LA FLAT TAX DIVENTA FLOP TAX
LA PROMESSA DELLA LEGA RESTA SULLA CARTA
Lo choc fiscale che avrebbe dovuto rilanciare il Paese è rimasto sulla carta. Ridotto a poco più di una promessa per il futuro.
Nel decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio non c’è traccia di quella flat tax che avrebbe dovuto mettere nelle tasche degli italiani 300 euro in più al mese.
D’altra parte così come i 5 Stelle hanno dovuto digerire un reddito di cittadinanza senza coperture, allo stesso modo la Lega ha dovuto cedere sul mancato taglio delle tasse.
Di più. Nel 2019, con il rallentamento dell’economia e l’aumento delle imposte indirette, la pressione fiscale salirà dal 42 al 42,5% del Pil.
In audizione alla Camera, il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, ha osservato che “negli anni successivi, se non considerate le clausole che valgono un punto e due, un punto e 5 in più, si arriva al 42,8% nel 2020 e al 42,5% nel 2021, ma sono numeri che vanno un po’ verificati. Il messaggio sostanziale e che c’è un leggero aumento che poi rimane stabile”.
D’altra parte la coperta resta corta e il sentiero stretto predicato dall’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non si è certo allargato.
E con un deficit al 2% del Pil, Lega e 5 Stelle hanno dovuto accontentarsi di provvedimenti in versione light pur di aver qualcosa da annunciare ai propri elettori. Così come il reddito di cittadinanza varato dal governo Conte non basterà a soddisfare l’intera platea, così la flat tax (flop tax per il Movimento 5 Stelle) per il 2019 è lontana anni luce da quella promessa dalla Lega in campagna elettorale.
L’imposta sarà effettivamente al 15%, ma solo per le partite Iva con redditi fino a 65mila euro e poi salirà al 25% per quelli fino a 100mila euro.
Dal taglio delle imposte è escluso chi esercita la propria attività nei confronti dei datori con i quali siano in essere rapporti di lavoro, o lo siano stati nei due precedenti periodi d’imposta, e i soggetti che svolgono attività autonoma o d’impresa nei confronti del proprio datore di lavoro o di un soggetto a esso riconducibile anche indirettamente.
Conte insiste nel dire che non si tratta di una “mini” flat tax, spiega che nel corso della legislatura la riforma verrà completata.
Ancora una volta, però, i fatti smentiscono le parole.
All’indomani del voto, la Lega garantiva che la riforma sarebbe partita con l’nel 2019. Anche perchè la proposta di legge era già pronta: fu proprio la Lega a presentarla il 15 giugno 2015. Da allora è rimasta parcheggiata in commissione finanza alla Camera.
Il problema sono sempre le coperture: il gettito Irpef ammonta a 151 miliardi di euro l’anno, la Lega è convinta che cancellando detrazioni (che vengono tolte dall’imposta) e deduzioni (che servono ad abbattere l’imponibile) gran parte del lavoro sia fatto. D’altra parte le spese fiscali italiana sono stimate in circa 300 miliardi di euro l’anno, ma a Palazzo Chigi non ne sembrano convinti.
Per rispettare la progressività , la Lega proponeva di mantenere la modulazione delle aliquote facendo variare il carico fiscale al variare del reddito e dei componenti famigliari. In questo modo la Lega prometteva di mettere nelle tasche degli italiani 48 miliardi di euro a fronte dei 10 arrivati da Renzi con gli 80 euro.
Le promesse, però, sono rimaste sulla carta, insieme al taglio graduale delle aliquote annunciato nel Def. E alla ripresa dell’economia.
(da “NextQuotidiano”)
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