LA CINA USA ARMI MOLTO PIÙ POTENTI CONTRO GLI STATI UNITI: DA QUALCHE MESE, IL GOVERNO DI PECHINO HA INTERROTTO O LIMITATO FORTEMENTE LE IMPORTAZIONI DIRETTE DI PRODOTTI AGRICOLI E FONTI ENERGETICHE AMERICANE. UN BANDO CHE COLPISCE IN MODO MIRATO GLI STATI REPUBBLICANI PIÙ FEDELI A TRUMP
NON SOLO: XI JINPING HA ANCHE FERMATO L’EXPORT DI TERRE RARE, CRUCIALI PER I PRODOTTI TECNOLOGICI. E POI HA SEMPRE L’ARMA DA FINE DEL MONDO: I 760 MILIARDI DI BOND AMERICANI, CHE POTREBBE VENDERE PER FAR SALTARE IL DEBITO A STELLE E STRISCE
Pechino ha deciso di dimostrare all’amministrazione Trump che nella guerra commerciale i dazi non sono l’unico strumento a disposizione.
Molto prima che il presidente Donald Trump lanciasse dal Giardino delle Rose della Casa Bianca la nuova offensiva tariffaria contro la Cina, Pechino lavorava già da mesi a una silenziosa strategia per bloccare le esportazioni statunitensi chiave nei settori agricolo ed energetico.
Negli ultimi quattro mesi, il governo cinese ha interrotto o fortemente limitato le importazioni dirette di prodotti agricoli e fonti energetiche americane, tra cui manzo, pollame e gas naturale liquefatto, utilizzando ostacoli burocratici e accordi di vendita indiretti tramite terze parti.
Secondo gli analisti, questi cosiddetti ostacoli non tariffari sono ancora più insidiosi dei dazi che si stanno propagando nell’economia globale. Insieme, rappresentano un’escalation delle misure restrittive che la Cina affina da anni, sin dai suoi divieti sui cibi geneticamente modificati.
E offrono a Pechino una leva potente nella guerra commerciale con Washington, perché colpiscono in modo mirato le esportazioni provenienti dagli Stati repubblicani più fedeli a Trump, come Iowa e Nebraska, con barriere difficili da aggirare.
«Un dazio si può pagare, e il prodotto diventa solo più caro», ha spiegato Ben Lilliston, direttore delle strategie rurali e del cambiamento climatico presso l’Institute for Agriculture and Trade Policy. «Ma qui si tratta di un vero e proprio divieto all’esportazione».
Le autorità cinesi sanno esattamente dove colpire gli esportatori americani. Hanno già rifiutato il rinnovo delle licenze di esportazione per centinaia di impianti di lavorazione della carne, accusato il pollame USA di contenere sostanze vietate, e bloccato le importazioni di gas naturale liquefatto (GNL). Tutti settori fortemente legati alla base elettorale trumpiana.
Queste tattiche mettono in evidenza la prontezza e la flessibilità della risposta cinese, frutto di anni di preparazione. La guerra commerciale ha
subito un’accelerazione improvvisa: martedì Trump ha portato i dazi sulle importazioni cinesi a oltre il 104%, ma meno di 12 ore dopo l’aliquota è salita al 145%. In risposta, Pechino ha alzato i propri dazi totali sulle merci USA all’84%, e poi al 125% entro venerdì.
Fin dal suo ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) nel 2001, la Cina ha perfezionato questo tipo di manovre. Appena entrata, bloccò le importazioni di soia statunitense invocando presunte infestazioni da insetti o presenza di OGM.
Quando nel 2018 il Canada arrestò una dirigente di Huawei, Pechino sospese gran parte delle importazioni di semi di canola canadesi, accusandoli di contenere parassiti. Il divieto fu revocato solo quando Ottawa permise alla dirigente, Meng Wanzhou, di tornare in patria.
Oggi Pechino impiega una tattica simile con le esportazioni USA, sostenendo che certi prodotti non rispettano gli standard sanitari — a volte con fondamento, spesso come strumento politico.
Secondo esperti in regolamentazione commerciale, questa è una tattica consolidata della Cina. […] Anche gli Stati Uniti non sono estranei a queste pratiche, ricorda Colin Carter, economista agrario dell’Università della California, Davis. «Uno degli esempi più eclatanti, se ci guardiamo allo specchio, è la politica dello zucchero: un divieto quasi totale all’importazione, che ha reso il prezzo interno molto più alto».
Per l’industria statunitense del gas naturale liquefatto, le nuove restrizioni cinesi sono un déjà vu: già nel primo mandato di Trump, il GNL fu usato come pedina nella guerra commerciale.
«Dal conflitto precedente, Pechino ha deliberatamente trasformato il proprio mercato del GNL in una leva geopolitica, pronta a essere usata in caso di deterioramento dei rapporti con Washington. E quel momento è arrivato», ha dichiarato Leslie Palti-Guzman, analista di energia e clima presso il CSIS.
Il blocco del GNL non è stato annunciato ufficialmente, ma secondo i dati della società di analisi Kpler, la Cina ha importato un solo carico di GNL USA quest’anno, contro i 14 dello stesso periodo nel 2024. Un funzionario industriale statunitense, rimasto anonimo, ha confermato che l’importazione di gas USA nei porti cinesi è “mal vista” politicamente.
Tuttavia, l’impatto potrebbe essere più contenuto rispetto all’agricoltura: il GNL trova acquirenti altrove, e la domanda globale resta alta.
«Sinceramente, ce lo aspettavamo sin dall’inizio della guerra commerciale», ha dichiarato via messaggio un dirigente di una società di GNL. «Ma sul gas, si possono chiudere accordi altrove».
Il colpo potenzialmente più grave riguarda però i minerali critici: Pechino ha limitato le esportazioni verso gli Stati Uniti, colpendo duramente le industrie delle energie rinnovabili e della chimica di base. I settori che producono batterie per auto elettriche o plastiche per uso quotidiano dipendono dai metalli rari cinesi, e non esistono fonti alternative affidabili nel breve termine.
Secondo Al Greenwood, vicecaporedattore di ICIS (rivista specializzata in commercio delle materie prime), il settore petrolchimico americano, tradizionalmente vicino a Trump, «oggi ha un bersaglio sulla schiena».
La guerra commerciale continuerà, anche senza dazi
Anche se le tensioni tra Washington e Pechino dovessero allentarsi, non aspettatevi che la Cina rinunci presto agli strumenti non tariffari.
«Queste misure consentono a Pechino di mantenere l’apparenza di legittimità, dicendo: “Stiamo solo applicando le regole”», ha spiegato Greta Peisch, ex consulente legale generale dell’USTR, ora partner presso lo studio Wiley Rein.
«Fa parte della narrativa cinese — e dovrebbe preoccuparci», ha concluso Peisch.
Phelim Kine, Ben Lefebvre and Marcia Brown
per www.politico.com
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