LA MAPPA DELL’ATOMICA IN EUROPA, TRA BASI E “DOPPIE CHIAVI”: CHE FARE SENZA GLI STATI UNITI
DAVANTI ALLA CRISI I PAESI EUROPEI HANNO CAPITO CHE SULL’ARMA NUCLEARE DEVONO DIVENTARE AUTONOMI, MA SARA’ UN PERCORSO DIFFICILE E COMPLESSO
La mattina del 10 marzo 2025 alla base aerea di Aviano, vicino a Pordenone, è andata in scena un’esercitazione fuori dall’ordinario. Un gruppo scelto del 31° Security Forces Squadron, composto esclusivamente da militari americani (la base è formalmente territorio Usa), ha simulato per ore una risposta d’emergenza a un’ipotetica violazione della recinzione che circonda l’area militare, chiusa al pubblico.
Non si tratta di una base qualsiasi: Aviano, a soli 95 chilometri da Venezia, ospita circa 20-30 bombe nucleari americane B61-12, anche se il numero esatto non è mai stato confermato, dato che sia Roma sia Washington evitano perfino di ammetterne la presenza in Friuli-Venezia Giulia. Qui è dislocato il 31° Fighter Wing dell’USAF, con migliaia di uomini, e il nervosismo è palpabile, se non ancora da allarme rosso.
La simulazione di quel lunedì – denominata Fighting Wyvern 25-1 – ha visto gli ispettori del reparto introdurre un «inject», ossia un evento improvviso e inatteso per testare la capacità di risposta e adattamento delle truppe. Fighting Wyvern è un’esercitazione Nato mirata a preparare i piloti degli F-16C/D e dei Tornado PA-200 di Aviano a operare in scenari complessi e ad alta pressione, condizioni che potrebbero diventare fin troppo reali dopo le recenti dichiarazioni di Trump sulla possibilità di ritirare la protezione nucleare americana ai paesi alleati che non rispettano gli impegni finanziari.
Negli ambienti militari italiani e tra i pochissimi politici informati dei fatti, circola una domanda cruciale: cosa accadrà alla Nato, e dunque anche ad Aviano, con un presidente americano così erratico, anti-europeo e imprevedibile?
La situazione italiana
Per l’Italia, il rapporto storico di protezione e subordinazione con Washington, consolidato negli ultimi 80 anni, è riassumibile così: 120 basi e installazioni Nato sparse sul territorio nazionale.
Circa 13.000 militari americani, concentrati principalmente nelle basi di Aviano (oltre 4.000), Vicenza, Napoli, Sigonella e Camp Darby (Livorno).
Una precisa catena di comando: la Nato invia direttive strategiche al ministero della Difesa italiano, che le inoltra al Comando Operativo di Vertice Interforze (Covi), incaricato della gestione concreta delle operazioni. Tra le figure centrali ci sono il ministro della Difesa Guido Crosetto, il capo di Stato Maggiore Luciano Portolano e il generale Giovanni Maria Iannucci, comandante del Covi.
È un sistema complesso che, dall’inizio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022, ha intensificato esercitazioni e simulazioni per adattarsi ai nuovi equilibri geopolitici. L’«inject» di Aviano ne è un esempio, studiato per verificare la prontezza operativa delle strutture anche in condizioni compromesse. Malgrado le minacce di Donald Trump sulla possibile riduzione della protezione nucleare americana all’Europa, per ora la routine difensiva prosegue senza interruzioni.
Ma l’incertezza ha innescato una profonda crisi di fiducia nei ministeri della Difesa dei paesi alleati. L’ipotesi di un «patto tra autocrati» Trump-Putin rischia di trasformare la Russia, storico avversario dell’Occidente, in partner strategico americano sulla pelle dell’Ucraina e delle migliaia di vittime sul campo.
La catena di comando
Nonostante il caos generato dalla Casa Bianca, la catena di comando Nato resta operativa. Lo scorso 6 marzo, aerei alleati provenienti da Stati Uniti, Olanda e Italia, supportati da Awacs e tanker tedeschi, hanno svolto una missione di tipo F2T2 nello spazio aereo dell’Estonia, preparandosi alla Ramstein Flag 2025. Questa enorme esercitazione Nato, prevista dal 31 marzo all’11 aprile nei Paesi Bassi, coinvolgerà oltre 90 aerei di 15 Paesi, inclusi caccia italiani F-16 e Tornado in partenza da Aviano e Ghedi. In tali esercitazioni, tradizionalmente, le forze alleate (“blu”) si contrappongono a quelle avversarie (“rosse”): non è chiaro però chi saranno i rossi stavolta. Ancora la Russia, come in passato, oppure no?
Ramstein Flag 2025, sempre che Trump non decida di cancellarla all’ultimo minuto (il ministro della Difesa Usa, Pete Hegseth, è un ex-conduttore di Fox News), mobiliterà tutte le componenti Nato – terrestri, aeree, navali, spaziali e cibernetiche – testando capacità e resilienza sotto comando unificato. Secondo l’Alleanza, queste esercitazioni rappresentano «un chiaro segnale politico e militare» della determinazione a garantire la sicurezza euro-atlantica.
Infatti, pochi giorni fa nella base militare di Ādaži, in Lettonia, la Nato ha mobilitato 3.500 uomini per l’esercitazione multinazionale Oak Resolve, che – dicono fonti dell’Alleanza – ha messo alla prova la capacità della brigata di «comandare e controllare operazioni di combattimento complesse che coinvolgono più paesi». Erano presenti forze italiane con nostri carri armati.
In questo quadro, la base italiana di Ghedi (Brescia), distante 85 km da Milano, dove opera il 6º Stormo dell’Aeronautica Militare, ha un fondamentale ruolo strategico. Perché – come Aviano dall’altra parte della Pianura Padana – ospita tra 10 e 15 bombe nucleari americane B61-12, trasportabili dai Tornado Ids, circa 20-30 velivoli
operativi pronti a decollare in pochi minuti, e circa 1.500-2.000 militari italiani.
Secondo Matt Korda e Hans Kristensen, esperti della Federation of American Scientists, Ghedi dispone di 22 rifugi protetti per i caccia, suddivisi in due gruppi da 11. Dal giugno 2022 è iniziata la graduale transizione verso i nuovi caccia F-35A statunitensi (i primi sono già arrivati), con lavori avviati per modernizzare le infrastrutture entro la fine del decennio.
L’arrivo di Trump
Prima dell’arrivo di Trump, tutto sembrava procedere come da programma. A fine 2024 gli Stati Uniti avevano completato il dispiegamento di 100 nuove testate nucleari B61-12 nuove di zecca nelle cinque basi Nato europee: Kleine Brogel (Belgio), Büchel (Germania), Volkel (Paesi Bassi), Aviano e Ghedi. Questi ordigni, il cui impiego richiede l’autorizzazione congiunta del paese ospitante e degli Usa (la cosiddetta «doppia chiave»), hanno una potenza fino a 50 kilotoni, oltre tre volte quella dell’atomica sganciata su Hiroshima.
Il costo del programma, stimato inizialmente dalla National Nuclear Security Administration (Nnsa) a 7,6 miliardi di dollari, ha superato alla fine i dieci miliardi, spesa unitaria circa 20-25 milioni per bomba. Jill Hruby, ex capo della Nnsa, aveva dichiarato all’inizio del 2025 che la produzione garantiva «il ritmo e la scala necessari per la sicurezza e la deterrenza nucleare degli Stati Uniti», ma si è dimessa all’insediamento di Trump il 20 gennaio.
In Italia, la presenza di armi nucleari Usa, regolata dal trattato segreto degli anni Cinquanta noto in codice come Stone Axe, è da sempre un argomento tabù.
Una cappa di silenzio e segreto, per ogni governo di ogni colore politico, da Alcide De Gasperi a Giorgia Meloni. Tutto ciò oggi appare in discussione: Trump ha messo apertamente in dubbio la continuità dell’ombrello nucleare sull’Europa, spiegando il suo atteggiamento: «L’Europa è nata per fregarci, e c’è riuscita». Parole destinate a lasciare il segno.
Grandeur francese e strategia polacca
Davanti a una crisi senza precedenti nel rapporto transatlantico, l’Europa – abituata da decenni a un comodo vassallaggio – si ritrova costretta a reinventare rapidamente la propria strategia di difesa. Francia e Regno Unito pensano a una «coalizione dei volenterosi», mentre nel parlamento europeo esplode una frattura trasversale alimentata dal caos strategico: pacifisti contro bellicisti, filo-Putin contro filo-Ucraina, anti Trump e pro Europa. Ursula von der Leyen cerca disperatamente di rilanciare l’autonomia strategica europea – e l’industria bellica – senza peraltro fare un solo passo più verso la difesa comune, mentre Trump accentua la crisi identitaria del Vecchio Continente.
Secondo Eric Brewer, ex dirigente Usa esperto di proliferazione nucleare, «Trump ha reso incerta la fiducia degli alleati nella Nato, avvicinandosi addirittura alla Russia».
Non a caso, la Francia di Emmanuel Macron, unico paese Ue dotato di un arsenale nucleare autonomo dagli Usa, ha proposto una «coalizione dei volenterosi», offrendo una protezione nucleare alternativa. Macron – politicamente a fine corsa, con Marine Le Pen ormai pronta a succedergli – ha rilanciato così l’idea di una difesa europea più indipendente, in un estremo sussulto di grandeur.
La proposta ha trovato sostegno da Germania, Polonia e altri Paesi, ma con cautela. Friedrich Merz, prossimo leader tedesco, ha sottolineato che l’idea francese dovrebbe affiancare, e non sostituire, l’ombrello nucleare americano. Esperimenti simili in passato fallirono proprio sul controllo operativo delle testate atomiche. Resta il dubbio: Parigi sarebbe davvero disposta a condividere con Berlino la gestione delle proprie armi nucleari?
Riguardo alla protezione nucleare degli Stati Uniti, che potrebbe venire a mancare, il governo italiano sembra aver scelto la via del silenzio, o del «non so nulla», mentre Giorgia Meloni, come un Giano bifronte, tenta di non alienarsi Trump e contemporaneamente cerca di non restare isolata in Europa. La Polonia – unico paese Nato che già investe il 5 per cento del proprio Pil nella difesa (noi siamo all’1,5 per cento) – il 13 marzo ha chiesto ufficialmente agli Stati Uniti di ospitare bombe atomiche sul suo territorio per contenere la minaccia russa.
Il presidente polacco Andrzej Duda ha avanzato la richiesta direttamente a Keith Kellogg, inviato speciale di Trump per Ucraina e Russia. «I confini della Nato si sono spostati verso est già nel 1999, quindi dopo 26 anni credo sia logico che anche l’infrastruttura Nato si sposti verso est», ha dichiarato Duda al Financial Times. «È arrivato il momento, e il nostro paese sarebbe certamente più sicuro se queste armi fossero già qui». La Polonia comunista aveva ospitato testate sovietiche durante la Guerra Fredda, ma oggi una presenza di atomiche Usa così vicine ai confini russi sarebbe percepita come una gravissima minaccia dal Cremlino.
Nei forum militari
E i militari italiani come reagiscono agli sconvolgimenti della catena di comando provocati da Trump? Non è semplice raccogliere informazioni dirette dagli ambienti della difesa, ma i forum online semi-riservati offrono qualche spunto. Un ufficiale dell’Aeronautica scrive: «L’unica vera soluzione è investire in forze armate convenzionali così forti da scoraggiare eventuali aggressioni. La guerra in Ucraina dovrebbe dimostrare proprio che l’arma atomica non è un’opzione praticabile: i russi hanno minacciato per tre anni di usare il nucleare, ma sono rimasti impantanati in una guerra logorante sul campo, senza mai farvi ricorso».
Risponde un colonnello dell’Esercito: «Trump è poco affidabile, certo, ma quale affidabilità offre la Francia? Non ricordo trattative in ambito europeo in cui Parigi abbia rinunciato ai propri interessi per il bene comune. Non possiamo agire impulsivamente. Se in Italia avessimo una classe politica seria, starebbe già
lavorando per un accordo geopolitico con la Germania, per controbilanciare la forza francese e trattare da pari».
Altri immaginano uno scenario globale di proliferazione nucleare, parlando di una possibile «atomica italiana». Un ex alto ufficiale sostiene: «L’Italia avrà il suo deterrente solo quando altri paesi lo avranno già ottenuto. Oggi nove paesi possiedono l’atomica: ne serviranno altri dieci o undici per convincerci a seguirli? Probabilmente meno. Il nucleare francese è un bluff, e l’atomica europea è pura utopia: nessuno prende decisioni.
Quindi, per ora, il nostro deterrente resta quello americano. Con Trump si dovrà pagare un prezzo politico più alto, più caro sarà il gas Gnl degli Stati Uniti e molto più alte le spese per la difesa. Ma alternative concrete non ce ne sono, e in politica estera l’idealismo non protegge nessuno».
La forza di Francia e Uk
Alla luce dell’annunciato disimpegno Usa dalla Nato, leggendo i report di centri studi specializzati nel settore difesa, emerge una domanda a cui bisogna rispondere subito: ammesso e non concesso che le 100 testate atomiche americane nelle basi europee non vengano smantellate per ordine di Trump (comprese quelle di Ghedi e Aviano, cosa che sarebbe comunque ottimale per le popolazioni locali anche perché non sarebbero più un target per Putin), la protezione nucleare franco-britannica potrebbe sostituirsi agli Usa in Europa?
La risposta è «no». Oggi le forze nucleari di Francia e Regno Unito integrano sì la deterrenza estesa degli Stati Uniti, ma non sarebbero una soluzione efficace nel caso di un ritiro improvviso degli Usa dal Vecchio Continente. Parigi e Londra non offrono garanzie di deterrenza analoghe a quelle che Washington fornisce con la Nato.
La loro presenza rende però più complessi i calcoli strategici di un potenziale avversario, che finora è stata la Russia anche se in futuro potrebbe non essere più così (mentre è certo che il vero nemico sistemico dell’America sia la Cina). Gli arsenali europei sono notevolmente più ridotti (meno di 300 testate per la Francia e meno di 250 per il Regno Unito, rispetto alle 1.700 degli Usa pronte al lancio in pochi minuti), oltre a essere concepiti e gestiti solo per proteggere i propri interessi vitali nazionali.
Inoltre, né i francesi né i britannici possiedono dottrine strategiche compatibili con l’idea di estendere la propria deterrenza schierando armi in altri paesi con il sistema della “doppia chiave”, come invece fa oggi l’America (pratica adottata solo recentemente anche dalla Russia con il suo clone bielorusso).
Deterrenza necessaria
Ma attenzione: non bisogna mai dimenticare che è sufficiente una sola di queste bombe atomiche per uccidere decine di migliaia di persone, causando distruzione, contaminazione e morte su una vasta area; di conseguenza, qualsiasi ragionamento
sul numero delle testate nucleari disponibili va considerato all’interno di uno scenario di apocalisse certa.
In definitiva, ammesso e non concesso che il nuovo «asse tra autocrati» Trump-Putin abbia davvero un futuro e possa reggere alla prova della geopolitica globale, passando per la pace e la spartizione dell’Ucraina, resta da vedere quale sarà la chimica tra un presidente americano impulsivo ed egocentrico e un presidente russo freddo e calcolatore, mentre l’Europa finora è stata delegittimata, umiliata e costretta alla ricerca di un ruolo, sempre in ritardo, per rispondere di rimessa a iniziative delle due grandi potenze geopolitiche imperiali.
Certo è che sostituire efficacemente la deterrenza americana in Europa sarebbe un’impresa titanica: richiederà investimenti enormi, sottratti inevitabilmente al welfare e alla ricerca scientifica – una scelta insensata – e porterà di certo a fratture profonde, forse insanabili, tra governi e popolazioni dei singoli stati dell’Unione europea.
(da Open)
Leave a Reply