LA CHAT DEL COGNATO CHE METTE NEI GUAI FONTANA
DUE ORE PRIMA DELLA “DONAZIONE”, IL COGNATO TENTA DI RIVENDERE I 25.000 CAMICI MAI CONSEGNATI
Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera spiega il motivo del sequestro dei 25mila camici avvenuto ieri nella ditta Dama SPA del cognato Andrea Dini e il collegamento con l’accusa nei confronti di Fontana: nella storia adesso c’entra un messaggio whatsapp delle 9 del mattino del 20 maggio, che secondo il quotidiano serve a fondare la convinzione dei pm di «un preordinato inadempimento» contrattuale «per effetto di un accordo retrostante» tra la Regione Lombardia e l’imprenditore varesino Andrea Dini (fratello della moglie del presidente della giunta regionale Attilio Fontana), che il 16 aprile era stato affidatario diretto con la propria «Dama spa» di una commessa da 513.000 euro per la fornitura di 75.000 camici e 7.000 set sanitari alla centrale acquisti regionale «Aria spa» diretta da Filippo Bongiovanni.
Come abbiamo ricordato, dalla partita trasformata in donazione “sparirono” 25mila camici che Dini cercò di vendere a un altro ente.
Due ore prima di mandare la mail con cui annunciava alla centrale acquisti del Pirellone di voler trasformare la fornitura a pagamento in donazione contattò con un Whatsapp («Ciao, abbiamo ricevuto una bella partita di tessuto per camici. Li vendiamo a 9 euro, e poi ogni 1000 venduti ne posso donare 100») alle 9,18 del mattino l’interlocutrice commerciale E. R.:
Il giuridichese è orribile, ma vuol dire che, se Dini cercava di vendere i 25.000 camici già due ore prima di proporre alla Regione la donazione, e dunque a maggior ragione senza nemmeno sapere se la Regione l’avrebbe poi accettata (cosa che formalmente non accadrà mai), era perchè Dini era già sicuro, per sottostanti accordi con qualcuno in Regione, di poter contare sul fatto che la Regione non pretendesse più i 25.000 camici restanti.
Ovvio che il whatsapp avrebbe questo valore solo se offerti fossero davvero stati quei camici della fornitura regionale, e non altri: ascoltata come teste, il 18 giugno la donna ha rafforzato questa interpretazione dei pm, aggiungendo che invece in aprile Dini le aveva detto «di dover vendere alla Regione» in forza di «un contratto in via esclusiva».
Intanto, sul tentativo di Fontana di «risarcire» il cognato il 19 maggio con un bonifico di 250.000 euro, la newsletter Domani inquadra la tecnica dell’operazione «segnalata sospetta» da Unione Fiduciaria e bloccata:
Dal conto svizzero Ubs «a nome della fiduciaria italiana» a «un conto omnibus intestato alla fiduciaria presso la Banca Popolare di Sondrio», e da qui alla società di Dini. Senza mai che Fontana comparisse in «un trasferimento formalmente disposto da una società fiduciaria (ma di fatto da Fontana) tramite un’operazione domestica (ma di fatto proveniente da un conto estero)».
(da “NextQuotidiano”)
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