LA LISTA DEI PAPABILI CHE CIRCOLA IN VATICANO: 5 ITALIANI, POCHI CONSERVATORI, IL PESO DELLA CHIESA EUROPEA, I PRO E GLI ANTI TRUMP
LA VOCE SOFFERENTE DI PAPA FRANCESCO HA ACCELERATO I MOVIMENTI NELLA SANTA SEDE
Ventisette secondi che hanno cambiato per sempre la storia del pontificato di Papa Francesco. Dopo ventuno giorni di ricovero al Policlinico Gemelli per una polmonite bilaterale, il 6 marzo Bergoglio ha rotto il silenzio mediatico, in cui era insolitamente avvolto fin dall’inizio della degenza, con un breve audio in spagnolo per ringraziare tutti coloro che, dal 14 febbraio, stanno pregando per lui.
Una voce molto sofferta che, se da un lato doveva definitivamente smentire tutte le numerose fake news che lo danno per morto già da tempo, dall’altro lato ha allarmato il mondo, in ansia per la salute di un Pontefice molto più amato al di fuori della stretta geografia cattolica che al suo interno.
Un audio drammatico che ha dato il polso della situazione molto più dei quotidiani bollettini medici. Una voce che avvicina il conclave, secondo la percezione che ne hanno subito avuto i cardinali e i vescovi presenti al consueto rosario serale per la salute del Papa in piazza San Pietro, location scelta proprio da Francesco per far udire nuovamente la sua parola.
Una lista di papabili si va formando in questi giorni e comprende ben quindici nomi. Ilfattoquotidiano.it è in grado di anticiparla.
In Curia ce ne sono sei: Pietro Parolin (70 anni), segretario di Stato, colui che presiederà il conclave; Claudio Gugerotti (69 anni), prefetto del Dicastero per le Chiese orientali; Robert Francis Prevost (69 anni), agostiniano, prefetto del Dicastero per i vescovi; Luis Antonio Gokim Tagle (67 anni), pro prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione; Ángel Fernández Artime (64 anni), salesiano, pro prefetto del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica; Fernando Filoni (78 anni), gran maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Di italiani, oltre ovviamente a Parolin, Gugerotti e Filoni, ci sono anche Matteo Maria Zuppi (69 anni), presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, e Pierbattista Pizzaballa (59 anni), francescano, patriarca di Gerusalemme dei Latini.
Di salesiani, oltre ad Artime, c’è Cristóbal López Romero (72 anni), arcivescovo di Rabat.
I candidati dei tradizionalisti, invece, sono due: Péter Erdő (72 anni), arcivescovo di Esztergom-Budapest, e Willem Jacobus Eijk (71 anni), arcivescovo di Utrecht.
Chiude la lista degli europei papabili Anders Arborelius (75 anni), carmelitano, vescovo di Stoccolma.
Gli statunitensi in corsa, oltre Prevost, sono Timothy Michael Dolan (75 anni), arcivescovo di New York, e Blase Joseph Cupich (75 anni), arcivescovo di Chicago. Infine, c’è Fridolin Ambongo Besungu (65 anni), cappuccino, arcivescovo di Kinshasa.
Da questa lista, che sta maturando nelle settimane di pre conclave, emerge un dato interessante: gli italiani considerati papabili sono un terzo, ben cinque su quindici.
La tendenza per il dopo Francesco sembra essere quella di riportare il baricentro della Chiesa nel cuore dell’Europa, dopo uno spostamento in America Latina con il pontificato bergogliano.
L’Asia non riesce ancora a esprimere candidati forti, a eccezione di Tagle che, però, adesso rappresenta il partito della Curia romana.
I tradizionalisti si affidano a due porporati europei ben noti per la loro ortodossia. Mentre negli Stati Uniti il rischio è di una contrapposizione pro (Dolan) e contro (Cupich) Donald Trump dei due principali candidati al soglio di Pietro.
Contrapposizione che potrebbe spaccare in due i cardinali elettori statunitensi. Tutto ciò a dimostrazione che il pre conclave è già abbastanza avanti.
C’è chi, da una prospettiva chiaramente anti bergogliana, facendo una valutazione molto azzardata, ha preso in esame sei temi caldi per passare in rassegna ventidue cardinali considerati papabili. I sei parametri scelti sono quelli che stanno più a cuore ai nostalgici ratzingeriani, ovvero ai tradizionalisti, che vorrebbero che tutto torni al 28 febbraio 2013, giorno, per loro decisamente funesto, della fine del pontificato di Benedetto XVI. All’interno della Curia romana, infatti, è noto che i fedelissimi di Ratzinger hanno sempre definito le sue dimissioni come “un’immane sciagura”. Ciò, non solo perché il Papa tedesco lasciò il pontificato dopo appena otto anni, facendo così perdere ai suoi più stretti collaboratori importanti posti di potere, ma soprattutto perché con quel gesto decisamente riformatore, moderno e conciliare, Ratzinger ha di fatto spalancato, inconsapevolmente, come lui stesso ammise tre anni dopo, nel 2016, le porte al regno di Francesco, avversato ovviamente dai ratzingeriani di ferro.
Da sottolineare, inoltre, che tra i ventidue papabili presi in esame ce ne sono anche tre che, avendo già compiuto ottant’anni di età, non entreranno in conclave. Essi ovviamente sono tutti conservatori: Angelo Bagnasco, ex presidente della Cei e arcivescovo emerito di Genova; Marc Ouellet, prefetto emerito del Dicastero per i vescovi, e Mauro Piacenza, penitenziere maggiore emerito.
I sei parametri scelti, invece, sono: l’ordinazione delle diaconesse, la benedizione delle coppie omosessuali, il celibato sacerdotale facoltativo, la restrizione della messa in latino, l’accordo provvisorio, già rinnovato diverse volte, tra la Santa Sede e la Cina per la nomina dei vescovi e la promozione di una Chiesa sinodale.
Una prospettiva, come si evince facilmente dai temi scelti, che inevitabilmente offre un’immagine falsata del futuro della Chiesa dopo Francesco.
Se, infatti, dopo le dimissioni dell’85enne Benedetto XVI, il dibattito sul profilo del successore di Ratzinger ruotava attorno ai temi classici di un pre conclave (Papa giovane, poliglotta, viaggiatore, sano,…), adesso l’interesse di alcuni osservatori è maggiormente concentrato sulle tematiche che hanno scosso e soprattutto diviso la Chiesa nei dodici anni di pontificato di Francesco.
Ciò cosa significa? Che anche i suoi più acerrimi critici, dentro e fuori le gerarchie ecclesiastiche, hanno di fatto ammesso che il pontificato di Bergoglio non è facilmente archiviabile con un ritorno immediato e definitivo all’era Ratzinger.
Ci sono, infatti, delle riforme irreversibili, con le quali anche il successore di Francesco dovrà inevitabilmente confrontarsi. Ma, ancora prima, dovrà confrontarsi il Collegio cardinalizio, nella sua totalità, e poi il conclave che dovrà eleggere il successore di Bergoglio. Al momento, i cardinali elettori sono 137, ciò significa che servono 91 voti per diventare Papa. Un quorum senza precedenti.
(da Il Fatto Quotidiano)
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