LA FAME NON VA IN VACANZA, L’ESTATE DEGLI INVISIBILI IN CODA PER UN PANINO
A GENOVA, UN CENTINAIO OGNI GIORNO ALLA MENSA DELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO
Mezzogiorno di fuoco, più che altro per la temperatura estiva, e una città semivuota. Ma se hai poco, le vacanze non esistono mica; mentre la fame rimane comunque.
E quindi eccoci qui, in via di Vallechiara, a due passi da largo della Zecca.
C’è una piccola porta che rimane aperta un’ora, dalle 11,15 alle 12,15.
Quattro volontari della comunità di Sant’Egidio – si chiamano Pierluca, Laura, Rosanna e Giulia – distribuiscono panini a chi viene a chiedere qualcosa da mangiare.
Al prosciutto, al formaggio, anche vuoti. È un viavai continuo, sono un centinaio le persone che arrivano, prendono e se ne vanno frettolose, chissà dove.
La povertà , si sa, non è mai troppo esibita nè pubblicizzata. Meglio girarsi altrove, come se riguardasse sempre gli altri. «Quella città invisibile fatta di poveri», come scriveva ieri Luca Borzani.
Ma per chi ha occhi per guardare, invisibile non è. Anche perchè «l’incontro con le persone meno fortunate di te, ti aiuta a dare un giusto peso ai problemi della tua vita. Apprezzi di più ciò che hai», racconta Pierluca, che ha cominciato a fare volontariato nel lontano 1984.
E non si è ancora stancato: «La fragilità è spesso figlia della solitudine, invece siamo qui per dire alle persone: hai un amico, degli amici, in città ».
Ogni martedì, mercoledì e giovedì la Comunità prepara dei pasti caldi alla mensa di via delle Fontane.
Più o meno vengono servite 450 persone. Sono stranieri, in maggioranza; ma anche molti italiani. Soprattutto pensionati e adulti che magari hanno perso il lavoro e si ritrovano nell’età di mezzo, quando è difficile recuperarsi.
L’organizzazione della macchina di solidarietà è fatta di oltre 200 persone che donano una parte del loro tempo a favore degli altri. Anche solo tre ore a settimana, per dire. Non ci sono vincoli nè obblighi.
Il tema ricorrente, come detto prima, è quello della solitudine.
«Trenta anni fa – spiega sempre Pierluca – le colf delle famiglie agiate genovesi venivano dall’Emilia, dal piacentino, zone allora depresse. Poi perdevano il lavoro magari e si ritrovavano sole, e mantenersi da solo è sicuramente più complicato. I tempi cambiano e pian piano sono state sostituite da molte donne dell’est».
La crisi ha ovviamente influito – «negli ultimi tre o quattro anni il bisogno è visibilmente aumentato», dice Rosanna – ma va sfatato un mito: di qui passano molti stranieri, ma non sono quelli che arrivano coi famosi barconi. Sono quelli che si erano integrati, che avevano un lavoro, magari umile – ma lo avevano, ora non più.
Negli spazi di via di Vallechiara c’è anche un locale adibito a mo’ di negozio: chi ne ha bisogno può prendere dei vestiti usati, scegliendo tra quelli a disposizione. Ovviamente gratuitamente.
Non finisce qui, perchè 900 persone ogni mese ricevono un pacco con latte, farina, tonno, pasta, biscotti, olio.
In alcuni pomeriggi della settimana c’è anche un informale doposcuola per i bambini. Altri vanno a fare visita nelle case di riposo oppure nelle carceri.
Insomma, un posto aperto, un collettivo che prova a dare delle risposte concrete a tutti, senza fare distinzioni per razza o credo.
Senza fare domande sui perchè di una vita che sta andando storta. «A volte incontri queste persone fuori dal contesto della mensa – sottolinea Pierluca – e ti salutano con affetto, ti abbracciano. La gratitudine c’è».
All’ingresso per chi la richiede viene fornita anche la “guida Michelin” dei bisognosi, una bussola; c’è l’elenco dei luoghi in città dove si può mangiare, dormire e lavarsi. Una contro-guida lontana dai lustrini della Genova turistica ma che per centinaia di persone rappresenta una piccola e insostituibile bibbia laica.
(da “La Repubblica”)
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