LA MAGGIORANZA ESPLODE E GIORGIA FA IL POMPIERE: TAJANI LANCIA UN ULTIMATUM ALLA MELONI PER PLACARE IL TRUMPUTINIANO SALVINI: “TROVI UNA SINTESI”
LA SPACCATURA TRA FORZA ITALIA E LEGA: SALVINI INSULTA MACRON, IL MINISTRO DEGLI ESTERI CHIEDE ALLA DUCETTA DI “FARE ASSE CON MERZ” … C’È ANCHE UN FRONTE INTERNO: IL LEADER DEL CARROCCIO È INFURIATO PER IL PASSAGGIO DEL DEPUTATO DAVIDE BELLOMO A FORZA ITALIA (E ALTRI LEGHISTI MEDITANO LA FUGA) … E POI CI SONO LE REGIONALI IN VENETO
Antonio Tajani, solitamente, si impone un silenzio quasi monacale: vecchia eredità di quando era il gregario eterno in un partito padronale, dove uno – Silvio Berlusconi – decideva e gli altri eseguivano in venerazione del capo. Adesso che il capo è lui, gli tocca rispondere a Matteo Salvini che giorno dopo giorno esegue chirurgiche stilettate che mettono in imbarazzo la sua leadership, Forza Italia e anche Giorgia Meloni, in quanto premier in un governo che appare disunito in politica estera.
La storia sarebbe semplice se fosse soltanto circoscritta alle divisioni su cosa fare in Europa, su come comportarsi con Donald Trump, J. D. Vance e Elon Musk.
Le spaccature che si sono create tra i Paesi dell’Ue e in Italia andavano gestite, secondo il ministro degli Esteri. Per questo pensa sia compito di Meloni «trovare una sintesi» e placare Salvini, facendo emergere meglio quanto degli interessi italiani siano in gioco.
Alla Farnesina i diplomatici sono letteralmente confusi dalla strategia adottata da Meloni. La disponibilità mostrata verso Trump, persino sui dazi, è molto scivolosa e rischia, secondo diversi ambasciatori, di indebolire l’Italia agli occhi dei partner europei.
Quando parla con la premier, Tajani traduce queste preoccupazioni in suggerimenti.
Le ha consigliato di non rompere con Emmanuel Macron, di essere più sfumata, ma soprattutto – come confidato a suoi uomini di fiducia – «deve fare asse con Friedrich Merz, chiamarlo e costruire un rapporto con lui». Il futuro cancelliere tedesco è parte dell’ala destra del Partito popolare europeo, e secondo Tajani è l’interlocutore naturale del governo italiano di centrodestra. Avrà un ruolo cruciale nei futuri equilibri europei e sarà importante lavorarci assieme, anche sul fronte del riarmo e di possibili missioni militari in Ucraina.
Giovedì, al vertice di Parigi convocato da Macron sulla coalizione dei volenterosi per Kiev, Meloni dovrà far capire se intende stare con l’Ue compatta, oppure lasciare spazi di ambiguità utili a tenersi stretto un elettorato più populista, più affascinato da Trump e dalle sue battaglie, anche a discapito dell’Ue.
Tajani è convinto che è anche per queste incertezze (sui dazi, sulle alleanze in Europa, sul riarmo) che Salvini si sente autorizzato a insultare Macron, ad attaccare pesantemente il piano europeo sull’Ucraina di Ursula von der Leyen, e ad esaltare i successi di partiti come Afd, che il leader azzurro definisce «anti-italiano», perché chiede un trattamento finanziario dell’Italia molto severo.
Ma c’è anche altro, dietro gli strappi degli ultimi giorni, e i ruvidi botta e risposta tra Tajani e Salvini: riguarda le prossime regionali in Veneto e una prima frattura in quell’accordo tra gentiluomini che stabiliva, tra i soci della maggioranza, di non rubarsi parlamentari a vicenda.
Dentro Forza Italia si spiegano anche così i motivi di queste fiammate di sarcasmo dirette verso Tajani: appena tre giorni fa il deputato Davide Bellomo ha ufficializzato il suo passaggio dalla Lega al gruppo degli azzurri. Cosa che ha mandato su tutte le furie Salvini, per una ragione condivisa con i più stretti collaboratori: «Il nostro patto implicito tra alleati era di non permettere questi passaggi tra i partiti di maggioranza. Loro lo hanno infranto».
Anche un altro famoso deputato di FdI è pronto a passare a FI: in nome del garantismo, come dice lui, Emanuele Pozzolo, che è finito sotto accusa per uno sparo partito a capodanno, e poi isolato tra i meloniani. Pare comunque che Bellomo non sia il solo e altri sarebbero tentati di mollare la Lega che fatica a risalire i sondaggi e galoppa in sella al trumpismo senza troppo curarsi se le alleanze di ultradestra facciano l’interesse delle imprese italiane.
Dalle prossime Regioni al voto dipende molto della serenità nella maggioranza. È quello che da tempo pensa Meloni: vorrebbe piantare una bandiera di FdI in una regione del Nord. Ma le trattative per il Veneto – dove si andrà alle urne in primavera – si sono arenate di fronte alle resistenze di Luca Zaia, il governatore a cui non è stato permesso ricandidarsi, derogando al limite sul terzo mandato.
Insistere vorrebbe dire spaccare la coalizione, rischiare di perdere il Veneto se Zaia e la Lega andranno da soli, e forse precipitare verso una crisi di governo. Ne vale la
pena? Si chiede Meloni, spinta dai forzisti che sperano in un cambio. E la risposta, da quanto riferiscono dal Carroccio, è no: meglio lasciare le cose come stanno. Il Veneto ai leghisti e Salvini (forse) si calmerà.
(da Dagoreport)
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