LA CALIPPA LI SEPPELLIRA’
FRANCESCA PASCALE, TEMUTA E ODIATA DALL’ENTOURAGE DI BERLUSCONI, DIVENTA ANTAGONISTA DELLA LEGA
Sarà Francesca Pascale che li seppellirà !
Magari, alla fine, potrebbe giungere proprio da fanciulle come lei una risposta che appaia come argine, perfino pratico e addirittura morale, all’invadenza e al discorso razzista della Lega.
Un “No” netto a Salvini, al suo carico di semplificazione subculturale.
Al netto della schiuma del gossip, che di volta in volta porta le persone più culturalmente inermi a soffermarsi sugli slittamenti progressivi dell’umore di Berlusconi rispetto proprio a Francesca, occorre dire che nella situazione data, ossia nell’esatto attuale momento storico-politico, Pascale potrebbe rappresentare un macigno pronto a opporsi alla dilagante prepotenza guascona e verbale salviniana, alla sua incontinenza etica che, forte di un consenso da selfie continuo, sembra accartocciare ogni ritegno perfino istituzionale, e questo ben oltre l’ostentazione della Nutella o della giubba da poliziotto da volante ostentata nei post sui social.
Lascia perdere adesso quanto il precipitato politico-parlamentare ultimo delle azioni di Francesca P. voglia o meno coincidere con una (comunque discutibile) campagna acquisti che porti una dozzina di senatori del Movimento 5 stelle, ormai insofferenti rispetto al decreto sicurezza, al controllo della Casaleggio Associati e perfino al rifiuto del vincolo di mandato, sulla comunque incerta zattera della Medusa di Forza Italia, e ignora pure, già che ci sei, tornando al gossip, la notizia, vera o fasulla, che i figli del celebre fidanzato non l’abbiano voluta, almeno così si vocifera, al pranzo natalizio di Arcore, ciò che in questo caso occorre tenere d’occhio è semmai l’evidente determinazione di Pascale ad affermare il proprio rifiuto di una subcultura che si nutre di intolleranza e delle pulsioni razziste dove riemerge anche il livore antimeridionale, e questo nonostante la Lega si ponga ormai come un contenitore ad ampio spettro geografico.
Posto che in nessuna rivoluzione o anche semplice sommovimento epocale più o meno significativo risulti possibile sorteggiare i propri capitani (o capitane) del popolo per affinità completa, nel nostro caso, se dobbiamo dare retta alle voci che ci giungono, occorre implicitamente, ma che dico, esplicitamente, cioè senza alcun pizzuto pudore da “gauche caviar”, provare simpatia proprio per lei, la stessa ragazza che un tempo, con evidente intento di stigma, chiamavamo “la Pascale”, frutto desiderabile del falansterio del Sardanapalo Berlusconi.
Per farla breve, il tempo, i cicli storici, l’arrivo di nuove terribili facce arrembanti e non meno nutrite di arroganza e analfabetismo civile, facce che alla sola vista fanno suonare le sirene d’ogni antifurto, e ancor di più le traversie della nostra democrazia, cancellano e insieme rendono anni luce desuete certe vecchie ironie da edificante girotondo morettiano, le stesse che nei giorni del più acuminato antiberlusconismo estendevamo alla “fidanzata” Francesca, magari muovendo dal “peccato originale” di un video balneare dove sempre lei, Calippo sguainato, figurante di Telecafone, sembrava uscire da uno spot di Tony Tammaro, degna concorrente di “Patrizia la Regina di Baia Domizia”, giusto per citare il cantautore più ripugnante per scelta che il Sud mai abbia conosciuto, così che ancora adesso, per molti, Pascale resta per definizione “la Calippa”, implacabilmente assimilata come patella allo scoglio della narrazione partenopea più sguaiata, non certo prossima alle preziose “villanelle” cinquecentesche, semmai sospesa tra Piedigrotta e il Santuario di Montevergine caro ai “femminielli”, tableau di maniera trasferito tra la dimora di Arcore e le ville della Sardegna.
Calippa, certo, ma anche invadente, ambiziosa Lady Macbeth, lì a suggerire nomi da mettere in lista per questa o quell’altra elezione locale e non, o piuttosto a spingere l’inerme, e tuttavia accomodante Silvio, uomo comunque predisposto a farsi ipnotizzare dalla “patonza”, assodato che quest’ultima, sempre parola del Cavaliere, “deve girare”, e così addirittura spingerlo, nonostante il suo maschilismo, fino ai bastioni di Orione dei proclami a favore dei diritti LGBT.
E ancora, sempre lei, Francesca, a costringerlo perfino, idealmente, a inserire al centro del simbolo del suo popolo o casa delle libertà o che dir si voglia, il barboncino Dudù, concessione al serraglio domestico pop, roba ottima per selfie da Instagram o Facebook; e che dire della foto dove Silvio sorride, vinto, tra lei e l’amica Vladimir Luxuria?
La parabola pubblica di Francesca Pascale è la dimostrazione vivente di come, aldilà del contesto antropologico originario, molto oltre le premesse e gli esordi non culturalmente esaltanti, certe istanze di liberazione individuale e femminista con lei e grazie a lei sono penetrate nel mondo più di quanto si pensi.
E forse tra le medaglie tardive che ancora vanno attribuite alla ragazza c’è perfino la diffidenza che parte dell’entourage berlusconiano, da Licia Ronzulli a Ghedini, le riservano, così almeno leggiamo: “… sono convinti che a Berlusconi faccia malissimo mostrarsi con lei”.
Davanti a una sinistra afona, paralizzata e costretta in un angolo a subire, non sempre a torto, il marchio d’essere espressione dell’èlite e dei salotti buoni i cui rampolli esordiscono nel mondo delle professioni come “Fashion Icon e Art Consultant” e non certo con Telecafone, la bandiera del meridionalismo, che implicitamente si contrappone al razzismo della Lega e all’arroganza del suo Capitano, passa idealmente da un Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci, direttamente nelle mani di Francesca Pascale; d’altronde, la formazione delle classi dirigenti e dei nuovi ceti intellettuali è da sempre un cammino tortuoso, può perfino accadere che una pischella nata a Napoli nel 1985, la stessa che afferma di avere conquistato coscienza di sè perchè “diciassettenne nella finale di Miss Grand Prix dovevo vincere e invece i produttori si misero d’accordo per far vincere un’altra, allora mi sono arrabbiata fino a denunciare l’organizzatore, da qui la passione per la politica, per un mondo più giusto”.
Può accadere che proprio una così trovi le parole esatte per rispondere al leghismo.
Tra le villanelle più celebri e significative, antologizzate da Roberto De Simone per la Nuova Compagnia di Canto Popolare, ci viene incontro, struggente, la straordinaria “Si li femmene purtassero la spada”.
Ci piace immaginare che sia lei, Francesca P., a essersene finalmente impossessata, a tenerla al fianco.
(da “Huffingtonpost”)
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