“ITALIA CI DIA LE ARMI, IL CORAGGIO CE LO METTIAMO NOI”: INTERVISTA AL COMANDANTE PESHMERGA
KARIM SINJARI E’ IL CAPO DELL’ESERCITO CURDO, L’UNICO CHE COMBATTE SUL CAMPO E NON A CHIACCHIERE I TAGLIAGOLE DELL’ISIS
“Se potessi rivolgermi direttamente al presidente Matteo Renzi, gli direi come ad un amico che i peshmerga curdi non stanno combattendo solo per la loro libertà , ma per la libertà di tutto il mondo dalla minaccia dello Stato Islamico. Gli direi che in questo momento stiamo difendendo dieci milioni di persone e un quarto del territorio dell’Iraq. E gli direi che noi siamo disposti a continuare fino alla fine, ma per vincere questa battaglia abbiamo bisogno di ben altro che un po’ di fucili. Ci servono carri armati, blindati, artiglieria pesante, equipaggiamenti contro gli attacchi chimici armi controcarro. Ci serve tutto quello che può consentirci di affrontare l’Isis alla pari. Il resto, il coraggio sul campo, ce lo mettiamo noi”.
Karim Sinjari è un curdo silenzioso e tosto come la roccia delle sue montagne, che ha conosciuto l’esilio ai tempi di Saddam Hussein e adesso è ministro dell’Interno e dei Peshmerga di un Kurdistan che ogni ora che passa affronta a faccia a faccia la minaccia dell’Isis.
È venuto a Roma insieme a un pugno di generali per incontrare il ministro della Difesa Roberta Pinotti e se ne torna a casa con la speranza che l’Italia, già impegnata a fianco dei peshmerga con alcune centinaia di consiglieri militari e forniture di armi leggere, faccia di più.
Per lui, con il cognome che porta, l’ultima battaglia vittoriosa a Sinjar è stata anche una battaglia personale vinta: “E’ così. La riconquista di Sinjar era molto importante. Non solo per me e per i curdi, ma per tutto il mondo libero. Riprendendo quella città e il controllo dell’autostrada 47 che collega l’Iraq alla Siria, abbiamo tagliato la via dei rifornimenti e commercio di viveri, petrolio e armamenti di Daesh”.
C’è stata una coincidenza temporale tra la riconquista di Sinjar e gli attentati di Parigi. Come interpreta l’attacco dell’Isis al cuore dell’Europa?
“L’Isis ha proclamato uno Stato che non ha confini. Anche la guerra che fanno per loro non ha limiti. Se vengono battuti su una piazza, si spostano su un’altra. Dopo aver perso Sinjar, avevano bisogno di dimostrare di esistere e si sono mossi su Parigi”.
Lei è il ministro dei peshmerga, conosce perfettamente la situazione sul campo: quanto è stabile la linea di demarcazione tra Kurdistan e Califfato?
“Stiamo parlando di un fronte di mille e cinquanta chilometri. E non c’è notte che non tentino un’azione contro i peshmerga. Se non sono bombe, sono attacchi suicidi con kamikaze o auto imbottite di tritolo”.
Perchè gli alleati non pianificano un’operazione per la riconquista di Mosul?
“In realtà siamo pronti. Ma è necessario che anche il governo iracheno sia pronto. In questo momento si stanno occupando di Ramadi. Una volta finito il lavoro lì, toccherà a Mosul”.
Il governo iracheno ha un pesante arretrato con voi. Di che cifra parliamo?
“Quindici miliardi di dollari, forse di più. E’ un anno e mezzo che non versano al Kurdistan il 17 per cento del budget nazionale che ci spetta”.
La struttura portante dell’Isis è composta da ex ufficiali del regime di Saddam Hussein. Gente che conosce la mappa dei depositi di armi ancora nascoste. Ci sono anche armi chimiche?
“Se è per questo le hanno già utilizzate almeno quattro volte contro di noi: cianuro a gennaio e iprite l’11 agosto a sud di Erbil. Ci sono stati 37 peshmerga colpiti e le analisi condotte in laboratori della coalizione alleata hanno confermato la presenza di questi gas nelle cariche di mortaio esplose. Sono gli stessi composti che Saddam utilizzò per la strage che fece 5000 vittime nel villaggio curdo di Halabja il 16 marzo 1988. Lei lo sa bene, perchè era lì”.
L’Italia vi dà sostegno per curare i peshmerga feriti in questi attacchi?
“Abbiamo fatto richiesta ma non solo per le vittime degli attacchi chimici, ci è stato promesso che ci aiuteranno”.
La Russia ha accusato la Turchia di traffico di petrolio e armi con lo Stato Islamico, ma più in generale emergono ambiguità nel comportamento di alcuni paesi della coalizione. Quale è la sua opinione?
“Io rispondo con i fatti. E i fatti sono che il comitato della coalizione che si riunisce ogni settimana condivide ogni mossa e strategia. Per la riconquista di Sinjar abbiamo combattuto in perfetta sintonia con tutte le forze alleate, secondo dopo secondo”.
In questo conflitto i peshmerga sono caricati di una enorme responsabilità , ma a questa responsabilità corrisponde tutto l’aiuto di cui avete bisogno?
“Gli alleati ci aiutano, ma è vero che questo non è ancora sufficiente. Le armi che l’Isis ha a disposizione sono molto più sofisticate. Abbiamo bisogno di maggiori risorse”.
C’è un’ipotesi negoziale per fermare il conflitto in Siria che prevederebbe l’uscita di scena di Assad, il governo curdo la ritiene praticabile?
“Noi siamo per una soluzione politica e per un governo transitorio che traghetti quel paese verso le elezioni. Poi si vedrà ”.
In caso di un accordo su questa ipotesi, che fine farebbero jihadisti e foreign fighters?
“Se arriverà quel momento, la decisione dovrà essere a livello globale. Perchè i foreign fighters sono arrivati da tutto il mondo. E non sarà una decisione facile. Ecco perchè bisogna discutere fin da adesso il dopo-Isis”.
L’Iran vi sta aiutando?
“Con loro abbiamo buonissimi rapporti, sono i nostri vicini di casa. Quando Daesh è entrato in Kurdistan, sono loro che ci hanno aiutati”.
Cosa chiede all’Europa, all’Italia?
“Noi affrontiamo un nemico feroce e comune ma da soli non ce la facciamo più. Servono nuove risorse economiche e militari. Nel nostro territorio manteniamo un milione e settecentomila rifugiati e la nostra popolazione è aumentata del 28 per cento. E’ gente che ha bisogno dei più elementari mezzi di sopravvivenza. Gente di ogni etnia e religione: musulmani, cristiani, sunniti, sciiti, yazidi che in Kurdistan hanno ritrovato le radici di una convivenza pacifica. Non possiamo abbandonarli proprio adesso, nè lasciare che cerchino altre vie di fuga, magari verso l’Europa. Sarebbe la nostra peggiore sconfitta. E la vittoria dell’Isis. Non dobbiamo permetterlo”.
(da “Huffingtonpost”)
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