tuttavia ora non resta che trattare con i talebani”.
Generale, a proposito della situazione in Afghanistan si è parlato tanto di errori politici, ma meno di militari. Quali sono stati?
Di errori ce ne sono stati tanti. Il primo errore è stato quello di non sigillare in modo determinato il confine tra l’Afghanistan e il Pakistan. Era lì che loro erano più presenti è lì infatti ci sono state le battaglie più intense. Aver trascurato questo confine ha permesso a loro di alimentarsi, di sopravvivere in attesa di tempi migliori. E i tempi migliori sono arrivati quando i Paesi occidentali si sono stancati di spendere quattrini e vite umane e hanno scelto di andarsene dal Paese. Il secondo grande errore è stato quello, invece, di centellinare le risorse e quindi avere pochi uomini su terra. L’Afghanistan ha un territorio molto vasto, le vie di comunicazione sono scarse e scadenti. Per andare da un punto A a un punto B spesso bisogna passare per un punto C, che si trova però a 90° rispetto ai primi due. Questo, dal punto di vista militare, crea oggettive difficoltà di comunicazione soprattutto per quanto riguarda lo spostamento delle truppe. Un territorio del genere, per essere controllato, ha bisogno di soldati su terra. Durante questo ventennio il massimo della presenza militare sul territorio è stato invece sulle 140, 145 mila unità. Se si fa il rapporto tra la superficie del Paese e il numero di uomini, ci si rende subito conto della situazione precaria (la superficie dell’Afghanistan è di 652.860 km2 , dunque la densità di uomini era di circa uno ogni 4,5 km2 ). Faccio sempre un paragone, con il Libano, dove c’è la missione della Nazioni Unite Unifil, un’area cuscinetto tra la Blue Line e il fiume Litani. Se noi avessimo ora in quella zona, dove attualmente stazionano 15 mila uomini, la stessa densità di uomini che c’era in Afghanistan, avremmo non 15 mila, ma 15 uomini.
Come mai si sono impiegate così poche risorse allora?
Purtroppo oggi come oggi le forze armate occidentali hanno serie difficoltà a mettere insieme i numeri necessari. Durante la prima guerra del Golfo, quando c’è stata l’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein, c’erano schierati 600 mila uomini. Questo significa che quando si vogliono fare le cose sul serio si impiegano anche risorse adeguate. In Afghanistan la situazione è andata meglio quando il generale David Petraeus, tra il 2009 e il 2012, è riuscito ad ottenere da Obama un surge, ovvero un incremento delle truppe. Ma fu una cosa temporanea.
Gli errori delle truppe italiane sono gli stessi?
L’Italia ha dato il suo contributo in modo più che soddisfacente e anche con buoni risultati. La zona di Herat, l’area di responsabilità italiana, un’ampia regione dell’Afghanistan occidentale, è stata la zona più pacificata, quella in cui c’erano meno episodi di violenza. Penso che noi abbiamo fatto il nostro dovere. In generale però ci sono stati tanti errori, anche veniali, ma con il senno di poi importanti. Spesso il comportamento delle truppe occidentali non è stato sufficientemente rispettoso delle usanze locali. Per ignoranza, per mancanza di formazione e preparazione delle truppe. I nostri soldati, prima di partire per l’Afghanistan, sono stati sottoposti ad un indottrinamento molto ampio su ciò che si poteva fare o non fare e su ciò che si poteva guardare o meno. Anche uno sguardo a una donna islamica, in Afghanistan, poteva essere considerato offensivo da parte del marito del clan. Se la cultura locale non è abbastanza conosciuta da parte dei militari, si possono verificare problemi che in effetti ci sono stati. L’insegnamento per il futuro è quello di inviare i nostri soldati a combattere solo dopo averli indottrinati adeguatamente sulla cultura del posto.
E invece, per quanto riguarda le truppe afghane, come mai non sono riuscite a resistere all’assalto dei Talebani? Non sono state addestrate in modo adeguato?
No, non è cosi. Le truppe afghane sono ben addestrate, solo che anche qui si devono tenere in considerazione le abitudini locali. All’epoca del raccolto aumentavano le diserzioni, perché la gente tornava a casa per coltivare i campi. Lo sforzo di addestramento è stato notevole e i risultati sicuramente non pari allo sforzo, ma dal punto di vista tecnico sono state ben addestrate. E gli esiti all’inizio si sono visti. Finché c’è stata la presenza occidentale nel Paese le sorti della guerra erano a nostro favore. Fino a un anno e mezzo fa le truppe occidentali partecipavano ai combattimenti. Da un po’ di tempo a questa parte invece le truppe occidentali facevano solo addestramento e lasciavano che le attività operative venissero compiute dagli afghani. Ad esempio il contingente a Herat nell’ultimo periodo faceva solo addestramento, ma il controllo del territorio era affidato solo a delle truppe afghane, che erano moralmente sostenute dal fatto che gli occidentali fossero presenti nella capitale. Dal momento in cui, invece, le truppe dell’Occidente se ne sono andate, i combattenti afghani si sono sentiti abbandonati e la maggior parte di loro è tornata a casa.
Le ultime notizie dicono che gli insorti hanno raggiunto anche Logar, capoluogo della provincia meridionale di Pul-e-Alam a 50 km dalla capitale. Quanto manca, secondo lei, alla caduta di Kabul?
Dipende esclusivamente dalla volontà di avanzare, ma non credo ci vorrà molto molto. Anzi, direi pochissimo. Occorrerà avere molta cura nel prevedere precauzioni per le missioni di sicurezza che sono presenti nella capitale, perché si tratta di fondamentalisti e bisogna stare molto attenti.
Lei si aspettava una caduta così veloce dei capoluoghi afghani in mano ai talebani?
No, pensavo che ci sarebbe stata una reazione più efficace da parte dell’esercito afghano e anche delle popolazioni, perché è gente che ha goduto di una liberalizzazione delle attività che prima non conosceva. Ha potuto toccare con mano il vantaggio del regime in vigore. Di fronte ai talebani, che vogliono sciogliere il governo, dovevano resistere. Chi non poteva resistere si è invece schierato dalla parte dei vincitori.
Siamo davanti ad un’avanzata dei talebani che sembra inarrestabile. Come muoversi ora?
Quando si ha a che fare con qualcuno che detiene il potere si cerca di parlare con lui cercando soluzioni. Sono convinto che Il passo successivo sarà trovare canali di comunicazione e di incontrare i vertici di questa ‘organizzazione’. Io la chiamo così, perché stiamo parlando di una costellazione di formazioni diverse che hanno un unico scopo comune che è quello di cacciare il governo. Per il resto sono popoli pronti a scannarsi uno contro l’altro. Sono l’espressione delle diverse etnie locali che si sono combattute nei secoli, con alcuni tra di loro che venivano schiacciati dagli altri. Ad esempio la popolazione autoctona è stata tenuta in condizioni di quasi schiavitù dalle altre etnie. Io immagino anche che, dal momento in cui il potere a Kabul sarà conquistato, inizierà quella che è sempre stata la storia dell’Afghanistan: una lotta senza quartiere tra i vincitori, che è una prospettiva molto triste per il popolo afghano. Con questi fanatici bisogna necessariamente parlare. Anche perché l’importanza strategica di quel paese è troppo grande per essere abbandonato. E in più abbiamo il dovere di trovare soluzioni per salvare le vite di coloro che sono stati coinvolti nelle missioni occidentali di questi 20 anni e saranno sicuramente presi di mira dai vincitori.
(da Huffingtonpost)
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