LA FOLLIA DI TRUMP: “INFAME CHI MOLLA”. I REPUBBLICANI RISCHIANO DI PERDERE LA MAGGIORANZA AL SENATO
IN GEORGIA DOMANI SI VOTA, I SONDAGGI DANNO I DUE CANDIDATI DEMOCRATICI IN VANTAGGIO DI DUE PUNTI… TRUMP INSULTA ANCHE I REPUBBLICANI CHE NON APPOGGIANO IL SUO DELIRIO
“Georgia, oh Georgia, no peace I find” cantava Ray Charles in una delle sue canzoni più celebri. Non trova pace neanche Donald Trump al pensiero della Georgia, che gli è sfuggita alle presidenziali del 3 novembre per un pugno di voti (meno di 12 mila voti) e ora è chiamata a decidere in due ballottaggi gli equilibri del Congresso e quindi, di fatto, le speranze di successo dell’agenda Biden nel prossimo biennio.
Se i democratici si aggiudicheranno entrambe le sfide elettorali conquisteranno la maggioranza al Senato, se invece prevarranno i repubblicani anche solo per uno dei seggi, manterranno il controllo dell’aula, rendendo quindi vita difficile a ogni proposta di riforma di Joe Biden.
Sono stati investiti 500 milioni di dollari (fonte AdImpact) in spot elettorali per la contesa, un’enormità .
Sulla carta i senatori uscenti, repubblicani, sono favoriti — hanno vinto di un soffio il primo turno, senza però raggiungere il 50% – ma i sondaggi più recenti (fonte FiveThirtyEight) dicono che Jon Ossoff, rampante democratico capace di raccogliere la cifra esorbitante di 100 milioni di dollari in campagna elettorale, è avanti di quasi 2 punti sul repubblicano David Perdue, mentre il reverendo, democratico e attivista per i diritti civili Raphael Warnock è in vantaggio di oltre 2 punti sulla senatrice repubblicana Kelly Loeffler.
Nella media dei sondaggi pubblicati, però, la situazione è un testa a testa, il classico “too close to call” che fa prevedere un’altra lunga attesa per conoscere il verdetto finale.
Anche in questo caso potrebbe risultare decisivo il voto per corrispondenza, vera e propria terra di conquista dem, con oltre 3 milioni di cittadini del Peach State che hanno optato per questa soluzione entro il 31 dicembre.
I sondaggisti sono al lavoro anche per capire l’impatto che potrà avere lo scoop del Washington Post che ha pubblicato la lunga telefonata con cui Donald Trump lavora ai fianchi il segretario di stato della Georgia, il repubblicano Brad Raffensperger, per ottenere un ricalcolo dei voti capace di ribaltare la sua sconfitta. “Voglio solo trovare 11.780 voti, uno in più di quelli che abbiamo, perchè abbiamo vinto lo Stato” sono le parole del presidente, che ha denunciato frodi nella consultazione del 3 novembre e rinnova l’accusa anche per i ballottaggi.
Joe Biden sceglie di non commentare, ma ci pensa la vice Kamala Harris a definire quello di Trump “un insolente, sfrontato abuso di potere”. Dichiarazioni “da impeachment. Probabilmente illegale.
È un colpo di Stato” titola un editoriale del Washington Post; mentre esperti contattati dal New York Times convergono sulla violazione delle leggi federali, che proibiscono interferenze nelle elezioni. Questioni che hanno sostanza, ma rischiano di non centrare a pieno il problema.
Trump ha già superato quella soglia da tempo, ha dichiarato guerra all’impalcatura istituzionale degli Stati Uniti, visto che la sua resistenza politica si traduce in una transizione disordinata, in una scarsa collaborazione con l’amministrazione entrante di Joe Biden e quindi con la stessa capacità del nuovo presidente di arrivare preparato alla Casa Bianca in un clima post-elettorale rasserenato.
La Georgia è l’ultima vera battaglia di Donald Trump. Le date per le altre incursioni sono fissate: il 6 gennaio, la sessione congiunta del Congresso sull’esito elettorale, con la faida della “sporca dozzina” trumpiana – i 12 senatori guidati da Ted Cruz, a cui si potrebbe affiancare una più nutrita schiera di deputati – che può però al massimo produrre un lunghissimo ostruzionismo.
Le truppe tenteranno il blitz al Congresso, mentre fuori da Capitol Hill si riunirà la “march for Trump”, una manifestazione popolare che il presidente uscente spera sia imponente
Altra data chiave,il 20 gennaio, giuramento di Joe Biden, quando il presidente uscente può solo provare a rovinare la festa al suo successore.
I media si scervellano su cosa passi nella testa del tycoon e si avventurano in previsioni alquanto fantasiose (se non si parlasse di Trump): dall’annuncio concomitante di una ricandidatura nel 2024 fino alle barricate alla Casa Bianca. Certo nessuno si immagina i signori Donald e Melania accompagnare Joe e Jill nella West Wing per un passaggio di consegne, tra sorrisi e pacche sulle spalle.
La resistenza irriducibile di Trump sta passando come un carroarmato sulle rovine del partito repubblicano, già ridotto ai minimi termini da quattro anni di dominio trumpiano. Sui media si parla di “guerra” dentro il Gop: d’altro canto appare complesso conciliare le posizioni incendiarie di Ted Cruz – che prova a ergersi a guida del trumpismo – con il rigore di Mitch McConnell, solitamente inflessibile, eppure pronto a riconoscere la vittoria di Biden. Come lui molti altri nel Gop hanno riconosciuto il successo di Joe. Persone a cui Donald Trump rivolge uno dei suoi ultimi tweet al veleno: ”Il Surrender Caucus all’interno del Partito Repubblicano, cadrà nell’infamia”, scrive contro i repubblicani moderati.
Per Trump, saranno considerati alla stregua di “deboli e inefficaci ‘guardiani’ della nostra Nazione, volonterosi di accettare la certificazioni di numeri fraudolenti alle presidenziali!”.
Per chi, comprensibilmente, mal tollera le metafore belliche, o le considera esagerate, occorre considerare che, sempre sulle colonne del Washington Post, tutti i 10 ex capi del Pentagono, compresi i due nominati e poi rimossi da Trump, Jim Mattis e Mark Esper, lanciano un messaggio al presidente uscente per dire che il tempo per contestare i risultati elettorali è passato e non c’è alcun ruolo delle forze armate nel tentativo di cambiarli. Sono tutti i segretari alla Difesa in blocco. “Gli sforzi per coinvolgere le forze armate statunitensi nella risoluzione delle controversie elettorali ci porterebbe in un territorio pericoloso, illegale e incostituzionale”.
In questo clima, Trump dovrebbe sapere che proprio in Georgia, nella battaglia di Columbus, si consumarono le residue velleità dei confederati nella guerra civile americana. Era l’aprile del 1865, un mese prima della fine dei combattimenti, due mesi prima della fine del conflitto.
Quando l’esito è scritto, nella maggior parte dei casi la soluzione più logica è arrendersi. Anche perchè il Paese ha bisogno di un’amministrazione in carica, soprattutto per contrastare una pandemia che ha causato un morto ogni 33 secondi la scorsa settimana.
(da “Huffingtonpost”)
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