“IO SO’ GIORGIA” VORREBBE LIQUIDARE SALVINI, MA LA SUA “FIAMMA TRAGICA” (FAZZOLARI, SCURTI E ARIANNA) NICCHIA. PER FAR FUORI SALVINI PUNTA SUL LOGORAMENTO INTERNO
ANCHE IN EUROPA LA MELONA HA UN PROBLEMA DI ALLEANZE: ORBAN E ZEMMOUR SONO LA ZAVORRA PIÙ INGOMBRANTE PER I SUOI SOGNI DI GLORIA IN UE. CHE FARE? RESTARE CON LORO È UN SUICIDIO MA SFANCULARLI VUOL DIRE PERDERE LA FACCIA
Si è aperto un dibattito nella “Fiamma tragica” di Palazzo Chigi dopo il voto in Abruzzo. La spallata a quel cagacazzi di Matteo Salvini je la damo o nun je la damo?
La debolezza della Lega, certificata dalle ultime tornate regionali, è uno zolfanello acceso sotto le chiappe del Capitano degradato a piantone a guardia del bidone.
La tentazione della Thatcher immaginaria, visto il suo carattere rude e fumantino, è quella di chiudere la partita una volta per tutte, infliggendo a Salvini l’ultima umiliazione: sulle prossime nomine (Rai, Ferrovie, Cdp): avanti tutta vuole procedere in solitaria impedendo al rompicojoni di mettere mano e bocca.
Di diverso parere è il resto del suo “inner circle”, ovvero il sottosegretario, Giovanbattista Fazzolari, la segretaria-tuttofare Patrizia Scurti e la sorella d’Italia, Arianna Meloni.
Los tres caballeros spingono per raggiungere il medesimo risultato attraverso una strada meno cruenta, consapevoli che un animale ferito è anche più pericoloso. La triade consiglia di isolare gradualmente Salvini attirando e favorendo, una volta entrati nell’orbita dei Fratellini d’Italia, i suoi fedelissimi.
Una volta sedotti i vari Fedriga, Molinari e Romeo, saranno loro a fare il “lavoro sporco”, liberandosi del Salvini impazzito.
Non è un mistero, infatti, che i vertici di Fratelli d’Italia sognino una Lega moderata, localista, circoscritta al loro giardinetto del Nord, quindi meno intrusiva nelle grandi questioni di potere nazionale.
Un’operazione davanti al quale Salvini non resta con le mani in mano. Il segretario ha voglia di battagliare fino alla fine per salvare la sua leadership e portare a casa qualche bandierina da utilizzare per la campagna elettorale delle elezioni europee.
Il “Capitone” vuole giocare, dall’alto della sua debolezza, la partita sulle nomine in Ferrovie, il cui cda scade ad aprile, che lui considera una propaggine del ministero delle Infrastrutture, da lui guidato.
L’obiettivo è arrivare a discutere dei nomi e a dare gli incarichi prima del 9 giugno, quando cioè si potrebbe materializzare l’ennesima scoppola, quella definitiva, per la Lega.
Giorgia Meloni fa muro, convinta che sia più opportuno rinviare le nomine a dopo il voto: davanti all’ennesima debacle elettorale del Carroccio, pensa la Ducetta, anche i più testardi salviniani dovranno rendersi conto che un cambio di leadership è necessario.
Salvini s’aggrappa a quel semolino di Giorgetti, visto che formalmente le nomine spettano al Mef. Il ministro dell’Economia, al suo solito, traccheggia, e prova a prendere tempo, sia con Salvini, sia con la Meloni, magari con un compromesso: procedere con le nomine a metà maggio, quando nei sondaggi sarà chiarissimo cosa accadrà alle elezioni Europee.
I problemi che disturbano gli otoliti fragili della “Evita Peron della Garbatella” non arrivano solo dal suo spaccapalle di governo: a Bruxelles si trova quei due legni storti di Orban e Zemmour che rischiano, con le loro prese di posizione, di complicare non poco i suoi piani in vista della prossima Commissione europea.
Il premier ungherese, filo-putiniano e futuro acquisto dopo le Europee, su invito del presidente di Ecr Meloni, è andato a baciare la pantofola di Trump a Mar-a-lago, a dire “Portaci la pace, salvaci tu”, facendo incazzare nonno Biden.
Alla Casa Bianca hanno masticato amaro, non pensavano che un amico della super atlantista Giorgia, a cui Biden ha pure concesso bacini sulla cofana bionda in segno di apprezzamento, arrivasse a tanto.
Dall’altro lato, il giornalista francese Zemmour e la sua bombastica ancella, Marion Marechal Le Pen, imbarazzano la Ducetta con le loro posizioni estremiste contro neri, migranti e “l’islamizzazione” del Continente.
L’ultimo caso sono le critiche alla cantante, Aya Nakamura, originaria del Mali ma naturalizzata francese, arrivate dalla nipote di Marine Le Pen: “Si vuole rappresentare la Francia multiculturale, la Francia che non canta in francese. Perché si può amarla o meno, ma questa cantante non canta in francese”.
Gli alleati della coatta premier rappresentano, probabilmente, la più ingombrante zavorra nella euro-partita di potere che la Meloni sta giocando: se vuole davvero contare a Bruxelles, aver potere in Commissione, può accollarsi due puzzoni oltranzisti come Orban e Zemmour, a cui si aggiungono, tanto per gradire, anche i neo-franchisti di Vox dell’amato Santiago Abascal?
Macron e Scholz, viste le sue alleanze, accetteranno la “Camaleonte” del Colle Oppio nella futura maggioranza, probabilmente guidata da Ursula von der Leyen? Che fare? Uscire dal gruppo dei Conservatori? Restare in quel manipolo di mal-destri è un suicidio ma sfancularli vuol dire perdere la faccia…
(da Dagoreport)
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