LA CORTE DEI CONTI SOTTO ATTACCO SOVRANISTA
IL CUSTODE DEL PATRIMONIO NAZIONALE STA PER ESSERE DISARMATO DALLE MANOVRE DEL GOVERNO
I magistrati contabili sono poche centinaia, un’isoletta nel gran mare del nostro apparato giudiziario. Non hanno certo la forza politica e mediatica dei diecimila giudici ordinari. Anche l’istituzione che li accoglie, con quel nome – Corte dei conti – che evoca castelli e cavalieri medievali, rimane misteriosa per i più. Sarà per questo che la mannaia sulle loro funzioni cade nell’indifferenza generale. Eppure sono funzioni quantomai importanti, di rango costituzionale.
La Corte dei conti – per richiamare le parole che usò nel 1995 la Consulta – è «garante imparziale» degli equilibri di bilancio, nonché «della corretta gestione delle risorse collettive». In sintesi, è un presidio di legalità, nel Paese dove l’illegalità ha fin troppi seguaci. Ed è il giudice che castiga il danno erariale, ossia quello sofferto dalle casse dello Stato per colpa di chi ne amministra i denari. Che sono poi i denari di noi tutti, di ciascun cittadino, raccolti attraverso il pagamento delle tasse.
Questo custode del patrimonio nazionale, tuttavia, sta per venire disarmato. Effetto d’una legge proposta nel dicembre 2023 da Tommaso Foti, all’epoca capogruppo di Fratelli d’Italia, oggi ministro per gli Affari europei. Il 9 aprile, dopo mesi di dibattiti e ulteriori peggioramenti del testo in commissione, la Camera ha dato il suo via libera. Seguirà, a breve, il Senato. Con la conseguenza di comprimere la giurisdizione della Corte dei conti, di svaporare la responsabilità amministrativa. Come? Attraverso una fitta rete di salvacondotti, che tutelano il portafoglio individuale degli amministratori a scapito del portafoglio pubblico. Vediamone infatti le misure una per una.
Primo: tutti salvi se la Corte dei conti – in sede di controllo preventivo – rimane in silenzio per un mese, o se ha vistato l’atto sia pure per profili diversi da quelli che configurano un illecito. Secondo: i politici rispondono soltanto in caso di dolo, non più per colpa grave. Terzo: se ne presume comunque l’innocenza quando l’atto amministrativo sia stato proposto, vistato o sottoscritto dai tecnici (come succede sempre). Quarto: a loro volta dirigenti e funzionari ottengono uno sconto del 70 per cento sul danno erariale, e comunque non dovranno mai corrispondere più del doppio del proprio stipendio.
Quinto: di conseguenza i titolari di incarichi gratuiti (e sono tanti) restano indenni, non avranno alcunché da risarcire. Sesto: per i tecnici scatta però l’assicurazione obbligatoria, ovviamente a spese dello Stato (ecco perché il tetto viene ridotto del 70 per cento: altrimenti nessuna compagnia assicurativa troverebbe conveniente la propria copertura). Settimo: quanto ai pochi che andranno a giudizio, la prescrizione viene notevolmente accelerata. Ottavo: se scatta un’improbabile sentenza di condanna, ai politici basterà pagare gli importi contestati per azzerare ogni ulteriore conseguenza a loro carico, compresa l’ineleggibilità.
Insomma, una grazia di Stato a danno dello Stato. E come si giustifica? Per sconfiggere la «paura della firma», dicono lorsignori. Cioè il timore d’esporsi ad addebiti penali o a responsabilità contabili, per cui gli amministratori rinunziano a timbrare qualunque decisione. Sennonché l’unico studio disponibile sulla burocrazia difensiva (curato da Forum PA nel 2017) enumera ben altri fattori di rischio, da un ambiente normativo infido e caotico alla frammentazione delle responsabilità e dei ruoli.
Lo riconosce, d’altronde, pure la Consulta, in una sentenza del luglio 2024 peraltro fin troppo compiacente sulle ultime scelte del nostro legislatore. Ma in quella decisione la Corte costituzionale boccia l’ipotesi di circoscrivere la responsabilità amministrativa al dolo, come propone viceversa il ddl Foti. In una decisione precedente (n. 340 del 2001) aveva reputato illegittimo ridurre la responsabilità a una quota della retribuzione. E in molte altre pronunzie sempre la Consulta ha posto l’accento sulla deterrenza che in passato veniva garantita dai controlli della Corte dei conti, pace all’anima sua.
Morale della favola: stiamo per fare un altro passo verso l’annullamento dello standard etico richiesto ai servitori dello Stato. Ma pazienza, non è ancora finita. La prossima volta possiamo offrire un premio a chi procura un bel danno erariale.
(da La Repubblica)
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