LA LEGGE E’ UGUALE ANCHE PER TOTI: CAPITO, CASSESE?
IL TRIBUNALE DEL RIESAME DI GENOVA NON POTEVA DECIDERE DIVERSAMENTE PER ESIGENZE ISTRUTTORIE
La richiesta di riesame degli arresti domiciliari inflitti a Giovanni Toti è stata respinta dal Tribunale del Riesame di Genova. Non poteva essere diversamente perché le esigenze istruttorie e l’elevata possibilità che l’indagato, una volta restituito alle sue funzioni, possa inquinare le prove formano una diga nei confronti delle memorie difensive del “governatore” che definiremmo “poetiche”, nel senso indicato da Pietro Metastasio che “del poeta il fin è la meraviglia”.
Il riferimento alla “meraviglia” riguarda il parere, presumibilmente pro veritate, redatto dal professor Cassese e accluso alle difese.
Lo si è già sottolineato sul Fatto: secondo il noto docente, da un lato vi sono cittadini di serie A che, in virtù dell’investitura popolare, non vanno disturbati dai Pm e tanto meno ristretti in vinculis perché ciò contrasterebbe con la volontà degli elettori e non assicurerebbe buon andamento e continuità delle funzioni loro affidate e, dall’altro, cittadini di serie B, per i quali non valgono quelle esenzioni perché privi dell’investitura popolare e di elevate mansioni amministrative. La verità è che questa fantasiosa concezione, una via di mezzo tra la bieca reazione ante Rivoluzione francese e un populismo ossequioso verso il potente di turno, è stata suffragata da argomenti assolutamente inconsistenti.
Due sono le sentenze della Corte costituzionale richiamate dall’ex giudice dell’alto consesso per confortare le asserzioni sulla irragionevolezza della misura cautelare: la n. 230/2021 e la n. 183/1981. Nessuna di queste si adattava alle tesi prospettate. La pronuncia n. 230/2021 nega profili d’incostituzionalità di alcune disposizioni della legge Severino relative alla sospensione di diritto per amministratori locali condannati non in via definitiva per reati inerenti l’esercizio della funzione. La fattispecie non è in linea con la situazione processuale d’indagato del presidente Toti, a meno che non si intenda affermare che, mancando la condanna seppur non definitiva, all’ordinamento sarebbe impedito di frapporre impedimenti all’esercizio delle funzioni dell’amministratore indagato. Il che sarebbe francamente troppo anche per i giocolieri e fantasisti del diritto penale che compongono la maggioranza. La sentenza non poteva riferirsi al diverso caso dell’indagato, ma il principio ivi affermato era comunque assolutamente coerente con quanto ritenuto dal Gip genovese: per non far venir meno l’esigenza di tutela oggettiva dell’ente territoriale, si sottolinea la tutela “solo in misura limitata… alla protezione del rapporto di fiducia tra eletti ed elettori”. I profili di buon andamento e legalità, secondo quella decisione, vanno perciò valutati in concreto tenendo conto dei fatti oggetto d’imputazione e nel primario interesse dell’amministrazione a non subire attività contrarie alla legalità e alla liceità come quelle corruttive.
Assolutamente conforme è la sentenza n. 183/1981 che enuncia due principi perfettamente contrari a quelli invocati nel parere. Il primo è il doveroso richiamo al “principio di eguale soggezione di tutti i cittadini alla giurisdizione penale” (sul quale Cassese farebbe bene a meditare), il secondo conferma l’esigenza di mantenere una misura cautelare “quando sussistano specificate, inderogabili esigenze istruttorie o sia necessario impedire che il reato venga portato a conseguenze ulteriori”. Si aggiunge che, in quella sentenza, si riconosce la facoltà di misura cautelare nei confronti di un assessore regionale, cioè di un membro della Giunta, quindi anche di Toti. Resta il problema: due sentenze della Corte costituzionale, assolutamente univoche nel confermare la legittimità degli arresti domiciliari di Toti per esigenze istruttorie e per evitare inquinamenti delle prove, sono state presentate da un ex giudice costituzionale come recanti principi di segno opposto! Si tralasciano altri riferimenti difensivi o perché palesemente inconferenti come gli articoli 48 c. 3 (sul diritto di voto) e 51 c. 3 Cost. (sul diritto al mantenimento del posto di lavoro) o perché fondati su categorie astratte come il principio di non colpevolezza, di natura processuale, che va inverato nella vicenda concreta. I media “moderati” si scioglieranno in geremiadi per l’innocentissimo Toti, costretto a uno strano smart working, senza rilevare l’assoluta carenza di senso istituzionale dimostrata da quel soggetto: da due mesi l’innocentissimo tiene in scacco l’intera Regione per non distaccarsi dall’amata poltrona. Il che induce un’amara riflessione: solo in un Paese nel quale sta spegnendosi la visione democratica questo poteva accadere
(da ilfattoquotidiano.it)
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