LA DIFESA PUNTA A RAFFORZARE L’ESERCITO CON QUARANTAMILA SOLDATI IN PIU’ MA RESTANO I DUBBI DELLA TREMEBONDA MELONI SULLA COALIZIONE DEI VOLENTEROSI A GUIDA FRANCIA-REGNO UNITO
LA DUCETTA PUNTA A COINVOLGERE ANCHE GLI USA (CIAO CORE): L’ITALIA VALUTA UNA MISSIONE A KIEV ANCHE SENZA L’ONU A GUIDA TURCA CON PAESI EXTRA UE. PERCHE’ L’EUROPA ORA NON PUÒ FARE A MENO DI ERDOGAN
Con mille dubbi, affatto celati, sul formato scelto da Emmanuel Macron, l’Italia parteciperà ai due vertici organizzati a Parigi dal presidente francese. Martedì il generale Luciano Portolano siederà al summit dei capi di stato maggiore invitati dall’Eliseo per discutere della coalizione di «volenterosi » da spedire in Ucraina a pace raggiunta. Il giorno dopo atterrerà sotto la torre Eiffel il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che prima, tra domani e martedì, è atteso a Palazzo Chigi per un confronto con la premier Giorgia Meloni.
Che posizione porterà l’Italia ai tavoli parigini, soprattutto a quello con i ministri di Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia?
La linea del governo è nota da settimane: è presto per parlare di truppe, non c’è nemmeno una bozza di accordo per la pace. E Roma, con i suoi massimi vertici, ha sempre ribadito che potrebbe far parte di una missione di peacekeeping, solo sotto l’ombrello delle Nazioni Unite.
Mai in un dispiegamento composto esclusivamente da militari europei, anche perché non avrebbe l’avallo di Mosca. Ora che però nelle cancellerie dell’Ue si inizia a discutere di un contingente più largo rispetto al perimetro militare del Vecchio continente, con la possibilità di una guida turca, con l’adesione anche di partner come l’India, il Giappone, il Canada, una riflessione ai piani alti dell’esecutivo si sta facendo.
E si sta valutando — confermano più fonti a conoscenza diretta del dossier — anche la possibilità di aprire alla partecipazione italiana in un contingente internazionale largo, con un forte coinvolgimento di attori extra europei, anche senza l’Onu. Purché ovviamente la missione sia accettata da entrambe la parti in conflitto, a ostilità terminate. Lo stesso ministro Crosetto non sarebbe contrario a priori, anche se appunto i tempi, come ha ricordato il presidente Mattarella, sono prematuri.
Preoccupa l’esecutivo pure la possibilità che gli Usa interrompano la partecipazione a future esercitazioni militari della Nato in Europa.
Ai partner del continente sarebbe richiesto uno sforzo esponenziale, per compensare. Alla Difesa da tempo sono al lavoro per un “piano di sicurezza nazionale”, da sottoporre al voto del Parlamento. Il nostro Stato maggiore, proprio su ordine di Crosetto, sta analizzando un modello che prevede l’aumento di 30-40mila militari. Ordinari, non riservisti.
C’è poi il delicato fronte finanziario a impensierire Meloni. Il piano Ursula è stato sì avallato dalla premier giovedì a Bruxelles, ma con più di una riserva per il rischio che l’Italia s’indebiti troppo. Per questo domani e martedì alla riunione dei ministri finanziari dell’Ue, il titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti, proporrà di battere altre strade, rispetto all’indebitamento nazionale, come la creazione di garanzie europee per attrarre investimenti privati.
Dopo l’Ecofin, si terrà una riunione a Roma, per capire come aumentare le spese da qui a giugno. Anche di questo Meloni parlerà con Trump nella missione negli Usa, attesa entro fine mese, mentre martedì incontrerà a Chigi la premier danese Frederiksen e l’indomani l’olandese Schoof. Due paesi iscritti spesso nel registro dei “rigoristi”, a Bruxelles.
Il viaggio americano sarà invece dopo il consiglio europeo del 20-21.
La Turchia si è detta disposta a fornire garanzie di sicurezza a Kyiv, ma resta anch’essa esitante a dispiegare truppe di mantenimento della pace nel Paese in caso di cessate il fuoco. Hakan Fidan ha detto che la Turchia è coerente nella ricerca di una soluzione politica equa del conflitto e che allo stesso tempo non ha intenzione di venire meno ai propri compiti nel garantire la sicurezza dell’Europa.
Ankara, con un esercito di terra forte di 800mila uomini è l’unica potenza nella NATO europea che può schierare decine, se non centinaia, di migliaia di truppe sul campo in Ucraina. La Turchia ha anche la scala manifatturiera per aiutare a colmare le lacune dell’Europa nella produzione industriale militare.
Sappiamo che il governo turco vuole qualcosa in cambio: rilanciare lo scambio di tecnologia, l’accesso alla finanza e ai mercati, una nuova unione doganale con l’UE, la liberalizzazione dei visti di ingresso dei cittadini turchi nell’Unione e relazioni commerciali più profonde con il Regno Unito.
Sono, questi, obiettivi facilmente realizzabili: frutti a portata di mano. La Turchia, è bene rendersene conto, non è affatto alleata della Russia, è un suo competitor nel Mar Nero, nel Caucaso, nel Mediterraneo, in Libia e in Siria e blocco con l’Ucraina nel contenimento di Mosca per impedirle l’accesso alla “Porta dei Mari caldi” attraverso gli Stretti turchi.
I timori di Erdogan in caso di vittoria russa
Mentre con l’Ucraina, la Turchia ha una stretta relazione strategica, politica, militare e culturale, invece con Mosca ha solo una cooperazione di tipo transazionale. In questi giorni Ankara mostra preoccupazione per la prospettiva di una vittoria russa in Ucraina e per il suo dominio sul Mar Nero e dintorni. Sembra ripresentarsi un momento per l’Europa in cui è molto conveniente tendere la mano alla Turchia, soprattutto ora che si parla del Reserve Nixon, cioè di un accordo degli Stati Uniti per allearsi con la Russia contro la Cina.
La Casa Bianca sta commettendo un errore nell’allontanare un’economia europea da 27 trilioni di dollari a favore di quella russa da 2 trilioni di dollari. L’Europa dovrebbe destinare alla difesa circa il 4% del suo PIL e mettere in ordine le sue industrie della difesa nel breve-medio termine. Mosca non potrà mai raggiungere in termini assoluti quella. Ma l’Europa può farlo.
(da agenzie)
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