ITALIA IMMOBILE: IL FIGLIO DELL’OPERAIO FA ANCORA L’OPERAIO
MOBILITA’ SOCIALE, LIVELLO BASSO IN ITALIA
Che cosa significa mobilità sociale? Il termine non è molto diffuso nel linguaggio comune ma indica un fenomeno importante per tutti gli individui.
Come evidenzia il Rapporto Istat 2012, la mobilità sociale è il processo che, in una data società , consente agli individui di muoversi tra posizioni sociali diverse.
I destini individuali possono risentire degli squilibri delle posizioni di partenza. Ognuno di noi nasce infatti in una certa famiglia e in un determinato contesto, ha quindi una sua «origine sociale».
Diventando adulto, costruisce una famiglia e svolge un’occupazione, acquisisce cioè una «posizione sociale» autonoma.
Talvolta, questa risulta più elevata rispetto a quella dei propri genitori, ma è anche possibile che sia inferiore: o perchè il reddito percepito è minore, o perchè svolge un lavoro più basso nella scala sociale. I figli possono quindi ereditare i vantaggi, ma anche gli svantaggi associati alle posizioni dei loro padri
Molti sono gli indicatori che vengono utilizzati per misurare la posizione sociale di un soggetto: il reddito, il livello di istruzione, la ricchezza posseduta e la classe occupazionale.
Quest’ultima, definita come l’occupazione più alta nella scala sociale raggiunta sia dai padri che dai figli, viene considerata un buon indicatore: permette infatti di considerare sia il prestigio che la società attribuisce a ciascuna occupazione, sia i possibili cambiamenti della struttura occupazionale.
Quanto è mobile l’Italia da un punto di vista occupazionale?
Per poter rispondere a questa domanda abbiamo utilizzato i dati forniti dalla Banca d’Italia. La Banca permette l’accesso ai dati sulle indagini sui bilanci delle famiglie italiane, indagini da cui si possono reperire informazioni riguardanti le occupazioni svolte dai padri e dai figli definiti «capifamiglia», che quindi vivono fuori dalla casa paterna.
Le classi occupazionali considerate sono sette: disoccupato, operaio, piccolo imprenditore, lavoratore autonomo, impiegato o insegnante, libero professionista e manager.
Le occupazioni sono state classificate sulla base del reddito medio legato a ciascuna di essa, e del prestigio che la società vi assegna.
Per misurare la mobilità si è calcolata la probabilità che ciascun figlio ha di raggiungere una classe occupazionale uguale o diversa da quella del proprio padre, data l’occupazione svolta dal padre stesso
Il quadro che emerge è tutt’altro che promettente: si osserva infatti un peggioramento delle opportunità di riuscita occupazionale dei giovani e, per determinate classi occupazionali, un aumento della persistenza da una generazione all’altra, ad esempio per la classe operaia e impiegatizia.
In particolare i nati nei periodi 1967-1976 e 1977-1986 hanno un’elevata probabilità di trovarsi in una classe occupazionale più bassa rispetto a quella dei propri padri. Consideriamo due individui, il primo nato nel periodo 1947-1956, e il secondo nato nel periodo 1967-1976, il cui padre svolge un’occupazione da libero professionista.
Il primo ha una probabilità di svolgere un’occupazione più bassa nella scala sociale, ad esempio essere insegnante o impiegato, pari al 15 per cento, mentre la stessa probabilità per il secondo soggetto sale al 41 per cento.
Si osservi a questo proposito la visualizzazione: il flusso di colore giallo, che rappresenta la probabilità di essere impiegato o insegnante, nella sesta colonna, che a sua volta indica la professione del libero professionista per il padre, va ampliandosi per la generazione più giovane.
Tale andamento suggerisce quindi un peggioramento nelle opportunità di occupare una posizione migliore nella scala occupazionale rispetto ai propri padri implicando quindi una più alta probabilità di muoversi verso il basso.
Per le coorti più anziane vale invece l’opposto: la probabilità di accedere a un’occupazione più elevata rispetto a quella dei padri resta alta.
Osserviamo la terza colonna, dove il padre è un piccolo imprenditore: il flusso di colore azzurro denota la probabilità per i figli di diventare liberi professionisti, salendo così nella scala occupazionale.
Per la generazione nata tra il 1947 e il 1956 tale probabilità è pari al 14 per cento.
Rimane stabile per la generazione nata tra il 1957 e 1966, ma inizia a diminuire drasticamente per le generazioni più giovani fino a raggiungere un livello vicino allo zero.
Emergono altri due fenomeni: la crescente probabilità di accedere alla classe operaia e a quella impiegatizia, e la maggiore difficoltà delle generazioni più giovani a ricalcare le orme dei padri.
Nel primo caso si osserva che la probabilità che un figlio ha di diventare operaio avendo un padre manager aumenta dal 4 per cento per i nati nel periodo 1947-1956 al 10,5 per cento per i nati nel periodo 1967-1976.
Queste stesse probabilità variano dal 36 al 47 per cento se il figlio rientra nella classe impiegatizia.
Nel secondo caso invece appare sempre meno probabile che il figlio di un libero professionista svolga la stessa professione del padre.
L’Italia mostra quindi da un lato un basso livello di mobilità causato dall’aumento della persistenza in certe classi occupazionali, e allo stesso tempo, un aumento della mobilità discendente.
Tra le cause, il peggioramento delle opportunità tra i più giovani che può essere imputato sia a una minore equità nei processi di allocazione delle persone nelle varie posizioni, sia ai cambiamenti strutturali che il nostro sistema occupazionale ha subito negli ultimi decenni.
Alle coorti più giovani non è permesso accedere a certe occupazioni non tanto perchè non ne hanno le opportunità , ma piuttosto perchè c’è meno richiesta dal lato della domanda di lavoro.
L’incremento della mobilità discendente può dare origine a diversi effetti, che sembrano essere favoriti, paradossalmente, dalla crescita dei livelli di istruzione dei giovani: venendo collocati in posizioni professionali meno qualificate di quelle in cui erano i loro padri, a parità di istruzione, assistono a una dispersione del loro capitale umano.
Irene Brunetti
(da “il Corriere della Sera”)
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