LA MARCIA DI ASSISI: STIPENDIO CONTRO LA POVERTÀ E INCENTIVO A CERCARE LAVORO
NON SOLO IL M5S, ANCHE I DEM ADESSO PROPONGONO UNA “PAGA” QUASI UNIVERSALE … MA I DISOCCUPATI DOVREBBERO ACCETTARE LE OFFERTE D’IMPIEGO O LA PERDEREBBERO
“La proposta di un salario di cittadinanza la trovo liberista e poco responsabilizzante per lo Stato, che crede di risolvere i problemi assai diversificati tra le fasce a disagio solo attraverso trasferimenti economici”. Era il 1997, il sottosegretario al Tesoro del governo di centrosinistra Laura Pennacchi, Ds, bocciava così l’idea.
Vent’anni dopo la situazione è molto diversa: il reddito minimo di cittadinanza è stato il primo punto della campagna elettorale del Movimento cinque stelle nel 2013, è al centro di molte proposte della società civile, e anche il Partito democratico ne ha presentate due per non lasciare a Beppe Grillo il monopolio.
Per tutti (o quasi), le tre proposte
Anche se si chiama reddito di cittadinanza, il sussidio proposto dal M5s e dal Pd è soprattutto un aiuto nella transizione tra un lavoro e un altro.
I Cinque stelle propongono di dare 780 euro al mese a tutti gli italiani o cittadini europei (Bruxelles non tollera discriminazioni) che hanno almeno 18 anni.
La somma è calcolata per stare sopra la “soglia di rischio di povertà ” indicata dall’Istat.
Ne beneficiano anche i pensionati che ricevono assegni sotto quella soglia, esclusi i carcerati.
Area riformista, la minoranza del Pd, a firma della deputata Enza Bruno Bossio, propone invece 500 euro che aumentano quanto più è numerosa la famiglia del beneficiario. Non si può cumulare con cassa integrazione o altri aiuti pubblici.
I pensionati sono esclusi. L’altra proposta del Pd è quella firmata da Francesco Laforgia e Gianni Cuperlo e comprende, invece, tutti i maggiorenni e chi è in Italia da almeno dodici mesi.
Il ruolo dei centri per l’impiego
La cittadinanza non basta per aver diritto al reddito. Chi non è in pensione deve essere pronto a lavorare.
Nella proposta M5s, il beneficiario va al centro per l’impiego del suo territorio a dare la propria disponibilità , sia al lavoro che a progetti sociali, artistici o ambientali dei Comuni. I centri per l’impiego cercano un posto adatto a lui.
Non si può rifiutare la proposta se il salario è dignitoso (l’80 per cento di quello che aveva prima della disoccupazione) ed è in un raggio di 50 chilometri ed è raggiungibile in 80 minuti coi mezzi pubblici. Il lavoro deve essere “attinente alle propensioni, agli interessi e alle competenze” del disoccupato.
Dopo tre rifiuti si perde il sussidio, ma per cercare di mantenerlo si può sempre provare a sostenere che le offerte non erano coerenti con le proprie attitudini.
Il Pd con Area riformista è più drastico: chi rifiuta un’offerta dal centro per l’impiego perde il sussidio.
Il testo Cuperlo-Laforgia impone, invece, almeno 2 ore di volontariato settimanali per il beneficiario e la sua famiglia, corsi di formazione, percorsi di sostegno per i genitori, tornare a scuola per chi è nell’età dell’obbligo.
Regioni, centri per l’impiego, Caf cercano le offerte. Qui non c’è l’obbligo di accettare, ma solo di partecipare alla formazione.
Ogni sei mesi si fa una verifica. Tutte queste proposte si reggono sui centri per l’impiego, ma in Italia funzionano molto peggio che in altri Paesi, anche perchè hanno meno risorse.
Incentivi a lavorare ed effetti collaterali
Oltre ad alleviare le sofferenze dovute alla recessione e alle disuguaglianze, dare soldi alle fasce più deboli stimola i consumi, perchè chi guadagna molto poco spende ogni euro aggiuntivo invece di risparmiarlo (come è successo con gli 80 euro del governo Renzi).
I critici si concentrano sulle possibili disparità di trattamento tra situazioni di disagio e sul disincentivo al lavoro. Se da un lato legare il sussidio alle offerte di lavoro spinge a rimanere attivi, dall’altro fissare un compenso minimo (a 780 euro o a 500) può indurre l’inattività . Soprattutto nel caso dei liberi professionisti: un giovane avvocato, architetto o giornalista può preferire un sussidio certo a guadagni bassi e incerti che però gli servirebbero a fare esperienza e a costruire le basi per una carriera futura.
Dove trovare i soldi? Il rebus delle risorse
La proposta più prudente è quella Cuperlo-Laforgia: aumento progressivo delle risorse, da 1,7 a 7,1 miliardi dopo quattro anni, dando l’aiuto “prima a chi sta peggio”. Soldi che arriverebbero soprattutto da un riordino di misure anti-povertà già esistenti, oltre a 600 milioni di tasse sul settore dei giochi e tagli per 3,5 miliardi agli investimenti militari.
L’altra proposta Pd è minimalista: prelievi fiscali sui giochi on line per 500 milioni il primo anno e un miliardo nei due successivi.
Tutt’altro ordine di grandezza nel caso del M5s: uno sforzo da quasi 17 miliardi all’anno con coperture che implicano scelte politiche drastiche, dall’uso della quota dell’8 per mille non assegnata (che oggi finisce comunque in gran parte alla Chiesa), 3,5 miliardi di tagli alla Difesa, imposta sui patrimoni sopra i 2 milioni di euro, 4,5 miliardi di risparmi sugli acquisti della pubblica amministrazione, risparmi sul finanziamento pubblico ai partiti, sugli enti inutili e sugli immobili pubblici.
La proposta di legge è del 2013, alcune coperture nel frattempo sono diventate poco applicabili: la Robin Tax sull’energia che il M5s vorrebbe alzare è stata dichiarata incostituzionale, i prelievi sulle pensioni alte verrebbero bocciati dalla Consulta, i tagli ai partiti sono già stati fatti e chiedere sacrifici a organi che per Costituzione sono autonomi, come Cnel e Banca d’Italia, può essere inutile.
“Ma i soldi si trovano, basta volerlo”, assicura Beppe Grillo.
Stefano Feltri
(da “il Fatto Quotidiano”)
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