LA CORTE EUROPEA DEI SETTE NANI SI AGGIUNGE ALLA LISTA DEGLI IGNAVI
GIUDICI IPOCRITI E CON LA PANCIA PIENA HANNO MESSO IL SIGILLO ALL’INFAMIA
La sentenza di oggi è uno spartiacque, una data che segna un confine, un giudizio che pesa come un fardello, gravido di responsabilità morali.
Adesso anche la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo mette il suo sigillo all’infamia, rifiutando il ricorso della SeaWatch
Dal 12 giugno i profughi salvati dalle acque stanno in mezzo al mare. Da tredici giorni una mano lava l’altra e a nessuno importa nulla.
Da sei giorni un solo uomo, Don Carmelo La Magra, 38 anni, insieme ai suoi parrocchiani dorme sul sagrato di una chiesa per condividere in mondo solidale la condizione delle 42 persone — uomini e donne — che la vigliaccheria degli eurogoverni, e l’arroganza del nostro, hanno trasformato in carne da macello, lasciata a marcire sulle punte di una nave.
Che Salvini si danni l’anima per impedire a questi naufraghi di mettere piede a terra è fin troppo chiaro. Ma che adesso gioisca, perchè considera questa sentenza una avallo della sua politica, è una piccola infamia aggiuntiva per le belle animelle che pretendono di difendere i diritti umani, ma lo fanno con un moto di trasporto emotivo da impiegati del catasto che si applicano alle visite di una planimetria.
Perchè, poi, alla fine, il punto è sempre questo: in una scatola di latta in mezzo al mare, ci sono 42 persone senza approdo e senza prospettiva: molti sono giovani, molte sono donne, e tutte queste persone, che hanno rischiato la vita, non possono sbarcare.
Stanno al largo, sotto il sole dell’estate che picchia, e non è una bella vita. Dicono: non rischiano di morire, però. Si, certo, per ora, però sono in una condizione umana drammatica, e forse non ce ne accorgeremmo nemmeno, forse ce ne dimenticheremmo molto facilmente, se non ci fossero questi corpi che si mettono di mezzo bloccando l’ingranaggio dell’indifferenza.
Il corpo di un parroco e dei suoi fedeli, che hanno deciso di mettersi in parallelo con quelli di chi sta con la vita sospesa al largo. I colori di coloro che dicono: “Finchè non scendono loro, noi resteremo qui”.
Poi ci sono il coraggio di una donna — un giovane capitano donna di trent’anni, Carola Rakete — e del suo equipaggio. E poi, da stasera, c’è il nulla. O meglio: ci sono le pance piene e le coscienze belle dei politici a pancia piena che fanno la morale ma non muovono un dito.
Ma, da stasera, al corteo degli ignavi si è aggiunto anche il piccolo collegio di legulei che hanno voltato la testa da un lato.
Lo so, lo so, che il sentimento di opinione che apparentemente prevale nel nostro Paese è un altro: so che l’umore collettivo è quello di chi tende a dire chi se ne frega. So che adesso questo giudizio diventerà l’alibi di molti: come se scappare dalle carceri libiche non fosse una motivazione sufficiente per ottenere il diritto di asilo, riconosciuto da tutte le convenzioni internazionali.
Viviamo in un tempo barbaro in cui pietà l’è morta. Questa sentenza di oggi è uno spartiacque, una data che segna un confine, un giudizio che pesa come un fardello.
Ed è per questo che stasera stiamo con i cuori al fianco del vite sospese e al fianco di chi resiste: Don Franco, Carola — che minaccia di forzare il blocco e probabilmente lo farà domani -, i fedeli che si impongono le notti sul sagrato.
Perchè ci sono momenti in cui chi vince ha la forza, ma non la forza della ragione. I momenti bui, il tempo delle deportazioni, dei golpe e dei desaparecidos.
Eppure alla Corte europea dei sette nani bisognerebbe ricordare proprio questo. Che i diritti non possono essere cancellati.
E che le coscienza non possono essere spente a maggioranza semplice. Almeno finchè qualcuno troverà la forza di mettersi con il corpo dalla parte dei più deboli, anche senza sapere se si vince o si perde.
Luca Telese
(da TPI)
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