LA CONVENTION DEI REAZIONARI DI FRATELLI D’ITALIA A MILANO
GLI SCAZZI CON I LEGHISTI SONO GIA’ ALL’ORDINE DEL GIORNO: SALVINI VOLEVA “PASSARE A SALUTARE” LA MELONI E IGNAZIO LA RUSSA LO HA FULMINATO CON UN LAPIDARIO “VENIRE SAREBBE UN CONTROSENSO PER NOI E PER LUI”
«Orgoglio!». Giorgia Meloni conclude il suo intervento tonante. Nel giorno in cui fonda il «grande partito dei conservatori italiani» quel che non manca tra chi la applaude è proprio l’orgoglio. «Primo partito italiano» è il concetto chiave numero uno. Che procede quasi sempre insieme al secondo: «Classe dirigente». E porta dritto al terzo: «governo».
Il popolo di Fratelli d’Italia riempie il Mico, il gigantesco centro congressi milanese con vista sulle tre torri maestose di CityLife. Il valore della convention è fondante, non è soltanto l’inizio della campagna elettorale per le Politiche 2023 e tutti ne sono assolutamente convinti: sindaci, assessori, eletti e dirigenti che applaudono il nuovo «grande partito di centrodestra».
Il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano ricorda che «Giuseppe Prezzolini cominciò a parlare del partito conservatore nel 1971, chiedeva la “destra che non c’è”». Ecco, nel 2022 non bisogna andare lontano per trovarla.
Molto è cambiato nel partito, e non solo per i fumi e l’aria di convention Usa che si respira al Mico. Nel pantheon ideale dei Conservatori oggi c’è posto anche per Pier Paolo Pasolini e Hannah Arendt, oltre ai più prevedibili Chesterton e Tolkien. E la convention inizia sulle note dell’«Avvelenata» di Francesco Guccini. Guai a parlare delle radici nella fiamma che ancora campeggia nel logo. Tutti ti guardano come un anziano con le sue fissazioni. Ci fa i conti lo storico portavoce di Giorgio Almirante, Massimo Magliaro: «Gli alberi senza radici non crescono. Noi veniamo da una storia difficile, una storia che nessuno vuole restaurare e nessuno vuole rinnegare».
Il vicesindaco di Terracina, Patrizio Anelli, lo dice più chiaro di tutti: «Il messaggio di Giorgia libera questo partito da quell’etichetta…». Postfascisti? «Ecco. Noi siamo un’altra cosa. Coerenti, nessuno può negarlo: noi con i 5 Stelle non ci saremmo andati mai. Ma comunque un’altra cosa». Per il sindaco di Palombara Sabina Alessandro Palombi il problema non esiste: «Questo è il partito che ha portato alla ribalta la generazione dei quarantenni, tutta gente che con quella storia non c’entra nulla». Tommaso Marchetti, assessore a Oderzo, non ti ride in faccia solo per cortesia: «Io sono nato nel 1996, difficile per me avere nostalgie…».
Mentre Maurizio Buonincontro, Municipio 8 della Capitale, ex azzurro, la vede così: «Guardi che le ultime amministrative hanno cambiato tutto. La maggioranza del partito ormai non è più ex missina, ma moderata».
Il problema, però, è grosso come una casa. Proprio mentre al Mico si fondano i conservatori italiani, nelle strade — e non solo quelle siciliane — appare il manifesto della campagna di tesseramento di Prima l’Italia, il nome della lista con cui Matteo Salvini presenterà i suoi uomini, e coloro che come l’Udc ci stanno, alle amministrative siciliane.
Insomma, stanno nascendo due partiti che si ispirano al primato nazionale. Se Daniela Santanchè si limita a una frecciata («Difficile tenere insieme Flat tax e reddito di cittadinanza»), gli altri Fratelli d’Italia sono unanimi in una convinzione. Alessio Scimè, già Udc, la dice così: «Noi siamo l’originale, siamo quelli del Tricolore. Il nostro colore non è mai stato il verde».
Resta il fatto che i rapporti tra Lega e Fratelli d’Italia sono oltre il minimo storico. Dopo mesi di silenzio con l’alleata, Salvini ha chiesto un summit in presenza con gli altri leader: proprio nei giorni in cui Meloni è la padrona di casa dei 4.700 delegati arrivati da tutta Italia. Poi, venerdì mattina, sorpresa. I capigruppo leghisti alla Camera e al Senato, attesi alla convention FdI, danno forfait: non parteciperanno.
Poi, nel primo pomeriggio, altra sorpresa: «Visto che è nella mia città passerò a salutare Meloni». Risponde Ignazio La Russa: Salvini non verrà «perché sarebbe un controsenso per noi e per lui». Il segretario leghista non si dà per vinto: «Un saluto non è mai un controsenso. Per cortesia, c’è un evento di un partito alleato nella mia città e quindi un saluto, non politico ma affettuoso, è il minimo che si possa fare».
(da il Messaggero)
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