LA COPPIA SALVINI-DI MAIO E’ SCOPPIATA, OGNUNO ATTENDE LA CRISI DI NERVI DELL’ALTRO PER DIRSI ADDIO
I SILENZI DI SALVINI A CENA, LE TENSIONI SU OGNI DOSSIER, LA DEBOLEZZA DEL LEADER GRILLINO, LA RABBIA LEGHISTA SULLA MANOVRA
Perchè Matteo Salvini sa che il trucco non regge, quel “2,04” che la grande opinione pubblica confonde ancora col “2,4” sbandierato dal balcone di Palazzo Chigi.
Per questo era plumbeo durante la cena di mercoledì sera, taciturno, al punto da non avere neanche voglia di alzarsi a salutare un vecchio amico che si è presentato al tavolo, a differenza degli altri commensali.
E lo sa bene Luigi Di Maio, anche se è già pronto a fare di necessità virtù, spiegando che “la platea non si è ridotta e il reddito riguarderà 5 milioni di italiani”, con buona dose di fantasia contabile, perchè con sette miliardi di tagli almeno due vanno presi lì.
Però entrambi sanno che l’alternativa non c’è, come ripete il mite professor Conte, l’avvocato del popolo che ha sposato appieno la linea di difesa nazionale del Quirinale, per cui è “impensabile” che l’Italia vada sotto procedura di infrazione.
E c’è un motivo se, in parecchi, hanno avuto la sensazione che “per come si è messa a Matteo non dispiacerebbe se, a questo punto, saltasse tutto, anche se non può dirlo nè può fare in modo che accada”: le grandi opere bloccate, la flat tax rimasta un’intenzione, “quota cento” ridimensionata…
Ci vuole fantasia per spiegare oggi alle imprese che hanno manifestato che è una manovra sviluppista. E per spiegarlo anche al suo partito di leoni che ruggiscono alla vista dei sondaggi, ma costretti nella gabbia di questo governo.
È sempre più complicato ripetere che “dobbiamo reggere” a chi, come il capogruppo Molinari, l’altro giorno ha alzato la cornetta per dire che non se può più dopo l’attacco a freddo sui fondi della Lega, soprattutto perchè il leader della Lega, che cospargeva calma, era a sua volta alterato come una iena.
E ogni giorno ce n’è una. Bastava assistere al voto sull’Anticorruzione al Senato, con Luigi Di Maio che si è precipitato a palazzo Madama al momento dell’approvazione e i leghisti che prima non hanno neanche battuto le mani alla dichiarazione di voto dei Cinque Stelle, poi hanno fatto parlare, con un certo imbarazzo, una seconda fila e non il capogruppo.
E sembra un dettaglio, ma è sostanza, che anche questa volta è stata posta la “fiducia”, perchè il partito Di Maio temeva che, con qualche voto segreto, il partito di Salvini impallinasse il provvedimento, proprio come accaduto qualche settimana fa, a parti invertite, sul decreto sicurezza: “È sempre la solita storia — dice Francesco Verducci, senatore democratico che ne ha viste parecchie — perchè questi si mandano a quel paese tutti i giorni, vivono da separati in casa, ma alla fine trovano un accordo ognuno tutelando i suoi ambiti”.
E se nel Palazzo il tormentone è su quanto può durare così, la sensazione è che questo matrimonio in bianco duri, con ogni coniuge che spera nella crisi di nervi dell’altro, per ottenere semmai una separazione con addebito.
Alla buvette del Senato, Stefano Candiani, parlando con Simone Pillon, ragiona a voce alta: “Ma sai, quando la maionese impazzisce, non è che se giri dall’altra parte torna a posto. E loro (i Cinque stelle, ndr) sono una maionese impazzita, perchè noi stiamo realizzando quel che ci interessa, loro non sono all’altezza del ruolo. Vediamo se tengono”.
C’è del vero perchè proprio un paio di giorni fa, la potente struttura della comunicazione pentastellata, dopo un pomeriggio di riunioni ha concordato con Luigi Di Maio che da adesso la musica cambia e, come accaduto sulle imprese e sui fondi della Lega, si risponderà colpo su colpo, perchè occorre recuperare in vista delle europee.
E occorre sedare un partito dove in parecchi invocano una “fase due”, imputando al leader pentastellato una disastrosa gestione della “fase 1”.
È tutto un parlare, da quelle parti, dei cedimenti di “Gigino”, al punto che un parlamentare della Lega, la sera del 21 novembre gli ha mandato un sms, tanto è rimasto colpito dai toni, per informarlo che, nel ristorante in cui si trovava, c’era un tavolo dove alcuni parlamentari dei Cinque Stelle parlavano a voce alta in modo assai poco lusinghiero delle sue capacità .
Però la ripresa di un certo vigore comunicativo non significa mettere in discussione il governo perchè, come dice Di Maio, “noi reggiamo e Salvini pure perchè sa che se fa il governo con Berlusconi perde dieci punti”.
E attenzione ai ragionamenti schematici, per cui gli italiani votano con le tasche e, poichè questa manovra non le riempie, i due partiti perderanno voti.
Il saggio Bersani avverte che non funziona così: “Diranno un sacco di balle dopo la manovra, però la molla della gente resta l’aspettativa. Cioè io che devo incassare il reddito, posso anche non incassarlo subito, ma dopo le europee, e la speranza di incassarlo è un incentivo a non mandarli a casa. Se invece me li hanno già dati, paradossalmente, mi sento più libero. Non so se mi spiego”.
Ed è proprio su questo meccanismo di aspettativa che si intravedono già i fuochi d’artificio, superato lo scoglio della manovra, in quest’era di paradossi, in cui il governo “tiene dentro maggioranza e opposizione”, come ebbe a dire Giancarlo Giorgetti qualche tempo fa, e il litigio non diventa mai crisi, ma prassi quotidiana.
In attesa che uno dei due coniugi perda la testa per primo, liberando l’altro.
Senza tante parole o chiarimenti.
Proprio come mercoledì sera, davanti a un piatto di puntarelle, con tanti silenzi, perchè non c’è più nulla da dire.
(da “Huffingtonpost”)
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